lunedì 28 novembre 2011

domenica 4 dicembre gruppo di acquisto popolare

in piazza con i migranti, per il permesso di soggiorno e i diritti di cittadinanza

foto di Alberta Dionisi










 Contro la sanatoria truffa rilanciamo la lotta per il permesso di soggiorno per tutti

Dopo le mobilitazioni della fine dell’anno scorso i migranti ritornano in piazza per rivendicare il loro diritto alla libera circolazione ed alla piena regolarizzazione. Nella nostra provincia risiedono circa 26.000 migranti ed oltre 3000 hanno richiesto nel settembre 2009 di regolarizzarsi come colf o badanti, non essendoci altra opportunità. Ciò ha costretto i lavoratori nell’agricoltura e nell’edilizia, i venditori ambulanti a trasformarsi in badanti, vittime del mercato dei contratti in mano alla criminalità organizzata, che li ha derubati ed ingannati. Dopo oltre 2 anni sono centinaia le pratiche ancora inevase, ed ancor di più le pratiche definite negativamente con motivazioni pretestuose. Praticamente si infierisce contro le vittime e marginalmente contro i carnefici. In preparazione della giornata globale di azione contro il razzismo il prossimo 18 dicembre riprendiamo la piattaforma delle precedenti mobilitazioni:

1) rilascio del permesso di soggiorno per chi ha partecipato alla “sanatoria truffa” ed estensione generalizzata della regolarizzazione a tutte le tipologie di contratto e di lavoro autonomo;

2) prolungamento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro e ritiro della circolare “Manganelli”;

3) rilascio del permesso di soggiorno per chi denuncia il datore di lavoro in nero;

4) la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti, compreso il megaCara di Mineo

5) riconoscimento del diritto di voto per chi vive in Italia da almeno 5 anni;

6) riconoscimento della cittadinanza per chi nasce o cresce in Italia

Basta con i governi antipopolari al servizio dei ricchi, che impoveriscono sempre più i lavoratori, condannandoci ad una vita precaria e che distruggono il futuro dei nostri figli!

LAVORO, DIRITTI, LIBERTA’ 

MAI PIU’ CLANDESTINI, MA CITTADINI !

LUNEDI’ 28 novembre assemblea interetnica
dalle 18 in piazza Stesicoro

Coordinamento immigrati contro la sanatoria truffa,
Rete Antirazzista Catanese,
Rete Catanese 15ottobre

sabato 26 novembre 2011

alluvione: la messa in sicurezza del territorio è l'unica grande opera pubblica da realizzare



































tutta la nostra solidarietà al popolo messinese e alle compagne e ai compagni che si stanno prodigando per spalare il fango con le brigate di solidarietà attiva.
la federazione di messina comunica i dati per la raccolta fondi:
IBAN IT 38 E 05018 04600 000000 140686 
intestazione da inserire nel bonifico e causale: raccolta fondi per alluvionati del messinese.

venerdì 25 novembre 2011

giornata internazionale contro la violenza alle donne


Tra il 1930 e il 1961 la Repubblica Dominicana ha vissuto sotto la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo. La sua era una dittatura militare affermatasi con la forza e la prepotenza di orribili delitti che hanno procurato al popolo dominicano innumerevoli ferite e un’eredità di ignominia.
Le sorelle Mirabal sono tre delle persone che hanno lottato nel movimento segreto antitrujillista fino a perdere le loro vite, per strappare dalle grinfie del regime la libertà del paese.
Le quattro sorelle Mirabal Reyes: Aída Patria Mercedes: 27 febbraio 1924; Bélgica Adela: 1 marzo 1925; María Argentina Minerva: 12 marzo 1926; Antonia María Teresa: 15 octubre 1935
Nate e cresciute a Ojo de Agua, Salcedo, le sorelle Mirabal provenivano da una famiglia di questa provincia situata nella regione del Cibao, il cuore contadino del paese. Tre giovani istruite, cresciute con l’ideale del lavoro e della correttezza, si sono rese conto sin da giovani dell’ingiustizia che regnava nella loro società. Una alla volta, a cominciare da Minerva, le sorelle sono entrate nel movimento rivoluzionario 14 di Junio e hanno portato avanti la lotta. Il loro nome in codice era Mariposas (farfalle) e mai altro nome sarebbe stato così adatto: donne sorridenti e solari, coerenti con i loro principi e la loro necessità di giustizia e libertà.
Le ragazze sono state incarcerate, torturate e perseguitate a lungo dal dittatore. Molte anche le ripercussioni sulle loro famiglie. Le farfalle sono state uccise il 25 novembre del 1960 in un’imboscata, al ritorno dalla visita in una prigione del nord a due dei loro mariti; compagni di lotta oltre che di vita.
La quarta sorella, Bélgica meglio nota come Dedé, è ancora in vita e continua a testimoniare la vita delle sue care sorelle.
Nel 1998 le Nazioni Unite hanno dichiarato il 25 novembre “GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO VIOLENZA ALLE DONNE”, per ricordare le sorelle Mirabal e tutte le donne vittime di violenza.

giovedì 24 novembre 2011

chiediamo strade decenti per il quartiere di Barriera!

















Ormai da troppo tempo le strade di Barriera versano in condizioni di gravissimo degrado: buche che sembrano crateri, dislivelli, dossi, transenne e scavi adibiti a cassonetti dell’immondizia.
Il manto stradale di molte vie – che già non versava in buono stato, così come del resto in moltissime zone della città – a partire dal 2009 è stato ripetutamente sottoposto a scavi a causa dei lavori di metanizzazione. Lavori che, poco dopo il loro inizio, sono stati interrotti a causa del fallimento della ditta alla quale erano stati affidati; all’interruzione è seguito un “rattoppamento” del tutto inadeguato del manto stradale, che negli ultimi anni è stato ripetutamente danneggiato dalle pioggie e dalla noncuranza.
Pochi mesi fa i lavori sono formalmente ripresi, ma senza continuità, sempre con lunghi periodi di pausa durante i quali diverse strade vengono lasciate letteralmente sventrate, con buche molto estese, spesso utilizzate impropriamente come deposito dei rifiuti.
Gli scavi sono stati effettuati e mai ricoperti adeguatamente anche nei cortili interni di diversi conodomini, con il rischio che - a causa della noncuranza dell’amministrazione comunale - adesso i residenti debbano sobbarcarsi le spese necessarie per il ripristino del manto stradale delle loro aree comuni.
Queste condizioni delle strade determinano uno stato di degrado, pesanti disagi per i cittadini, una costante situazione di pericolo per chi attraversa il quartiere.
Il circolo Città Futura, che ha denunciato alla stampa questa vergognosa situazione, chiede all’amministrazione comunale, finora latitante, un immediato intervento che disciplini i lavori e riporti rapidamente le strade in condizioni accettabili. Per questo obiettivo invitiamo i cittadini alla mobilitazione.

alluvione nel messinese: solidarietà attiva!

















tutta la nostra solidarietà al popolo messinese e alle compagne e ai compagni che si stanno prodigando per spalare il fango con le brigate di solidarietà attiva.
la federazione di messina comunica i dati per la raccolta fondi:
IBAN IT 38 E 05018 04600 000000 140686 
intestazione da inserire nel bonifico e causale: raccolta fondi per alluvionati del messinese.


Il PRC di Messina esprime la più totale vicinanza e solidarietà al popolo messinese per le tragedie che stanno accadendo in queste terre a seguito dell’alluvione ed in particolare ai cittadini dei comuni più fortemente colpiti: Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Saponara, Villafranca Tirrena. Quanto è avvenuto è stato da noi denunciato in tempi non sospetti ma l’amministrazione e gli enti preposti non hanno preso provvedimenti all’altezza dei rischi.
Come partito siamo impegnati attivamente ad aiutare la popolazione colpita dall’alluvione ed al tempo stesso denunciamo la politica di incuria del territorio operata da questa classe politica che in questi territori martoriati ha ottenuto grandi consensi.Ci vuole un piano per la messa in sicurezza del territorio, investimenti per salvaguardare la vita e l’economia della nostra città, bisogna togliere i fondi alle spese inutili, come il ponte sullo stretto di Messina, e destinarli a tal fine.
Carmelo Ingegnere, Segretario PRC Messina

martedì 22 novembre 2011

venerdì 25 novembre manifestazione regionale NO Muos a Palermo







Il circolo Città Futura del PRC – FdS di Catania aderisce alla manifestazione che si terrà venerdì 25 novembre a Palermo contro l’assurdo progetto di costruzione del MUOS a Niscemi.
La lotta per la difesa dell’ambiente e del diritto alla salute degli abitanti di Niscemi e dei centri vicini, contro la militarizzazione che ha fatto della Sicilia un avamposto di guerra, è una parte importante della costruzione di un nuovo ruolo di pace e cooperazione per la nostra terra.

sabato 19 novembre 2011

oggi come ieri, non "baciamo il rospo" del governo tecnico
































Dal Manifesto di oggi ma anche del 14 gennaio 1995.
Rileggere Luigi Pintor per ricordarci che ieri come oggi "Non esiste il meno peggio"
«Baciare il rospo?» era il dilemma sul governo «tecnico» guidato da Lamberto Dini dopo la caduta del primo Berlusconi, agli inizi del ’95. Il vicedirettore dell’epoca Pierluigi Sullo ne ricorda la genesi, e ripubblichiamo l’editoriale di Luigi Pintor. Vi ricorda qualcosa?

"Ne più ne meno" di Pierluigi Sullo
Se si dovesse o meno "baciare il rospo" fu la domanda finale, e alquanto deprimente, di un anno fiammeggiante, per l'Italia e per il manifesto. In marzo, Berlusconi vinse per la prima volta le elezioni con i suoi compari fascisti e leghisti; pochi giorni prima era andato in edicola un giornale molto originale, formato tabloid, che si presentava con una copertina fatta di un titolo e di una immagine, e basta. Accompagnato, per altro, da una campagna pubblicitaria divenuta celebre: «La rivoluzione non russa».Le vicende del nuovo fenomeno della politica italiana e del quotidiano più sarcastico del momento si intrecciarono inevitabilmente. Per dirne una, fu il manifesto a iniziare la valanga che divenne, il 25 aprile, la straordinaria ed eroica (per via della pioggia torrenziale) manifestazione di Milano.
Solo alla fine dell'anno il Puzzone e il suo inesauribile antagonista separarono i loro destini. La Lega decise di fare il famoso "ribaltone" e fece cadere il governo. Noi salutammo l'evento con una copertina che rappresentava una targa stradale, di quelle intitolate e personaggi del passato: Via S. Berlusconi. Ce la ridevamo molto, facendo prime pagine così. E il giornale vendeva una media di 52 mila copie al giorno.
Quel che ci mise in difficoltà fu Dini. Il banchiere scelto per formare il nuovo governo non era precisamente la personificazione di quel che avevamo sperato. E quella sera eravamo in imbarazzo, noi tre che di solito la sera ci sedevamo nell'ufficio del caporedattore - con la partecipazione di chiunque volesse - per inventare la copertina del giorno dopo. I tre erano Luigi Pintor, direttore, Riccardo Barenghi, caporedattore, e il sottoscritto, vicedirettore. Ormai era tardi, bisognava tirar fuori qualche idea. Io dissi, abbacchiato: «Eh, qui dobbiamo chiederci se ingoiare il rospo». Luigi mi guardò fisso per un lungo momento: «No - disse - non ingoiare, ma baciare il rospo». Come nelle favole, voleva dire, quando il rospo baciato diventa un principe. La fisionomia di Dini, ci dicemmo con lo sguardo, aiutava. Riccardo chiamò il grafico, il giovane e geniale Vincenzo Scarpellini, ora purtroppo scomparso, e gli disse: «Vincè, trova un bel rospo da mettere in copertina». Ma Luigi aveva ancora un dettaglio: «Ci vuole il punto interrogativo». Lui era nemico dei punti di domanda (per non parlare degli esclamativi) nei titoli, ma in quel caso pensò di dover fare una eccezione. Perché Baciare il rospo era una resa, Baciare il rospo? invece rendeva bene l'angoscia e la sospensione in cui eravamo.
Quel titolo ebbe una grande fortuna, quasi quanto Non moriremo democristiani e un po' più del laconico Massacro con cui salutammo l'inizio della prima guerra del Golfo. Ancora oggi si dice "baciare il rospo?", di Dini non si ricorda più nessuno.

editoriale di Luigi Pintor del 14 gennaio 1995
Qualcosa è successo. Berlusconi e Fini hanno mollato, o almeno allentato, la presa. Il cavaliere esce fisicamente da Palazzo Chigi, anche se ci lascia dentro una sua creatura (e due miliardi di spese di restauro). La linea «o me o le elezioni», che non era contrattuale ma netta, è caduta. Non è neppur detto che ci saranno elezioni a breve, e comunque non sarà lui il gestore. Prendiamo e portiamo a casa.
Né più né meno che questo, però. Il governo che (probabilmente) nascerà resta pessimo. Non solo per la figura del suo presidente ma per la sua funzione. Un governo della destra economica concentrata, superconfindustriale. I mercati esulteranno, perché tutti saremo (più che mai) considerati merce.
Un governo inserito in un quadro politico oscuro e anche torbido (circolano assai strane notizie) aperto a qualsiasi sbocco. Togliamoci dalla testa che si apra una «tregua», o peggio una parodia di «unità nazionale». Se ci sarà una maggioranza dai fascisti ai progressisti, il distacco della politica dall'animo pubblico diventerà abissale.
Dire che Berlusconi e Fini hanno allentato la presa non significa che abbiano perso il manico del coltello. Un passo indietro e due avanti. Berlusconi lancia dagli schermi nuovi proclami liberatori. Forse il carro della destra sta semplicemente accrescendo il suo carico al centro. Forse, se finora avevamo un «nemico principale», oggi ne abbiamo più d'uno.
Eppure questa crisi è anche il frutto di un movimento popolare che non si è espresso a destra ma in senso democratico. Quando capiremo, a sinistra, che bisogna cambiare terreno di gioco, respirare e far respirare aria nuova, uscire con le proprie idee e una propria unità da un labirinto che ammette solo vie di uscite negative? Non esiste il meno peggio.

abbandono e dissesto stradale nel quartiere Barriera











Questa mattina il circolo Città Futura ha tenuto una conferenza stampa nel quartiere Barriera per denunciare le gravissime condizioni di dissesto del manto stradale.
Durante la conferenza stampa è stato spiegato come il manto stradale di molte vie – che già non versava in buono stato, così come del resto in moltissime zone del territorio catanese – a partire dal 2009 è stato ripetutamente sottoposto a scavi a causa dei lavori di metanizzazione. Lavori che, poco dopo il loro inizio, sono stati interrotti a causa del fallimento della ditta alla quale erano stati affidati; all’interruzione era seguito un “rattoppamento” del tutto inadeguato del manto stradale, che negli ultimi anni è stato ripetutamente danneggiato dalle pioggie e dalla noncuranza.
Pochi mesi fa i lavori sono fomalmente ripresi, ma senza continuità, sempre con lunghi periodi di pausa durante i quali diverse strade sono state lasciate letteralmente sventrate, con buche molto estese spesso utilizzate impropriamente come deposito dei rifiuti.
Queste gravi condizioni determinano non solo uno stato di degrado e disagi per gli abitanti del quartiere, ma anche una situazione di pericolo per i conducenti di mezzi stradali, in particolare dei mezzi a due ruote,
Su questa questione il circolo Città Futura ha annunciato l’avvio di una campagna di sensibilizzazione e protesta del quartiere nei confronti dell’amministrazione comunale.

lunedì 14 novembre 2011

contro la crisi, GAP città futura: domenica 20 novembre gruppo di acquisto popolare

















domenica 20 novembre, dalle 10,30 alle 13, in via Gargano, 37 (trav. piazza Iolanda - viale Libertà) Catania, GAP Città Futura.
 

quest'anno, il gruppo d'acquisto popolare si tiene la prima e la terza domenica di ogni mese, con tante novità, come gli ortaggi biologici della cooperativa Archiflora, a chilometro zero e a prezzi popolari, e le confetture di Itinerari di gusto... e, come sempre, pane, agrumi, vino, olio, formaggi, liquori, mandorle, miele e tanto altro!!

sabato 12 novembre 2011

elezioni subito!

Prima si va alle elezioni e meglio sarà per tutti

editoriale di Bruno Steri, da Liberazione di oggi

Repetita iuvant, così pensavano i nostri antenati latini. E noi - per andare al nocciolo della nostra opposizione alla prospettiva di un "governo di emergenza" guidato da Mario Monti - proviamo a ribadire quel che da tempo andiamo dicendo. Lo facciamo ricapitolando rapidamente le tappe della catastrofica gestione della crisi greca da parte dell'Unione Europea. Verso la fine del dicembre 2009, i declassamenti a catena decisi dalle agenzie di rating (inaugurati da Fitch) prefigurano per la prima volta la possibilità del fallimento (default) di uno Stato dell'Eurozona e inducono Bruxelles a intervenire (maggio 2010) con un piano di "aiuti" al Paese ellenico di 110 miliardi di euro in tre anni, in cambio di draconiane misure di austerity per 30 miliardi. Quello stesso mese, l'Ue attiva il cosiddetto Fondo salva-stati (Efsf) con una dotazione finanziaria di 250 miliardi di euro. Niente da fare. La Grecia sprofonda e il rischio-contagio aumenta. Nel 2010, il suo deficit rimane ben sopra il 10% di un Pil che continua a contrarsi. Non ci vuole molto a capire il perché: i tagli alla spesa pubblica falcidiano pensioni, stipendi pubblici, scuola, sanità. Si privatizza tutto quello che c'è da privatizzare, ma il differenziale (spread) tra i titoli greci e quelli tedeschi prosegue ad ampliarsi. Così, proseguono anche i declassamenti, giù fino alla categoria minima CCC. Per evitare il peggio, a luglio 2011 si decide un nuovo pacchetto di "aiuti" per 109 miliardi. Questa volta uno sforzo devono farlo anche i creditori privati, chiamati ad un taglio (haircut) dei loro crediti del 21%: non è considerato un default solo perché, bontà loro, i creditori aderiscono su base volontaria. Altri aiuti, nuova stretta sociale. Ma la musica non cambia, anzi si fa ancor più stridente. La crisi greca non accenna a placarsi: nel 2011 è prevista una contrazione dell'economia greca del 5,5% e un deficit sempre vicino al 10% del Pil. Per le banche creditrici si profilano perdite che vanno ben al di là del 21% e che arrivano al 50% e oltre (per la verità, patimenti attenuati dalla promessa di impegni finanziari finalizzati ad una loro ricapitalizzazione). Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali gli istituti più esposti, con titoli di stato greci in portafoglio, sono quelli francesi e tedeschi. Sono loro, in realtà, i veri destinatari degli "aiuti". Ricordiamo che l'Unione Europea ha affrontato la crisi, mobilitando tra il 2008 e il 2010 a sostegno degli istituti di credito 4.285 miliardi di euro, equivalenti al 36% del Pil dei 27 Paesi Ue, a fronte dell'assai meno consistente "sostegno" concesso (in cambio di "lacrime e sangue" sociali) ad un'economia greca che rappresenta appena il 2% dell'Eurozona, a parziale e insufficiente copertura del suo debito (che costituisce il 3% del debito totale)...

tarsu comune di catania: chiediamo trasparenza ed equità!






























Il circolo "città futura" promuove, a partire da oggi, una PETIZIONE POPOLARE per chiedere trasparenza sul regolamento TARSU del Comune di Catania, mai reso pubblico,  e per l’adozione di un regolamento che riconosca una riduzione delle tariffe vigenti ai cittadini economicamente disagiati.


Le tariffe TARSU del Comune di Catania, dal 2004 al 2011, hanno avuto incrementi superiori al 100%; al raddoppio delle tariffe non è corrisposto un miglioramento del servizio di raccolta e differenziazione dei rifiuti solidi urbani e, nonostante i proclami dell’amministrazione comunale, gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per la riduzione dei rifiuti indifferenziati non saranno raggiunti, con la conseguenza di ulteriori rincari delle tariffe, per pagare le sanzioni dell’UE.
Le statistiche nazionali disponibili mostrano che i comuni con una percentuale di raccolta differenziata superiore al 60% sono anche quelli che applicano le più basse tariffe. A Catania, invece, agli aumenti e all’inefficienza del servizio si accompagna un’assenza assoluta di trasparenza nel procedimento amministrativo di imposizione fiscale: a differenza di tutti i maggiori comuni italiani, il Comune di Catania non ha mai reso pubblico il regolamento della TARSU! Non sono stabiliti meccanismi premiali per chi differenzia di più, non sono individuate le categorie che avrebbero diritto ad agevolazioni, esenzioni ed esclusioni, non vi sono interventi volti ad alleggerire il carico tributario per i cittadini che risentono maggiormente della pesantissima crisi economica che attraversa il nostro territorio.
Il Comune di Catania, con le finanze dissestate dal governo delle destre, ha utilizzato la TARSU come strumento vessatorio per coprire i buchi di bilancio causati da una politica clientelare e lontana dai bisogni delle donne e degli uomini di questa città. Il peso di questo fallimento non può essere scaricato sui cittadini meno abbienti, chiedere a chi ha perso il lavoro, a chi è precario o  disoccupato, a chi vive con la pensione minima, di pagare per i fallimenti delle loro politiche è non soltanto iniquo ma un vero delitto sociale. Per questo, chiediamo che il Comune di Catania renda pubblico immediatamente il regolamento TARSU e che, come già deliberato da molte amministrazioni comunali e vi inserisca un dispositivo premiale legato alla raccolta differenziata. Attraverso la petizione popolare, chiediamo che il Comune riconosca stabilmente una serie di agevolazioni per cittadini che si trovino, stabilmente o provvisoriamente, in disagiata condizione economica.

nei prossimi giorni banchetti per la raccolta delle firme!

FIRMA ANCHE TU per la seguente PROPOSTA DI REGOLAMENTO TARSU:

1) Il Comune di Catania riconosce una riduzione delle tariffe vigenti ai nuclei familiari che attraversano una particolare fase di disagio economico.
2) A tal fine vengono individuate tre fasce  di reddito calcolato ai fini ISEE, cui corrispondono percentuali di sgravio diverse, articolate come segue: prima fascia: euro 0 – 13.000 = 50% ; seconda fascia: euro 13.001 – 17.000 = 30% ; terza fascia: euro 17.001 – 24.000 = 20%. Per ottenere la riduzione si deve produrre il certificato ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) che dimostri un valore uguale od inferiore ad Euro 24.000. I cittadini che hanno già ricevuto gli avvisi di pagamento relativi all’anno 2011 a tariffa piena, potranno chiederne la rettifica producendo idonea certificazione. A partire dal 2012 gli avvisi di pagamento verranno rettificati a coerenza.
3) Per le situazioni di disagio economico, verificatesi o perduranti nell’anno 2011, dipendenti dalla crisi e/o carenza occupazionale riferita ad una delle condizioni di svantaggio lavorativo di seguito elencate: cassa integrazione a 0 ore per almeno 12 settimane (anche non continuative); perdita del lavoro da almeno 3 mesi nel 2011 e dichiarazione di immediata disponibilità presso i Centri per l’impiego; sospensione dal lavoro per almeno 90 giorni lavorativi (Legge 2/2009); iscrizione nelle liste di mobilità da almeno 3 mesi; viene concesso su istanza documentata, sempre sulla base dell’ISEE in corso di validità,  lo sgravio corrispondente alla fascia di sconto immediatamente superiore, fatto salvo il limite massimo del 50%.
4) I soggetti beneficiari della presente agevolazione dovranno comunque acquisire la dichiarazione ISEE redditi 2011 per consentire all’Amministrazione il controllo e l’eventuale conguaglio degli importi erogati.

giovedì 10 novembre 2011

architetture del desiderio: idee differenti per lo spazio pubblico urbano






















ARCHITETTURE DEL DESIDERIO, a cura di Bianca Bottero, Anna Di Salvo, Ida Faré, raccoglie gli scritti preparatori e il ricco dibattito svoltosi in occasione del convegno Microarchitetture del quotidiano. Sapere femminile e cura della città, Milano, marzo 2008.
Emerge dall’insieme un quadro vivissimo dei modi creativi con cui le donne si esprimono, per affermare la bellezza, la convivenza, la memoria delle loro città e dei conflitti che guidano in prima persona contro il malgoverno che, nell’Italia di oggi, devasta la qualità degli spazi pubblici urbani e quindi la ricchezza intrinseca della polis.

mercoledì 9 novembre 2011

difendiamo la scuola pubblica e i diritti degli insegnanti di laboratorio








Dichiarazione di Luca Cangemi, del coordinamento nazionale della federazione della sinistra.

Il governo Berlusconi morente ha compiuto un altro passo nella distruzione dell’istruzione pubblica e nell’attacco ai diritti dei lavoratori e alle lavoratrici della scuola. Nel disegno di legge di stabilità si prefigura, infatti, il passaggio dei docenti ITP (insegnanti tecnico pratici) soprannumerari nei ruoli di Assistente Tecnico. Così si colpisce una vasta platea d’insegnanti che sarebbero privati della funzione docente e si pongono le premesse per l’archiviazione della figura del docente di laboratorio come figura strategica, che deve connettere sapere ed esperienza, secondo un progetto didattico e culturale. Inoltre il passaggio di un grande numero di docenti di ruolo nell’organico del personale ATA sottrarrebbe un numero rilevante di posti di lavoro al personale tecnico, già duramente colpito dai provvedimenti di questi anni. Le conseguenze dal punto di vista didattico di quest’operazione sarebbero disastrose per l’intero sistema formativo pubblico. Un altro, pesante, colpo sarebbe sferrato, in particolare, all’istruzione tecnica e all’istruzione professionale nel paese e soprattutto nelle regioni meridionali. Gli istituti tecnici e professionali già vivono una situazione difficile, perché sono stati letteralmente massacrati dalla controriforma Gelmini, che ha tagliato selvaggiamente l’orario e gli organici, sconvolgendone il profilo didattico. Questo provvedimento con le sue conseguenze gravissime sulle attività di laboratorio, che rappresentano una dimensione essenziale per una scuola moderna, è un altro passo verso la fine nel nostro paese di un’istruzione tecnica decente. I riflessi negativi di una sua approvazione sulle prospettive produttive e tecnologiche del paese sarebbero evidenti. E’ necessaria dunque una mobilitazione immediata per contrastare questa scelta irresponsabile, difendere l’occupazione e i diritti dei docenti ITP e degli assistenti tecnici, salvaguardare il ruolo dell’istruzione statale.

no alla retrocessione degli insegnanti tecnici di laboratorio


camila vallejo: per lottare bisogna essere allegri












Da giugno è il simbolo del nuovo Cile. Il suo volto, incredibilmente fotogenico, è ormai il volto dei migliaia di giovani che da mesi protestano quasi tutte le settimane per le strade di Santiago, chiedendo una educazione gratuita per tutti.
La notorietà di Camila Vallejo ha superato i confini nazionali, diventando il protagonista di quel movimento che è stato definito degli indignados.
Ha 23 anni, si sta laureando in geografia, milita nel Partito comunista cileno ed è la portavoce della federazione degli universitari.
Parla al Fatto per la seconda volta, la sua è un’analisi di quanto accade in Cile (la prima intervista è uscita il 31 agosto scorso): “La nostra battaglia per l’istruzione è diventata una lotta per ottenere un Paese migliore, non siamo soli”.
La vostra protesta si è presto trasformata in una lotta più ampia per il cambiamento dell’intera società cilena, come è stato possibile?
L’attuale sistema educativo cileno considera l’educazione non un diritto ma un bene di consumo. Le famiglia devono investire molti soldi per far laureare i propri figli (da circa 30 mila fino a 60 mila dollari per le carriere più care). Pertanto l’accesso all’educazione è condizionato alla disponibilità economica.
Il Cile è stato il Paese in cui, con la dittatura di Pinochet, il neoliberalismo si è sviluppato più che in altri posti: che significa contrastare il neoliberalismo oggi?
Noi usciamo da un lungo periodo in cui il neoliberalismo ha dominato tutti i settori della società, trasformando quelli che sono beni e diritti sociali in ambiti del mercato e occasioni per il lucro, garantendo solo accumulazione di capitale da parte di pochi e non giustizia sociale. Questo è successo soprattutto per la sanità e per l’educazione. Oggi noi proponiamo l’inversione di questa tendenza. Recuperare e salvaguardare questi diritti, sottraendoli al dominio assoluto del mercato.
Il vostro movimento da studentesco è diventato in poco tempo la “testa” di un movimento sociale più ampio, come   ti spieghi questo successo?
Durante la dittatura, molte generazioni precedenti alla nostra hanno potuto solo sognarlo un cambiamento sociale profondo. Il terrore e la paura non permettevano nessuna azione collettiva. Adesso trovano nel nostro movimento un’occasione per manifestare serenamente. Credo che questo sia il motivo principale che ha trasformato una battaglia particolare come la nostra, per una università pubblica e gratuita, in una battaglia più ampia per una società giusta. E il movimento ha così raggiunto un livello di trasversalità sociale che, devo ammettere, sorprende anche noi.
In Italia una delle ultime manifestazioni è stata rovinata da numerosi atti di violenza da parte di frange estremiste, voi come fate fronte a questo genere di problemi?
Dal punto di vista pratico, abbiamo un servizio d’ordine. Ci sono due aspetti: i violenti servono a legittimare le azioni repressive da parte del governo e la criminalizzazione dei movimenti. Il secondo è che la violenza espressa da questi gruppi è in parte riconducibile a una violenza strutturale del sistema, lo dico non per giustificarla ma per comprenderla. I lumpen, i violenti, gli anarchici che distruggono sono il frutto di una società che non investe in educazione.
Sei ormai un’icona della nuova sinistra non solo cilena e la tua immagine è stata anche molto criticata della destra...
Una delle più classiche strategie per annichilire un movimento è ridurlo a un personaggio e criticarlo. Così stanno facendo i media cileni, che sono controllati dai poteri economici vicini al governo. Con le dovute differenze, è come quando si è parlato di castrismo, di chavismo, per screditare i movimenti cubani e venezuelani. Dicono che il Partito comunista mi strumentalizza per strumentalizzare il movimento. È più facile attaccare una persona che centinaia di migliaia.
Ed è più facile se sei donna...
Certamente. Mi sono resa conto solo con questa esperienza delle diseguaglianze reali a cui va incontro una donna che assume un incarico pubblico. Non sono mai stata una femminista. Anche perché spesso il femminismo è solo il polo opposto al maschilismo. Proprio perché sono donna vengono sempre messe in dubbio le reali capacità e vengono fatte insinuazioni del tipo: è arrivata lì perché è carina, oppure perché è un arrampicatrice e una opportunista, oppure perché sta insieme a quello a quell’altro. La solita codardia fascista.
Cosa significa per te essere comunista dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento dei sistemi socialisti del Novecento?
Non siamo animali rari. Siamo persone normali. Non siamo stalinisti. Vuol dire fare politica cercando di realizzare maggiore sovranità popolare e proporre una politica fondata su una base sociale. E partire dalla difesa dei diritti umani, come stiamo facendo qui in Cile.
Chi sono i tuoi punti di riferimento politici?
Lenin, Gramsci Ma anche personaggi femminili come la cantante Violeta Parra o figure di donne comuniste che hanno combattuto duramente la dittatura di Pinochet. Sto pensando, per esempio, a Gladys Marin.
Quale sentimento ti ha portato a fare tutto questo? Rabbia, indignazione, o altro?
Indignazione, quando scopri i continui abusi e le ingiustizie. Però, ad essere sincera, il sentimento di cui ho più bisogno tutti i giorni, perché il movimento faccia un’azione collettiva efficace, è l’allegria. Il potere sta ben strutturato. È un lavoro ingrato, è una lotta difficile. Ci vuole una allegria che si nutre della gente ad animare il movimento.
Quindi gli indignados devono essere allegri?
Sì. Certo. Il cuore allegro e la mente fredda. Sembrerà una cosa ridicola, ma lottare insieme stabilisce una relazione di fraternità e si lotta meglio se si è allegri.

 
di Manuel Anselmi - Il Fatto Quotidiano 8 novembre 2011

domenica 6 novembre 2011

in ricordo di Nori Brambilla, compagna partigiana

Si è spenta oggi la compagna partigiana Nori "Sandra" Brambilla, vedova del compagno Giovanni "Visone" Pesce, medaglia d'oro della Resistenza.
In un recente video, il ricordo sempre vivo della lotta antifascista.

sabato 5 novembre 2011

chi era Guy Fawkes e che c'entra con la crisi?














Un tale Guy Fawkes, militare membro di un gruppo di cospiratori inglesi cattolici, il 5 novembre del 1605 tentò di far esplodere, con barili pieni di polvere da sparo, il parlamento britannico. La cospirazione fallì e Fawkes fu impiccato. Da allora, il 5 novembre è divenuto, per il Regno Unito, una sorta di Halloween, in cui i ragazzini portano in giro dei pupazzi di Fawkes o ne indossano la maschera, raccogliendo spiccioli per i petardi.

Cosa possono avere a che fare la figura di un integralista cattolico, che fondava le proprie azioni sulla scomunica papale al Regno Unito, e l’altrettanto ridicola usanza dei pupazzi e dei petardi, nata per esorcizzare ogni minaccia all’impero britannico, con le mobilitazioni globali di quattrocento anni dopo?

Forse un uso delle immagini distorto e privo di ogni memoria storica, che attraverso vie mediatiche globali ha riportato in scena il volto di Fawkes. Sei anni fa, un film blockbuster (oltre 90 milioni di dollari, incassati dagli stessi produttori della saga di Matrix), lanciava il controverso personaggio di “V per Vendetta”, ispirandosi al graphic novel di Adam Moore ma stravolgendone ambientazione e toni, tanto da spingere l’autore del fumetto a dissociarsi, anche a causa della scena finale in cui i cittadini indossano le maschere di Fawkes.

Un film zeppo di significati esoterici e di violenza psicologica, fino alla barbarie della tortura, da parte del protagonista V, della propria compagna, rapita, nascosta in una “galleria delle ombre” e seviziata, con l’obiettivo dichiarato di fortificarla ed estirparle la paura della morte!

Probabilmente è il caso di risparmiare la sequenza di assassinii e brutalità attraverso cui il terribile protagonista, che ovviamente indossa una maschera di Fawkes, giunge alla solitaria conclusione della sua storia, che non prevede – e mai potrebbe prevedere – una partecipazione collettiva alle gesta del “superuomo” che combatte da solo, e che non può che concludersi con la trionfale morte dell’eroe mascherato e con la parata della “massa”, altrettanto solitaria e priva di ideali e contenuti, che si lascia dominare da un potere misterioso e pervasivo, prima quello del totalitarismo, poi quello dell’omologazione delle maschere di Fawkes che coprono ogni volto nella scena conclusiva del film.

La vendita, solo nell’ultimo anno, di centinaia di migliaia di maschere di Fawkes, prodotte in Cina e Messico per pochi spiccioli, sta arricchendo la Warner, multinazionale titolare dei diritti: un paradosso, inconciliabile con la volontà di mobilitarsi contro il sistema capitalistico e il suo dominio globale!

Ma perché Fawkes/V – o un qualsiasi personaggio da kolossal hollywoodiano – conquista l’immaginario di una generazione? Perché l’individualista supereroe della cultura dominante anglosassone, e non uno/una tra tanti, piccoli e grandi, spesso involontari ma sempre esemplari protagonisti delle lotte di liberazione degli ultimi decenni, da Chico Mendes, campesino brasiliano, a Iqbal Masih, bambino operaio pakistano? (a cui tante significative realtà organizzate di compagne e compagni dedicano il proprio impegno politico e sociale).

Perché, al posto del fantomatico volto sfigurato dell’assassino V che si nasconde dietro la maschera, non c’è il volto – atrocemente sfigurato dalle fiamme, ma limpido nella sua disperazione – di Mohamed Bouazizi, senza cui la rivoluzione tunisina di pochi mesi fa non avrebbe avuto le stesse caratteristiche e la stessa dirompenza?

Finché non avremo il coraggio di dirci fino a che punto l’immaginario collettivo, persino di chi si sente “rivoluzionario”, sia stato colonizzato da un pensiero unico strisciante e pervasivo – forse, paradossalmente, più di quello messo in scena dai produttori miliardari del film su V – non potremo liberarcene.

Finché non avremo il coraggio di riconoscere cosa sia la forza – la forza straordinaria eppure semplice di Iqbal, di Chico, di Mohamed – non riusciremo a distinguerla dalla violenza; e senza estirpare la violenza, specista, sessista, razzista, classista, non è possibile nemmeno mettere in discussione il sistema capitalista, che si alimenta di violenza, generando continuamente nuova violenza e nuove forme di oppressione.

Finché non comprenderemo che “le parole sono pietre”, cogliendo il senso profondo di ciò che scriveva Carlo Levi alla madre di Turiddu Carnevale, bracciante ucciso dalla mafia, non potremo, innanzitutto con la forza delle parole, scardinare e combattere il sistema mafioso. Le mobilitazioni dei braccianti e le occupazioni delle terre nel dopoguerra ci hanno mostrato come le lotte siano di tutti, bambini, donne e uomini, e come questo faccia più paura al potere economico e mafioso.

Finché non riprenderemo coscienza della forza dei nostri corpi e del nostro partire da sé, non riusciremo a sperimentare e mettere in campo pratiche politiche dirompenti, come ci ha insegnato la straordinaria esperienza del movimento delle donne, ed in particolare la mobilitazione contro le basi Nato che, negli anni ottanta, riuniva a Comiso donne di tutta Europa, forti di una riflessione radicale sul patriarcato e la sua violenza, impegnate a bloccare l’impianto dei missili nucleari con azioni nonviolente, contrapponendo alla “delega della vita” (militarismo, sfruttamento, violenza sessuale, forza distruttiva) la “responsabilità della vita” (autodeterminazione, disarmo, forza creativa).

Ripartiamo dalla nostra forza creativa, gettiamo le maschere e inventiamoci nuove pratiche di trasformazione sociale!

collettivo glbtq città futura IbrideVoci

venerdì 4 novembre 2011

sabato 26 novembre presentazione del libro di annamaria rivera: la bella, la bestia e l'umano




























sabato 26 novembre, dalle ore 18,30, presso la sede del circolo città futura, via gargano, 37, catania

presentazione del libro:
la bella, la bestia e l’umano
sessismo e razzismo senza escludere lo specismo
di annamaria rivera

intervengono:
jenny balba (catania antispecista), mario bonica (scrittore e regista), barbara crivelli (rete antirazzista), anna di salvo (città felice) pina la villa (redazione girodivite), giuseppe pappalardo (ricercatore infn), alberto rotondo (collettivo ibridevoci)…

segue CENA SOCIALE VEGANA e VEGETARIANA


Accade..., di Carmina Daniele






























accade
accade che in un pomeriggio di fine ottobre piova in un luogo di questa nostra terra: le cinque terre.
accade che piova e che questa pioggia diventi temporale, fitto, scrosciante, e che questo temporale fitto, scrosciante si fermi per ore ed ore a scatenare tutta la sua ira…
   e che questa ira scateni un’altra ira …l’ira delle montagne che sovrastano questo meraviglioso angolo della nostra terra… e che le montagne cominciano a sgretolarsi, a scivolare giù in una folle corsa verso il mare. Fango, detriti, alberi smossi dalla furia, giù verso quei paesi millenari cari a Shelley a Byron, a Montale, suoi i versi:

                  Non più quel tempo.
                  Varcano da il muro rapidi
                  voli obliqui,
                  la discesa di tutto non si arresta e
                  si confonde sulla
                  proda scoscesa anche
                  lo scoglio che ti portò
                  prima sull’onda.

cari a me: Fango che invade i carrugi sino a due metri d’altezza, i carrugi con le case colorate, i portoncini stretti e le botteghe lungo i lati. Il baretto del mio negroni, il panificio di gino, la cantina da cui passavamo ogni sera per rifornirci di quel vino bianco unico delle cinque terre.

accade
è accaduto a Sarno, è accaduto a Giampilieri e a Vicenza, accade a San Fratello ad Acicastello .
accade che per la seconda volta un pezzo di muro crolli a Pompei,
accade che un soffitto della Domus Aurea ceda.

accade
ma perché questo accade?
accade perché c’è qualcosa che è stata dimenticata, qualcosa che è stata annullata in questi ultimi anni, annullata nel nome di un potere, di un’economia di profitto gestita da pochi, qui in questa nostra terra, nel mondo, ed è l’attenzione.
L’attenzione alla cura verso questo pianeta, l’attenzione a tutto quello che ci sta attorno: donne, uomini, natura, regno animale.
C’è bisogno di fermarsi. Fermarsi per disfare e fare ponendo al centro il desiderio primario dell’attenzione alla cura, come da anni noi donne della politica stiamo elaborando e praticando.


Carmina Daniele 
della Città Felice Catania
1 novembre 2011

giovedì 3 novembre 2011

trenitalia cancella i collegamenti con la Sicilia!








Trenitalia si sta preparando a cancellare ogni collegamento ferroviario tra la Sicilia e il resto d'Italia. A partire da dicembre, tutti i treni diretti alunga percorrenza, in particolare i notturni, da e per i capoluoghi siciliani verranno cancellati (tranne un intercity per Roma della mattina); chiunque volesse tentare di partire in treno sarà costretto a traghettare a piedi, per accedere ad una costosissima "freccia rossa", che collega Reggio Calabria e Milano (con cambio a Napoli) due volte al giorno all'esorbitante cifra di oltre 150 euro per una tratta di sola andata.
Come faranno emigrati e studenti, che nel periodo delle festività, quando le tariffe aeree lievitano, dovranno raggiungere la Sicilia? Come faranno, durante tutto l'anno, lavoratori stagionali, precari, migranti, per cui il treno ha rappresentato l'unica possibilità di movimento, nella continua speranza di lavori comunque momentanei da cui trarre un minimo sostentamento, in una società in cui il "low cost" è un "lusso" per chi possiede una carta di credito?
La vergognosa decisione di Trenitalia, che ricordiamo essere una partecipata statale, non è che una delle conseguenze delle politiche governative che, invece di investire sulla mobilità sostenibile, hanno scelto, ormai da anni, di colpire le classi più deboli, i pendolari del nord, l'intero Mezzogiorno d'Italia e la Sicilia in particolare, e di puntare su grandi opere costose ed inutili come il ponte e la TAV. L'alta velocità si dimostra ancora una volta, oltre che un ecocidio, un lusso per le classi alte!
In questi mesi ci batteremo per il ripristino dei collegamenti ferroviari, ed invitiamo alla mobilitazione i lavoratori delle ferrovie, le organizzazioni sindacali, i movimenti e le forze democratiche.

mercoledì 2 novembre 2011

società della conoscenza, capitalismo dell'ignoranza. una proposta di discussione del circolo "olga benario"






















Società della conoscenza, capitalismo dell’ignoranza.

1. La questione della conoscenza come questione globale.

La conoscenza rappresenta un decisivo terreno di scontro tra il capitalismo contemporaneo e ogni istanza di liberazione sociale e umana.
Da un lato è riproposto in forme nuove e brutali l’antico tentativo delle classi dominanti di impedire alle classi subalterne l’accesso ai saperi e, quindi, agli strumenti di analisi e contestazione dell’asserita naturalità dei privilegi.
Dall’altro la natura medesima della produzione capitalistica dei nostri tempi apre una contraddizione formidabile, tra la voracità capitalistica di conoscenze sempre più necessarie alla produzione di merci e l’altrettanto insopprimibile tendenza del capitalismo neoliberista a distruggere le condizioni che permettono alle conoscenze stesse, alla cultura di svilupparsi.
Sono molteplici le forme e i terreni in cui questa contraddizione si rivela distruttiva.
In primo luogo, le politiche neoliberiste hanno innanzitutto colpito la dimensione e l’apertura dei sistemi d’istruzione in tutto il mondo.
Il movimento cileno per la ripubblicizzazione del sistema educativo è straordinariamente significativo non solo per la sua ampiezza e per la sua radicalità ma perché ha posto il problema di sconfiggere il sistema liberista dell’istruzione nel paese in cui esso si affermato nella sua forma più pura, con istituzioni della formazione e della ricerca quasi totalmente privatizzate.
In forme e dimensioni diverse questo è accaduto in molte parti del mondo e oggi è sottoposto a critica in tutto il mondo.
In secondo luogo, un attacco alle condizioni materiali della creazione culturale si è manifestato anche fuori dai sistemi formativi. Dalla produzione teatrale a quella musicale il taglio delle risorse pubbliche crea le condizioni per un abbassamento generale della qualità culturale, per il restringimento dell’accesso a essa, per la limitazione sociale proprio di quelle attitudini critiche e creative che più sarebbero necessarie, persino dal punto di vista produttivo, in una società che deve fare i conti con processi sempre più complessi.
In terzo luogo la cultura in ogni sua forma, nel quadro neoliberista è non solo attaccata nelle sue possibilità di sviluppo e diffusione sociale ma è anche compromessa nella sua natura. I processi di mercificazione e omologazione dell’immateriale, dell’immaginario, dell’informazione sono connessi a un capitale che tende a colonizzare ogni forma sociale, a non avere recinti entro cui contenere la sua tendenza alla valorizzazione.
Infine, la vita precaria di un numero sempre crescente di uomini e di donne (e degli stessi/e lavoratori e lavoratrici della conoscenza) tende a sottrarre tempo all’autoformazione e all’approfondimento.
Il capitalismo contemporaneo, quindi, tende a evocare la conoscenza come asse della società ma a realizzare una catastrofe culturale.
Descrivere tutto ciò, porta non solo alla denuncia di una situazione insopportabile, ma anche all’individuazione di forze concrete di resistenza, che attorno alla questione della conoscenza possano dividere il fronte avversario e realizzare un blocco alternativo. Ancora torna l’esempio cileno, dove attorno al movimento per l’istruzione pubblica si è realizzato blocco sociale che include i lavoratori, ma anche settori intermedi della società e si è rotto un blocco reazionario che aveva guidato socialmente la transizione in continuità con gli anni di Pinochet e che ancora pochi mesi fa era egemone.

2. In Italia.

Gli interventi operati dalla Gelmini, sin dal 2008, sono il più radicale, anche se non il primo, tentativo di allineare l’Italia a quest’onda liberista. Naturalmente dentro una situazione italiana che ha le sue specificità, prima tra tutte le storiche contraddizioni del sistema dell’istruzione nazionale e il particolare condizionamento delle gerarchie vaticane nell’ambito educativo.
L’impatto dei provvedimenti della Gelmini è stato devastante. I numeri dei tagli sono noti, in sintesi possiamo dire che in tre anni si è determinato un intero sistema formativo e della ricerca più piccolo, più inefficace, più discriminatorio negli accessi, più gerarchico al proprio interno.
Le giovani generazioni sono state brutalmente colpite con progressive barriere sociali e condizioni di studio inaccettabili dal punto di vista materiale che da quello didattico. È stato operato un massacro del personale precario sia nella scuola sia nell’università che  provoca, tra l’altro, una forte corrente di emigrazione intellettuale. I lavoratori a tempo determinato dei settori della conoscenza sono stati colpiti in maniera inaudita sul piano dei diritti sindacali, previdenziali, retributivi.
Con particolare virulenza reazionaria sono state colpite le esperienze più avanzate e sensibili socialmente del sistema scolastico: il modello di scuola primaria, l’integrazione dei disabili, i corsi serali. L’istruzione tecnica e professionale è stata funzionalizzata ai desideri di Confindustria per la formazione di manodopera (proveniente dai settori sociali subalterni e dall’immigrazione di seconda generazione) con scarsa qualificazione, bassi redditi e zero diritti. Sul piano della ricerca il governo ha sostanzialmente deciso l’uscita dell’Italia dai paesi moderni.
Una dequalificazione complessiva, una feroce selezione di classe, un’archiviazione della cultura critica sono le caratteristiche essenziali del sistema che è stato disegnato. Un sistema che ci parla del futuro del paese.
Le responsabilità di una simile catastrofe sono complesse. Ha, infatti, trovato molti alleati la feroce determinazione del governo e della maggioranza che unisce ideologia liberista, volontà di scaricare sul settore della conoscenza una larga parte dei tagli alla spesa pubblica, il tradizionale disprezzo della cultura di molta destra italiana. La Confindustria è stata diretta ed esplicita ispiratrice di molte scelte sul settore, concludendo un’opera di pressione che va avanti da anni e che ha condizionato molto anche i governi di centrosinistra. Cisl e Uil hanno compiuto una gravissima scelta di fiancheggiamento dell’esecutivo. La stessa debolezza dell’opposizione parlamentare è frutto dell’egemonia d’idee liberiste sul sistema formativo che toccano ampiamente, in particolare, settori del PD. Infine non è possibile sottovalutare la responsabilità di molti intellettuali e di grandi giornali le cui campagne, alcune vergognose come quella contro i precari, hanno costruito un contesto favorevole all’azione del governo.
Questo quadro così difficile rende ancor più importante l’esperienza delle lotte che si sono sviluppate in questi anni. Il movimento contro i provvedimenti della Gelmini nel 2008 è stato il primo grande segnale di opposizione in una fase in cui il governo Berlusconi godeva ancora di grande consenso. Le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici della conoscenza, dei precari, degli studenti, dei ricercatori hanno costituto in questi anni un punto di riferimento importante, hanno rotto il muro del silenzio, hanno in parte condizionato gli orientamenti politici e sindacali, hanno portato, elemento essenziale, nuove forze all’impegno.
I problemi, naturalmente sono stati enormi: la frantumazione sociale e le tendenze corporative sono fenomeni che negli anni hanno largamente scavato e che mettono sempre in questione l’unità delle lotte, tanto più in una situazione difficile di resistenza. L’inizio di quest’anno scolastico ha visto in particolare una difficoltà nella ripresa delle mobilitazioni, in particolare sul terreno del precariato su cui scontiamo i devastanti effetti delle nuove norme sulle graduatorie che hanno comportato l’emigrazione di migliaia di lavoratori, spesso tra i più attivi.
Più in generale ci appare indispensabile aprire una riflessione generale in cui il movimento di scuola, università, ricerca e cultura (con riferimento ad esperienze straordinarie come quella del teatro Valle) si ricollochi nella nuova fase politica e sociale che sta vivendo il paese, ridefinisca piattaforme, relazioni, forme di organizzazione.
Le questioni che ci sembrano centrali per questa riflessione sono:
- una più stretta azione comune dei diversi settori della conoscenza e delle differenti figure sociali che vi vivono e lavorano.
- una più compiuta e quotidiana relazione con le altre lotte che si sviluppano di fronte all’inasprirsi della crisi e delle politiche di governo e BCE. Questo può essere fatto a partire da una pratica di condivisione non solo di manifestazioni ma anche di riflessioni e soprattutto di luoghi.
- un profilo del movimento che superi un’attitudine difensiva dell’esistente, che pure in parte saranno ancora necessari di fronte alle nuove scelte del governo, privilegiando la costruzione di una piattaforma che ponga l’obiettivo di invertire le tendenze delle politiche del mondo della conoscenza e della cultura. Questo è particolarmente importante di fronte a possibili cambiamenti del quadro politico.
- una discussione seria e non sloganistica intorno al concetto di “conoscenza bene comune” o in altri termini sulle forme in cui il discorso sulla conoscenza diventi centrale in un progetto generale di trasformazione della società, possa essere il cemento di alleanze sociali e politiche.

3. Nel Sud, in Sicilia, a Catania.

Le controriforme della Gelmini e la tragica prospettiva del federalismo hanno reso gigantesca una questione meridionale nel settore della conoscenza che è comunque uno dei nodi storicamente irrisolti.
Com’è noto una quota preponderante dei tagli ha colpito le grandi regioni meridionali e, come abbiamo già scritto, questo provoca una più forte emorragia di risorse intellettuali dal Sud del paese, contribuendo al suo impoverimento.
Le tante vicende d’insegnanti costretti a emigrare al Nord o di ragazzi che, appena diplomati, vanno a cercare opportunità formative altrove, ci dicono non solo di una drammatica condizione umana e sociale ma anche della deprivazione di un territorio, della negazione in radice delle sue possibilità di sviluppo.
E’ chiaro che per cambiare questa situazione è necessario vincere la battaglia più generale per rovesciare radicalmente l’impostazione delle politiche in direzione di un sistema nazionale della scuola, dell’università, della ricerca equilibrato e che faccia un investimento serio sulle regioni meridionali. Questo investimento dovrebbe essere parte di un intervento per il mezzogiorno profondamente rinnovato, che punti proprio su formazione, ricerca e valorizzazione dei beni culturali come assi di sviluppo.
Questo dovrebbe valere non solo per la valorizzazione delle risorse intellettuali meridionali ma in un’ottica mediterranea.
Le rivolte della sponda sud hanno mostrato la straordinaria vitalità di nuove generazioni che non devono essere lasciate sole. La cooperazione sud-sud, in particolare a livello universitario e di ricerca, è un elemento sul quale le regioni meridionali e in particolare la Sicilia, dovrebbero lavorare come elemento di crescita e di affermazione di un ruolo diverso nel Mediterraneo, che è decisivo anche per lo sviluppo economico.
Su questo obiettivo è possibile e necessario attivarsi da subito, anche dal basso, premendo sulle singole istituzioni universitarie, oltre che su regioni ed enti locali e attivando relazioni e scambi con il mondo universitario dei paesi dell’Africa settentrionale.
Una verifica, in rapporto con le organizzazioni sindacali, in particolare la FIOM, e con le RSU va fatta rispetto allo stadio dei rapporti tra ricerca e mondo produttivo nel Mezzogiorno, per denunciare scelte strumentali e di corto respiro e aprire vertenze. Il caso ST, per la dimensione dell’insediamento produttivo e per i fitti rapporti sviluppati con il mondo accademico negli anni, acquista il valore di un caso paradigmatico dei limiti dei rapporti tra ricerca e produzione nel Mezzogiorno d’Italia.
Sul piano del sistema scolastico al livello regionale e locale la lotta contro il disegno della Gelmini va condotta assumendo con forza la questione delle strutture.
Una questione che incontra i problemi della controriforma e dei tagli a due livelli: da un lato le cosiddette “classi pollaio”, dall’altro le percentuali risibili d’istituti che garantiscono il tempo pieno e il tempo prolungato.
Sul primo problema ogni anno la denuncia di classi così piene da rendere impossibile la didattica e da mettere a rischio elementari norme di sicurezza si spegne nelle prime settimane di scuola. È necessario dare continuità a un’azione concreta di verifica delle condizioni effettive di lavoro e di studio.
Più in generale è necessario costruire politicamente l’ipotesi di un grande piano di adeguamento dell’edilizia scolastica, che sarebbe anche una grande occasione di lavoro. È possibile e necessario che per questo progetto operino insieme studenti, lavoratori della scuola, la Fillea, organizzazione dei lavoratori edili.
Sul secondo problema, è necessario aprire nel sud, con regioni ed enti locali, una vertenza per un adeguamento di strutture e servizi che permettano di aumentare sensibilmente la quota di tempo e tempo prolungato, via maestra per una nuova offerta formativa, in particolare nelle aree più disagiate socialmente, e per  garantire un allargamento degli organici.
È necessario dalle regioni meridionali, dove si concentra il precariato, rilanciare un forte impegno nazionale per la stabilizzazione. Il discorso va ripreso a partire dalle richieste di totale ritiro dei tagli e d’istituzione di un organo aggiuntivo d’istituto e dal rilancio del percorso, già previsto da una legge dello Stato, di rapida stabilizzazione di tutti i precari delle graduatorie ad esaurimento. Questa deve essere la precondizione per avviare una nuova fase di reclutamento, aperta alle giovani generazioni di laureati.
Su un piano più generale, dal sud è necessario costruire un salto di qualità nell’incontro tra i saperi e i movimenti di lotta. Pensiamo alle tante lotte per la difesa dell’ambiente e del territorio che trarrebbero una carica straordinaria dall’intreccio con i saperi complessi di cui sono portatori i lavoratori della conoscenza. Da questo intreccio può nascere un’unificazione e un impatto generale di lotte che, troppo spesso, sono tanto importanti quanto disperse. Da questo intreccio possono nascere, inoltre, piattaforme di proposta articolate in grado di far contare politicamente questioni decisive.
È dal Mezzogiorno che un movimento per la conoscenza come bene comune può manifestare tutta la carica di trasformazione.


Nota di lettura: nel testo usiamo la dizione lavoratori e lavoratrici della conoscenza ed in particolare per la scuola non facciamo distinzione tra figure docenti ed ATA. Pensiamo infatti che, pur riconoscendo la specificità di ogni esperienza professionale, sia necessario anche uno sforzo linguistico di unificazione del mondo del lavoro.

un referendum contro l'Europa delle banche













L’annuncio a sorpresa del premier greco Papandreou di voler sottoporre a referendum l’accordo europeo sulla ristrutturazione del debito ellenico e le conseguenti misure di austerità, che vengono imposte alla Grecia come condizione per accedere ai programmi di salvataggio delle istituzioni monetarie internazionali, irrompe sul vertice del G20 di Cannes, che si terrà domani, 3 novembre.
Il vertice segue l’accordo raggiunto il 26 ottobre dai capi di governo dell’Europa a 27 sulla gestione delle conseguenze del “fallimento pilotato” della Grecia sui coefficienti patrimoniali delle banche europee, che hanno i portafogli pieni di titoli del debito pubblico dei paesi periferici dell’area euro. L’aver previsto una ristrutturazione dei titoli ellenici, in una misura pari a circa il 50% del loro valore nominale, equivale tecnicamente ad un evento di default, e a nulla rileva il fatto che le banche e le grandi istituzioni finanziarie aderirebbero al piano su basi volontarie, dietro la promessa di capitali freschi, provenienti, per il tramite di una riforma del Fondo Monetario Internazionale, dai paesi emergenti, per colmare i paurosi buchi di bilancio che la crisi del debito europeo rischia di causare.
Si tratta pur sempre di Distressed  Exchange, come ha certificato Fitch, una delle famigerate agenzie di rating internazionali, e quindi di un evento di default che farebbe scattare obblighi di risarcimento miliardari per le istituzioni che hanno emesso gli altrettanto famigerati Credit Default Swap, il cui vasto e poco trasparente mercato è stato il teatro preferito degli attacchi speculativi al debito pubblico dell’eurozona.
Ma il duo Merkel/Sarkozy e i tecnocrati delle banche hanno fatto il conto senza l’oste. Se veramente il referendum si terrà, i greci avranno modo di esprimersi sulle reali intenzioni dei “piloti” del proprio default: avranno modo di giudicare su se stessi, riappropriandosi del proprio diritto all’insolvenza, dei drammatici costi sociali che comporterà, ma anche delle speranze di ricostruzione che potrebbero accompagnarla e seguirla. In ogni caso ciò non cancella le precedenti responsabilità di Papandreou, e le due più importanti forze di sinistra greche, il KKE e SYRIZA, che in questi anni hanno dato vita ad imponenti manifestazioni, premono comunque per elezioni anticipate, ma è evidente che la mossa del presidente del consiglio greco, se lo espone al rischio di uno scivolone parlamentare sin dal voto di fiducia di venerdì, ha immediatamente rovesciato il tavolo e dettato una nuova agenda ai lavori del G20 di Cannes.
Comunque vadano le cose, la proposta di referendum può rappresentare un’occasione storica per la sinistra politica, per entrare in connessione con la vasta alleanza sociale e con il movimento che si oppone ai ricatti della troika internazionale e che con il referendum ha l’opportunità di proporsi alla guida degli straordinari cambiamenti in atto. Se  la consultazione referendaria si dovesse tenere, la mobilitazione che si riuscirà a mettere in campo ci restituirà la cifra del rinnovato protagonismo delle forze sociali e politiche democratiche; secondo un recente sondaggio il 60% dei greci potrebbe votare no alle politiche di risanamento del governo Papandreou.
E in Italia? Il governo Berlusconi sembra ormai giunto all’epilogo. La serie di pre-consultazioni del presidente della Repubblica con le delegazioni dei partiti dell’opposizione parlamentare e la pronta disponibilità del PD, dell’IDV e del Terzo Polo ad un esecutivo di salvezza nazionale, con il compito di portare a compimento il massacro sociale annunciato da Berlusconi nella sua lettera all’Unione Europea,  sono elementi significativi della nuova fase che si potrebbe aprire.
A sinistra, segnaliamo una ripresa del movimento che il 15 Ottobre aveva  portato a Roma centinaia di migliaia di donne e di uomini, un movimento che intende contrapporre i principi della democrazia diretta e partecipata, agli accordi di vertice dell’establishment politico e finanziario che governa la globalizzazione.
Come è stato acutamente osservato: questo movimento, se da un lato ha piena consapevolezza del cambiamento di fase in atto, assumendo tra le proprie parole d’ordine il tema della cancellazione del debito, dall’altra parte non sembra aver maturato fino in fondo la piena comprensione degli effetti che provocherebbe una dichiarazione di insolvenza dell’Italia. Come ha scritto Emiliano Brancaccio in una sua recente intervista, la conseguenza immediata di un default è che uno stato o una comunità di stati per un lungo periodo dovrebbero fare a meno del ricorso ai prestiti internazionali; si tratta di una “linea che affiderebbe di nuovo un ruolo forte allo stato nazionale, o a una comunità di stati che puntino a una politica economica più autonoma rispetto alle leggi impersonali della cosiddetta globalizzazione”.
Per questo motivo è importante la proposta della FIOM, espressa oggi da Giorgio Cremaschi, e della Federazione della Sinistra: si proponga anche in Italia un referendum sul cosiddetto pacchetto di misure anti-crisi del governo Berlusconi, si dica no al governo della BCE, sia pure annacquato in salsa democratica, e si dia voce ad un intero popolo che reclama più democrazia e più partecipazione. Si aprirebbe un ampio dibattito e si stimolerebbero energie e competenze che oggi appaiono ingabbiate dal ricatto sociale del debito e delle presunte “virtù” richieste dall’austerità repubblicana. Potrebbe essere il riaffermarsi di una nuova speranza di cambiamento per un paese ormai stremato da un trentennio di politiche neoliberiste e un ventennio di fascismo estetico berlusconiano.
Intanto nei prossimi giorni teniamo alta la mobilitazione nelle piazze e nelle strade, un altro futuro è possibile. PEOPLE OF EUROPE RISE UP !

Alberto Rotondo

martedì 1 novembre 2011

domenica 6 novembre, appuntamento con il GAP








CATANIA: CONTRO LA CRISI, A TUTTO GAP

Ci aspettavamo molta gente, per l’inaugurazione del quarto anno del “GAP città futura”, ma la partecipazione, calorosa e variegata, ha superato ogni aspettativa: dagli anziani del quartiere, che già all’apertura affollavano la strada, a tanti giovani che vivono il gruppo di acquisto come concreta pratica politica contro la crisi e per la trasformazione sociale.
Il GAP è cresciuto, in questi anni, insieme al circolo e al suo radicamento, divenendo, di volta in volta, punto di incontro per la costruzione di vertenze cittadine, come quelle sulla tarsu e la raccolta differenziata e sul canone dell’acqua pubblica, e di campagne politiche.
Abbiamo iniziato con la distribuzione del pane a un euro al chilo, nella nostra vecchia sede, quasi un garage, poi si sono aggiunte la campagna di “arancia metalmeccanica”, con gli agrumi di Francofonte, e quella contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti, con le patate di Cassibile.
L’esperienza del GAP ci ha accompagnato nel nostro percorso di costruzione di modalità diverse dell’agire politico, che tengano insieme lotte, solidarietà e socialità. Con questo spirito abbiamo aperto la nuova sede del circolo città futura, una casa del popolo in miniatura, che già nei primi sei mesi di attività ha proposto decine di iniziative politiche, presentazioni di libri, cene sociali, aperitivi popolari, mostre, oltre al GAP, allo sportello legale e alle pratiche di solidarietà attiva con i migranti del cara di Mineo.
L’autorganizzazione dell’acquisto collettivo ha contribuito a rinsaldare vincoli di solidarietà tra gli abitanti del quartiere e ha riunito tanti piccoli produttori locali, che vedono nel consumo critico e nei principi della “democrazia a chilometro zero” una via di uscita da sinistra alla crisi della globalizzazione capitalistica.
Chi sceglie di aderire al GAP – già oltre cento adesioni per questo nuovo anno, in una sola mattinata – non cerca più soltanto un luogo in cui fare la spesa a prezzi popolari: un grande risultato politico, per noi, è la partecipazione ed il coinvolgimento di tante persone che si sono avvicinate da “consumatori”, magari incuriositi da una nuova modalità, e che in seguito si sono sentite sempre più coinvolte da pratiche politiche che mettono in discussione i modelli imposti dal pensiero unico e che propongono modalità reali di trasformazione critica della società. Nella campagna referendaria di giugno, così come nella raccolta di viveri e indumenti per i migranti di Mineo, il “popolo del GAP” ci ha dato conferma di come la nostra iniziativa non sia affatto una distribuzione di merci, ma la costruzione di una rete di mutualismo e solidarietà.
Il gruppo dei produttori è cresciuto insieme al gruppo di acquisto; la maggior parte sono giovani, come Miriam e Cristina, che da un anno hanno messo su la cooperativa Archiflora, dimostrando che si possono avere prodotti agricoli di stagione, sani e a chilometro zero a prezzi bassi: il loro primo raccolto di ortaggi biologici è distribuito al GAP ad un euro al chilo, insieme alle conserve di pomodoro e alle piante aromatiche, poi ci sono le confetture di Itinerari di gusto, le bevande di Spezie e sapori e i saponi naturali… e nelle prossime domeniche – dal 6 novembre la prima e la terza di ogni mese, in via Gargano, 37 a Catania – ci saranno anche gli agrumi e l’olio di nuova produzione, oltre all’immancabile pane: più di cento chili distribuiti ad ogni GAP.