E’ in atto un'emergenza umanitaria di gravi proporzioni legata ai rivolgimenti politici nel mondo arabo: il governo italiano e l’Europa, continuando con le politiche discriminatorie e scegliendo la guerra rendono esplosiva la situazione.
E’ necessaria una forte mobilitazione contro la guerra e il razzismo e per questo manifesteremo domenica a Sigonella e Mineo, ma è anche necessaria un’azione di solidarietà concreta verso i migranti costretti in luoghi improvvisati, in condizioni critiche.
Il Circolo Città futura del PRC, organizza sabato 2 aprile, dalle 16,30 alle 20, nella sede di via Gargano 37, Catania, una raccolta di generi di prima necessità che, in coordinamento con le associazioni antirazziste siciliane, verrano inviati a Lampedusa e negli altri luoghi in cui si dovesse creare una situazione di emergenza.
Sono richiesti soltanto: alimenti (biscotti, latte, scatolette, zucchero, the, barrette di cioccolato), prodotti per l’igiene (shampo, bagnoschiuma, dentifricio, teli di spugna), vestiario (da uomo, calze, magliette, pantaloni, felpe), scarpe (dal 41 in su), coperte. Non si raccoglie nessun altro tipo di indumenti o oggetti non specificati.
giovedì 31 marzo 2011
mercoledì 30 marzo 2011
domenica 3 aprile manifestazione contro la guerra a sigonella e mineo
Fermiamo la guerra neocoloniale ed il razzismo
Sosteniamo il diritto all’autodeterminazione dei popoli
La risoluzione ONU n. 1973 ha portato altre sofferenze al popolo libico oltre quelle già inferte dal regime di Gheddafi. L’obiettivo degli Stati Uniti e delle potenze europee non è la difesa dei diritti umani, ma le risorse energetiche (giacimenti di petrolio e gas), rese ancora più preziose di fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale e dalla inevitabile escalation dei prezzi. Di fronte agli aerei e alle navi militari che stanno bombardando la Libia, non ci si può che indignare ricordando come niente di tutto questo fu messo in campo mentre le forze armate israeliane bombardavano la popolazione palestinese rinchiusa a Gaza tra il 2008 e il 2009 (1.400 i morti, la metà civili inermi). Due pesi e due misure? No, complicità con i crimini di guerra e interessi strategici che prevalgono sistematicamente su ogni diritto umano e dei popoli. L’intervento militare NATO in Libia suona inoltre come minaccia anche contro i movimenti popolari in Tunisia, Egitto, Algeria, i quali hanno avviato processi di cambiamento importanti, ma i cui esiti rappresentano ancora un’incognita per gli interessi delle transnazionali occidentali.
La Sicilia è la regione d’Italia maggiormente coinvolta dalle scellerate scelte governative di guerra: le basi militari USA, italiane e Nato di Trapani-Birgi, Sigonella, Augusta, Pantelleria e Niscemi stanno contribuendo direttamente ai bombardamenti; inoltre nella baia di Augusta approdano sommergibili con pericolosi ed insicuri reattori nucleari. In particolare da Sigonella operano i cacciabombardieri NATO e i micidiali Global Hawks dell’US Air Force, gli aerei senza pilota che decollano a pochi km dal terzo aeroporto italiano per traffico passeggeri (Catania-Fontanarossa), mentre da Trapani-Birgi vengono scatenati i bombardamenti dei caccia italiani e di altri partner alleati. Intanto nell’isola a Lampedusa si sperimentano le nuove politiche segregazioniste del ministro Maroni: il Villaggio degli aranci (abbandonato dai militari USA di stanza a Sigonella) a Mineo, di proprietà di una delle principali società di costruzioni (la Pizzarotti Spa di Parma) è stato trasformato in un lager dove recludere 2000 tra richiedenti asilo (sradicati dai Cara del resto d’Italia e lì deportati) e migranti fuggiti dalla Tunisia. Il governo, dopo avere esasperato volutamente la situazione a Lampedusa per sperimentare nuove guerre fra poveri, affida alle unità da sbarco della Marina militare la deportazione a Mineo, nelle ex caserme e negli altri centri di detenzione italiani dei migranti che sono riusciti a raggiungere l’isola.
Dalla Sicilia, dove 30 anni fa nacque il movimento contro gli euromissili a Comiso, bisogna ricostruire la solidarietà internazionalista fra tutte le vittime della globalizzazione e le sue devastanti politiche di guerra, razzismo e morte, imparando dall’esempio delle rivolte popolari in Nordafrica.
La Sicilia non è zona di guerra, via le basi militari dalla nostra terra
Sì all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione della Sicilia
Contro la guerra ed il razzismo, con il popolo libico senza se e senza ma
Nessuna complicità con l’intervento militare contro la Libia
No al lager per richiedenti asilo di Mineo
Domenica 3 aprile
ore 09,30 presidio di fronte base militare di Sigonella (piazzale SS. Ct-Gela)
dalle ore 11,30 presidio di fronte Villaggio degli Aranci -Mineo
ore 15,30 assemblea a Mineo
tanti appuntamenti ad aprile al circolo città futura
tanti appuntamenti per il mese di aprile nella sede del circolo città futura, via gargano, 37, catania
- domenica 3 aprile e domenica 17 aprile, dalle 10,30 alle 13, si terrà il gruppo di acquisto popolare: troverete pane, ortaggi, frutta, miele, conserve, vino, liquori, olio, formaggi e tanto altro...
- domenica 10 aprile, dalle 17, il tè della domenica, un pomeriggio di socialità e cultura con té, tisane e dolci casalinghi, con:
"la bottega della poesia": letture di nino meli e gaetano privitera
"eppure soffia ancora…": fotografie di alberta dionisi, testi di daniela di dio
"gap sala da té": miele, conserve, liquori e... libri
- sabato 16 aprile, alle 19,30, incontro con Annamaria Rivera, editorialista di liberazione e docente universitaria, che presenterà il suo libro sui migranti “Spelix”, a seguire CENA SOCIALE con tante specialità mediterranee
- venerdì 29 aprile, dalle 19, "l'ora felice": aperitivo con buffet, con:
"la bottega della poesia": letture di pamela nicolosi e pierangelo spadaro
vi aspettiamo!
martedì 29 marzo 2011
lunedì 28 marzo 2011
acqua pubblica: azione legale contro la sidra
Il circolo Città Futura - PRC/federazione della sinistra e la sezione Concetto Marchesi - PdCI/federazione della sinistra in questi anni si sono battuti a difesa dell'acqua pubblica e dei diritti dei cittadini, che a Catania hanno subito da parte della Sidra il vergognoso abuso dell'ingiusta trattenuta di considerevoli somme a titolo di canone fognario e di depurazione nel triennio 2006/2008.
In seguito alle lotte della federazione della sinistra, la sentenza n°335/2008 della Corte Costituzionale ha riconosciuto l'illegittimità delle onerose trattenute da parte della Sidra, che si ostina però, nonostante numerose diffide, a non rimborsare i canoni impropriamente riscossi.
Per questo, il circolo Città Futura e la sezione Concetto Marchesi della federazione della sinistra promuovono un'azione legale verso la Sidra, perchè sia garantito ai cittadini il diritto all'acqua e la restituzione dell'immotivato canone fognario e di depurazione.
In seguito alle lotte della federazione della sinistra, la sentenza n°335/2008 della Corte Costituzionale ha riconosciuto l'illegittimità delle onerose trattenute da parte della Sidra, che si ostina però, nonostante numerose diffide, a non rimborsare i canoni impropriamente riscossi.
Per questo, il circolo Città Futura e la sezione Concetto Marchesi della federazione della sinistra promuovono un'azione legale verso la Sidra, perchè sia garantito ai cittadini il diritto all'acqua e la restituzione dell'immotivato canone fognario e di depurazione.
Tutti i cittadini interessati ad aderire all'azione legale per ottenere la restituzione del canone sono invitati all'assemblea che si terrà martedì 29 marzo, alle ore 18, presso la sede del circolo Città Futura, via Gargano 37, Catania.
sabato 2 aprile, mobilitazione nazionale contro la guerra
Sabato 2 aprile a Roma, in Piazza San Giovanni, alle 15.00
Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti che attraversano la Libia. E il nostro Paese ha scelto la guerra “contro Gheddafi”: ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.
Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. Ogni “guerra umanitaria” è in realtà un crimine contro l’umanità.
Se si vuole difendere i diritti umani, l’unica strada per farlo è che tutte le parti si impegnino a cessare il fuoco, a fermare la guerra, la violenza, la repressione.
Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Appaiono inevitabili a chi per anni ha ignorato le violazioni dei diritti, a chi si è arricchito sul traffico di armi, a chi ha negato la dignità dei popoli e la giustizia sociale. Appaiono inevitabili a chi le guerre le ha preparate.
Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. E’ la scelta assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera “cultura di guerra”.
“Questa é dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si può sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l’umanità rinunciare alla guerra?”
Dal Manifesto di Russell-Einstein, 1955
Perché l’utopia diventi progetto, dobbiamo innanzitutto imparare a pensare escludendo la guerra dal nostro orizzonte culturale e politico. Insieme a tutti i cittadini vittime della guerra, della violenza, della repressione, che lottano per i diritti e la democrazia.
“La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.”
Albert Einstein
Primi firmatari:
Gino Strada, Carlo Rubbia, Luigi Ciotti, Renzo Piano, Maurizio Landini, Massimiliano Fuksas, Luisa Morgantini.
FIRMA L'APPELLO
giovedì 24 marzo 2011
sabato 26 marzo, manifestazione contro la guerra
Fermiamo la guerra neocoloniale ed il razzismo
Sosteniamo il diritto all’autodeterminazione dei popoli
La Sicilia non è zona di guerra, via le basi militari dalla nostra terra
Si all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione
Contro la guerra ed il razzismo, con il popolo libico senza se e senza ma
NESSUNA COMPLICITÀ CON L’INTERVENTO MILITARE CONTRO LA LIBIA
Sabato 26, Catania, dalle 17,30 – manifestazione in via Etnea
(partenza di fronte alla villa Bellini, conclusione in piazza Università)
martedì 22 marzo 2011
fermiamo la guerra neocoloniale ed il razzismo: mobilitazioni a catania
Fermiamo la guerra neocoloniale ed il razzismo
Sosteniamo il diritto all’autodeterminazione dei popoli
La risoluzione ONU n. 1973 porterà altre sofferenze al popolo libico oltre quelle già inferte dal regime di Gheddafi. L’obiettivo degli Stati Uniti e delle potenze europee non è la difesa dei diritti umani ma le abbondanti risorse energetiche (giacimenti di petrolio e gas), rese ancora più preziose di... fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale e dalla inevitabile escalation dei prezzi. Di fronte agli aerei e alle navi militari che stanno bombardando la Libia per "proteggere i civili", non ci si può che indignare ricordando come niente di tutto questo fu messo in campo mentre le forze armate israeliane bombardavano senza pietà la popolazione palestinese, rinchiusa nella gabbia di Gaza tra il 2008 e il 2009 (1.400 i morti, la metà civili inermi). Due pesi e due misure? No, complicità con i crimini di guerra e interessi strategici su gas e petrolio che prevalgono sistematicamente su ogni diritto umano e dei popoli. L’intervento militare in Libia delle potenze della coalizione internazionale (USA, paesi NATO ed emirati arabi) suona inoltre come monito e minaccia anche contro i movimenti popolari in Tunisia, Egitto, Algeria, i quali hanno avviato processi di cambiamento importanti, ma i cui esiti rappresentano ancora un’incognita per gli interessi delle transnazionali occidentali e per gli interessi geopolitici delle varie potenze. Le risorse energetiche libiche sono immense e gli attuali “primi della classe” (Francia, Inghilterra, USA) intendono spartirsele attraverso i ben noti strumenti di “pace”, sperimentati in questi anni a partire della guerra contro la Jugoslavia, in Afghanistan, Iraq e Libano. I contenuti della campagna mediatica scatenata sui fatti di Libia sono un modello ben noto – e “bipartisan” – per legittimare di fronte all’opinione pubblica l’aggressione militare.
La Sicilia è la regione d’Italia maggiormente esposta alle ritorsioni e più direttamente coinvolta dalle scellerate scelte governative di guerra: le basi militari Usa, italiane e Nato di Trapani-Birgi, Sigonella, Augusta, Pantelleria e Niscemi stanno contribuendo, non solo indirettamente ma oramai anche direttamente, ai bombardamenti. In particolare da Sigonella operano i cacciabombardieri USA, canadesi e danesi e i micidiali Global Hawks, aerei senza pilota, che decollano a pochi km dal terzo aeroporto italiano per traffico passeggeri (Catania-Fontanarossa), mentre da Trapani-Birgi vengono scatenati i bombardamenti dei Tornado italiani e di altri velivoli da guerra dei partner NATO. Sempre in Sicilia si sperimentano le nuove politiche segregazioniste del ministro Maroni: il Villaggio degli aranci (abbandonato dai militari Usa di stanza a Sigonella) a Mineo, è stato trasformato in un megacentro di “accoglienza” di 2000 richiedenti asilo, sradicati dai Cara del resto d’Italia e lì deportati per fare spazio al presunto “esodo biblico” dal Nordafrica; intanto il governo, incapace di trasferire nel resto d’Italia poche migliaia di migranti giunti nei giorni scorsi a Lampedusa, volutamente esaspera la situazione fra isolani e migranti per sperimentare nuove guerre fra poveri. Dalla Sicilia, dove 30 anni fa nacque il movimento contro gli euromissili a Comiso, bisogna ricostruire la solidarietà internazionalista fra tutte le vittime della globalizzazione e le sue devastanti politiche di guerra, razzismo e morte, imparando dall’esempio delle rivolte popolari in Nordafrica .
In Libia occorre fare appello per un cessate il fuoco immediato e l’avvio di una conciliazione tra le parti in conflitto. Ciò potrà avvenire solo attraverso l’autorevolezza di una proposta fatta da soggetti neutri e disinteressati alle vicende interne libiche, non certo dai bombardieri dei paesi che hanno colonizzato l’Africa, rapinato le sue risorse, condannandola alla fame e ai conflitti fratricidi .
La Sicilia non è zona di guerra, via le basi militari dalla nostra terra
Si all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione
Contro la guerra ed il razzismo, con il popolo libico senza se e senza ma
NESSUNA COMPLICITÀ CON L’INTERVENTO MILITARE CONTRO LA LIBIA
Mercoledì 23/3 dalle ore 17,00 – presidio in via Etnea, angolo via Prefettura
Sabato 26/3 alle 17,30 – manifestazione in via Etnea
(partenza di fronte alla villa Bellini, conclusione in piazza Università)
contro la guerra senza se e senza ma
LA GUERRA “UMANITARIA” E’ CONTRO I POPOLI E PER IL PETROLIO
APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PER LA PACE CONTRO LA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA ALLA GUERRA
Una nuova odiosa sporca guerra per il petrolio è cominciata in questi giorni contro la Libia. L’Italia è ridotta ad una portaerei e in violazione dell’art.11 della Costituzione decide - per dirla con l’indimenticato don Tonino Bello- di diventare “un arco di guerra proteso minaccioso nel Mediterraneo”. Di nuovo il parlamento è ridotto ad una caserma, con una votazione bipartisan a favore della guerra, e con una grottesca ed ingloriosa corsa a scavalcare a destra il governo come la disponibilità espressa da Di Pietro anche per l’intervento militare di terra.
- L’Italia è la linea del fronte e non da adesso. L’unica preoccupazione dei nostri governanti è stata sempre e solo quella di contenere e respingere i profughi e di mantenere salde le mani sul petrolio e il gas libico. In tutti questi anni le aspirazioni alla libertà di quel popolo sono state frustrate, ignorate e derise per fino dai baciamani nei confronti del capo di quel regime oppressivo.
- Per lungo tempo e anche nelle ultime settimane l’Europa e la comunità internazionale sono state prima complici dei regimi corrotti del Magrheb e poi mute davanti alle rivolte arabe per la giustizia sociale e la libertà. Non una politica di cooperazione è stata avanzata, non una revisione degli accordi economici neoliberisti che hanno affamato quei popoli è stata presa. Di nuovo silenzio e complicità accompagnano la sanguinosa repressione delle masse arabe nello Yemen e nel Bahrein.
Con un copione ormai logoro si ripropone tutta la retorica ipocrita dell’interventismo democratico e della guerra umanitaria. Di nuovo tornano a braccetto alimentandosi l’un l’altra i due attori della guerra di civiltà: l’occidente capitalista da un lato e il fondamentalismo religioso dall’altro. Si vuole cioè far girare al contrario l’orologio della storia. Ogni cruise lanciato su Tripoli è nuovo odio che i fondamentalisti mettono in cascina in tutto il mondo arabo. Perché nemici di multinazionali e fondamentalisti religiosi, sono i popoli e la loro volontà di autodeterminarsi costruendo esperienze democratiche non più prigioniere del pensiero unico del mercato. Tutto deve tornare alla guerra al terrore perché il cambiamento del mondo arabo chiede una via diversa di risoluzione della crisi economica da quella prospettata dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale.
Respingiamo per questo l’inaccettabile ricatto “o stai con Gheddafi o stai con i bombardieri della Nato”. Noi siamo contro la guerra sempre, senza se e senza ma , perché tutte le “guerre umanitarie” hanno dimostrato il loro fallimento degli obiettivi dichiarati – tutelare i civili e promuovere la democrazia – mentre si sono tutti realizzati gli obiettivi nascosti e denunciati dal movimento per la pace (mettere le mani sulle risorse energetiche, ingrassare con le spese militari e con la corsa agli armamenti le lobby al potere, sostenere regimi fantoccio falsamente democratici).
Rifondazione Comunista non si arruola alla guerra, sostiene la lotta dei popoli per la liberazione e al contempo si oppone con forza all’intervento militare occidentale e all’uso delle basi poste sul nostro territorio. Ogni tentennamento della sinistra e delle organizzazioni sindacali su questo aprirebbe la strada alla definitiva cancellazione dell’art.11 della Costituzione e rappresenterebbe una gravissima regressione culturale in grado di sdoganare la guerra come strumento possibile ed accettabile della politica. Guerra e umanità sono incompatibili. Un’altra strada è possibile a cominciare dalla protezione umanitaria per i profughi e da una conferenza internazionale sul Mediterraneo e da una mediazione politica/diplomatica che porti all’immediato cessate il fuoco e ad una riconciliazione della Libia dentro un quadro unitario e democratico.
Documento del Dipartimento Esteri e Pace del Partito della Rifondazione Comunista
domenica 20 marzo 2011
l'italia ripudia la guerra?
Costituzione della Repubblica Italiana - art.11 - L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
mobilitazione immediata contro la guerra
Dichiarazione del coordinamento regionale della Federazione della Sinistra siciliana.
Il governo italiano ha deciso la partecipazione ad una guerra coloniale, che rischia di trasformarsi in un disastro dalle proporzioni inaudite, per una vasta area del mondo.
La Sicilia è al centro di questo conflitto e rischia di pagare un prezzo pesantissimo.
Le basi militari nell’isola stanno dispiegando tutto il loro potenziale di morte e disegnano per la nostra terra il ruolo di piattaforma di aggressione contro la sponda sud del Mediterraneo.
E’ necessaria un’immediata mobilitazione contro la guerra e contro l’ipocrisia delle classi dirigenti occidentali che travestono da intervento umanitario concreti interessi politici ed economici, perseguiti, tra l’altro, con il sostegno ai regimi più corrotti e sanguinari.
La condizione principale per garantire il futuro della Sicilia è la costruzione di uno spazio di pace e di cooperazione nel Mediterraneo.
La Federazione della Sinistra in questo momento drammatico fa appello a un grande impegno collettivo che fermi il disastro e riapra una prospettiva diversa per tutti i popoli.
la retorica del tricolore e l'imperialismo italiano
Una interessante analisi di Alberto Burgio (da Liberazione di oggi) su miti e menzogne dell'unità d'Italia, dopo 100 anni di nuovo in guerra contro la Libia
Non capita spesso che gli avvenimenti si incastrino tra loro in modo così perfetto. Non si era ancora spenta l'eco delle celebrazioni del 150° dell'unità nazionale (e delle relative polemiche) che già le agenzie battevano il testo della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che impone il blocco aereo alle forze fedeli a Gheddafi. Eventi diversi, certo, e distanti tra loro. Ma anche legati da fili invisibili e ricchi di senso. Non diremo che i drammatici sviluppi della crisi libica, destinati a coinvolgere pesantemente il nostro Paese, contengono l'interpretazione autentica dei festeggiamenti dell'unificazione italiana. Di certo però offrono un'interessante chiave di lettura.
Cerchiamo di mettere ordine in una matassa di problemi complicati. Come vediamo la questione dell'unità nazionale? Non c'è dubbio: patria, nazione e identità sono concetti controversi, che negli ultimi centocinquant'anni hanno conosciuto declinazioni prevalentemente regressive. Da ciò discende forse che hanno ragione quanti istituiscono un'equazione immediata tra nazionalità e nazionalismo? È condivisibile la posizione di chi considera l'idea di nazione patrimonio esclusivo della destra, ritenendola estranea ai processi di autorappresentazione senza i quali difficilmente una comunità civile potrebbe costituirsi e conservarsi nel tempo?
Non lo crediamo - e del resto non è privo di significato il fatto che simili giudizi liquidatori siano condivisi anche da una parte della destra, non la meno retriva e minacciosa. È vero, da un secolo e mezzo (a valle dell'unificazione italiana e tedesca) ha prevalso la dimensione aggressiva e guerresca del nazionalismo, che ha trionfato nelle due guerre mondiali. A ragione questo periodo storico è definito «età degli imperialismi». Gli Stati capitalistici hanno nazionalizzato le masse (spesso su base plebiscitaria e razzista) per competere tra loro nelle guerre coloniali e per contendersi materie prime e mercati. L'Italia - con buona pace di una tenace vulgata autoassolutoria - non è stata, in questa corsa alle armi, da meno delle altre nazioni occidentali. Anzi, proprio perché giunta in ritardo all'unificazione, vi ha preso parte con maggiore aggressività. Derivarono da qui il connotato marcatamente autoritario dello Stato liberale, la ricorrente propensione alle avventure coloniali e finalmente la barbarie fascista, coi corollari di un brutale colonialismo «imperiale» e del razzismo di Stato contro «negri» e «giudei».
A questi turpi risvolti dell'unificazione nazionale nelle celebrazioni di questi giorni non si è fatto cenno, e questa è stata un grave lacuna, che toglie credibilità al rifiuto preventivo della retorica patriottarda. Si fa retorica anche attraverso le omissioni, pur se ci si astiene da formule roboanti.
Ma avanzare tale critica non deve spingerci all'eccesso opposto. Il rigetto del nazionalismo non comporta la negazione del proprio vissuto individuale e collettivo, né l'indifferenza nei suoi confronti. Crediamo possibile assumere una posizione corretta nella relazione con la vicenda storica della comunità civile di cui si è parte: una posizione di riconoscimento memore e critico, in virtù del quale il sentimento dell'appartenenza - fondamentale nella costruzione della soggettività - si definisce senza assumere toni aggressivi ed escludenti. Nulla impedisce di collocarsi in modo responsabile nella storia collettiva del proprio Paese, senza che a ciò si accompagnino presunzione di superiorità e pratiche di esclusione. C'è un esempio altissimo a questo proposito: quello dei condannati a morte della Resistenza italiana ed europea, che nell'estremo saluto ai propri cari si definiscono «patrioti» e che nella liberazione della «patria» dalla tirannide nazifascista pongono il fine ultimo del proprio sacrificio.
Ma proprio perché non condividiamo la sommaria liquidazione del tema nazionale non ci allineiamo al coro delle celebrazioni di questi giorni. Di riferimenti all'unità d'Italia trabocca da sempre anche la retorica fascista, quindi occorre distinguere, chiarire, scegliere. L'unità d'Italia non è stata un evento puntuale, concentrato in un anno né nel solo Risorgimento. Fu - ed è - un lungo processo. Complicato, travagliato, contraddittorio. Sul quale in questi giorni si è sorvolato, ignorando che un Savoia fu anche quel Vittorio Emanuele III che consegnò l'Italia a Mussolini e sottoscrisse le infami leggi del '38; che l'Italia è anche quel Mezzogiorno prima annesso, poi abbandonato alle mafie e sistematicamente discriminato; e che Italia sono anche le minoranze francofone, germanofone e slave, nazionalizzate con una violenza che oggi ritorna contro i migranti, nuovi italiani misconosciuti.
Perché questo imbarazzato silenzio? Perché rifugiarsi nel mito e nell'oleografia? C'è, secondo noi, una sola possibile risposta: la persistente fragilità dell'unità italiana. La quale - si badi - non è debole soltanto perché esplicitamente avversata dai fautori della secessione e tacitamente minata dai mille egoismi e particolarismi di sempre. C'è una ragione se possibile ancora più grave e seria, che ci riporta alla Libia e ai drammatici sviluppi di queste ore. L'unità italiana è debole perché debole è il suo principale fondamento, quella Costituzione repubblicana che del Risorgimento costituisce il frutto più alto e progressivo. Fuor di retorica, per taluni la Costituzione è un simulacro, per altri soltanto un ingombro. Pensiamo allo scempio della scuola e dell'università pubblica, o al quotidiano insulto al principio di uguaglianza tra uomini e donne e nei confronti dei migranti. Pensiamo alla guerra contro i diritti del lavoro, posto a fondamento della Repubblica democratica. E pensiamo infine proprio alla guerra guerreggiata, che i Costituenti vollero bandire dalla storia italiana. L'articolo 11 è stato calpestato in questi vent'anni di guerre «democratiche» e «umanitarie», e ora la guerra sembra battere nuovamente alle porte. Per ciò quanto accade in queste ore in Africa somiglia molto a un ironico e tragico gioco del destino. Intoniamo pure l'inno di Mameli, inchiniamoci commossi dinanzi al tricolore repubblicano e raccontiamoci storie toccanti di patrioti e di eroi. Ma la realtà è dura e non accetta finzioni né menzogne.
sabato 19 marzo 2011
no all'ipocrita guerra "umanitaria"
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è pronunciato a favore dell'istituzione della No fly zone sulla Libia e dell'autorizzazione all'uso di non meglio precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri termini, ha autorizzato la guerra.
Il pallido e fino ad oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell'Onu solo in virtù dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile.
Un principio che vale a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan. Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell'aviazione israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili innocenti.
Si tratta, in realtà, di un precedente ben pericoloso. Sul quale giustamente paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di una riserva. Che si è limitata però ad un'astensione, che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze. Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c'entrano nulla con la decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama, di attivare l'intervento militare.
Chi sarà in futuro a decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
Chi stabilisce, infatti, che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all'Arabia Saudita di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Baherein, mentre si lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh, sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar, anch'essa impegnata nel reprimere le proteste del Baherein con il suo esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la democrazia in Libia.
Tutto ciò dimostra solo come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per interessi geopolitici.
Quale è infatti la razionalità politica di tale scelta? Semplice.
Come sempre, ciò che muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la risposta.
Per ciò che riguarda la Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del petrolio, quella dell'uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle che vende per il mondo.
Il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco. Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l'attacco, ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla sciagurata risoluzione 1973.
L'Onu, che dovrebbe prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente, non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi all'impresa. In buona compagnia del Pd - già d'altronde in prima fila nelle guerre umanitarie del passato - che condivide apertamente tale scelta.
Mentre la situazione in Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell'america latina hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e l'intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata. Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. Serve scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l'Italia rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.
Fabio Amato (da Liberazione di oggi)
venerdì 18 marzo 2011
venerdì 25 marzo primo appuntamento con l'ora felice: "eppure soffia ancora"
Il circolo Città Futura presenta "L'ORA FELICE": l'ultimo venerdì del mese, immagini, video, letture accompagnano l'APERITIVO e la CENA A BUFFET.
VENERDì 25 MARZO, dalle ore 19, in via Gargano 37, Catania, EPPURE SOFFIA ANCORA, fotografie di Alberta Dionisi. foto a parete e in proiezione per raccontare di quel vento il cui soffio significa ovunque e sempre libertà. pensieri e parole di Daniela Di Dio.
mercoledì 16 marzo 2011
il nucleare è contro la vita e la natura, SI alle fonti energetiche rinnovabili
Il ritorno al nucleare in Italia è un gigantesco affare che preparerà una grande abbuffata alla cui tavola siederanno tanti commensali avidi di denaro e di potere.
Converranno a quella tavola: l'industria meccanica nazionale in crisi che pensa di rigenerare le vecchie competenze nucleari o di riconvertirsi ad esso; le lobby transnazionali dell'energia in cerca di una nuova verginità, visto che l'era dei combustibili fossili sta per finire; i vari tecnici ed esperti nucleari dispersi e silenti per molti anni e oggi in cerca di occupazione ben retribuita; un esercito di consulenti di lusso per ingrassare le loro tasche e infine pseudo intellettuali superpagati per convincerci che il nucleare è cosa buona e giusta, come Umberto Veronesi ormai nominato Presidente dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Nucleare, il quale utilizza il suo titolo di oncologo di fama internazionale per fare l'imbonitore e il piazzista di centrali nucleari.
Il nucleare, invece, per il nostro paese è solo e soltanto un grande affare e non, come ci raccontano, la novella di una grande opportunità per diminuire l'effetto serra che riscalda il pianeta, perché produrrebbe molta meno CO2, o perché darebbe un contributo significativo alla produzione di energia elettrica e all'occupazione.
Quello dei bassi costi è un grande inganno che si fonda sul fatto che nel costo del nucleare non si include tutta la filiera che va dall'estrazione di uranio in miniera al suo trasporto, alla costruzione dell'impianto, agli incentivi per i comuni che ospitano l'impianto stesso (cioè la monetizzazione del rischio), all'immagazzinamento dei residui radioattivi di bassa e media intensità vicino l'impianto fino allo smaltimento delle scorie ad alta attività e allo smantellamento della centrale alla fine del suo funzionamento.
Se ciò venisse fatto, il costo del Kwh nucleare già ora sarebbe comparabile addirittura a quello prodotto attraverso il solare fotovoltaico. Si tace su tutto ciò, perché altrimenti la società si ribellerebbe e chiederebbe immediatamente, in alternativa, l'utilizzo delle fonti rinnovabili di energia.
Calcoli fatti da esperti a livello internazionale dimostrano che la CO2 prodotta dal lungo ciclo del nucleare, a parità di potenza installata, è paragonabile a quella prodotta da una centrale a carbone.
Né durante la fase di esercizio dell'impianto, perché la centrale nucleare emette continuamente elementi radioattivi di bassa e media attività, né soprattutto perché sino ad oggi nel mondo non si è ancora risolto in modo sicuro lo smaltimento delle scorie di alta attività.
Chi può, infatti, garantire lo smaltimento definitivo del plutonio o di altri elementi la cui attività radioattiva può durare per un periodo di oltre 100mila anni ?
E poi, anche se si trovasse il sito teoricamente adatto e la tecnica più idonea per il compattamento delle scorie, chi può garantire il controllo del sito per le migliaia e migliaia di anni necessari?
Allora, invece di inseguire le chimere di un nucleare economico, ecologico e sicuro che non c'è e non ci sarà, almeno in una scala di tempi ragionevoli, adottiamo programmi di risparmio, di efficienza dell'energia e di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili (solare, eolico, ecc) da promuovere in ogni territorio e in ogni settore (fabbriche, scuole, ospedali, abitazioni, ecc).
Esiste un'alternativa a portata di mano che è più ecologica, più sicura e che può offrire opportunità di lavoro e buona occupazione stabile e diffusa su tutto il territorio nazionale anche attraverso la promozione della ricerca e di attività produttive innovative e qualificate: le fonti rinnovabili.
martedì 15 marzo 2011
fermiamo il nucleare
Tutti vivi a Fukushima. Ricalco il titolo di un celebre libro di Dario Paccino, “Tutti vivi ad Harrisburg”, scritto dopo l’incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, vicino Harrisburg, appunto, in Pennsylvania. Anche allora, come oggi in Giappone, si ebbe un’interruzione del flusso di acqua che “deve” raffreddare continuamente il nocciolo di un reattore, quell’insieme di tubi in cui avviene la fissione dell’uranio (e del plutonio) con liberazione del calore. Se cessa il riscaldamento, anche se la reazione di fissione nucleare viene interrotta, gli elementi radioattivi all’interno dei tubi del “combustibile” continuano a liberare calore che può provocare l’idrolisi dell’acqua con formazione di idrogeno, quello che si è incendiato e ha provocato la (o le) esplosioni degli edifici delle centrali giapponesi. Non si può dire oggi quante persone siano state contaminate dalla radioattività, quante siano morte o moriranno per esposizione alle radiazioni. Di certo gli incidenti giapponesi hanno provocato l’interruzione della distribuzione dell’elettricità in vaste parti del paese che tanto aveva puntato, per soddisfare la fame elettrica delle sue fabbriche e città e metropolitane, su 55 centrali nucleari, a drammatica riprova della fragilità di questa tecnologia.
L’incidente ai reattori di Fukushima è il terzo importante nella storia dell’energia nucleare commerciale, lunga circa 14.000 anni-reattore (il numero dei reattori in funzione moltiplicato per gli anni di funzionamento di ciascuno): un incidente ogni circa 4.500 anni-reattore, un incidente in media ogni dieci anni quando sono in funzione, come oggi nel mondo, circa 450 reattori; una probabilità di incidenti molto maggiore di quella assicurata dai solerti venditori di centrali nucleari.
Inaccettabili pericoli, inquinamenti e costi umani e monetari riguardano tutto intero il ciclo delle attività nucleari, ciclo che parte dalle miniere di uranio, comprende i processi di arricchimento dell’uranio e la preparazione del combustibile nucleare (durante la quale si verificarono gli incidenti alla KerrMcGee negli Stati Uniti, del 1974, e a Tokaimura in Giappone del 1999). Vi sono poi i costi e i conflitti per la ricerca della localizzazione degli impianti; e poi i costi della costruzione e di funzionamento “normale” delle centrali nucleari e quelli, di soldi e politici, per i controlli di tipo militare. Non a caso il governo italiano ha dovuto invocare il segreto di stato sulle scelte e sul funzionamento delle infrastrutture energetiche, quello stato atomico autoritario di cui aveva parlato Robert Jungk in un libro del 1970.
E poi ancora vi sono i costi e i pericoli e gli incidenti del ciclo del ritrattamento del combustibile irraggiato per recuperare un po’ di plutonio da aggiungere all’uranio nelle centrali per trarne un po’ più di elettricità e di soldi; e poi i costi del ciclo di smaltimento delle centrali esaurite e della sistemazione del combustibile irraggiato e degli inevitabili rifiuti, la coda avvelenata delle centrali. Si tratta, anche solo in Italia, di migliaia di tonnellate di prodotti radioattivi, tutti, sia pure in diverso grado, pericolosi, che continuano ad accumularsi anche quando è svanito e sarà svanito il sogno dell’elettricità abbondante a basso prezzo. Tutte operazioni che richiedono una vigilanza per secoli e decenni per evitare perdite di radioattività nell’ambiente.
Per tutti questi motivi le centrali nucleari, anche quelle “perfettissime” di “terza generazione” che già tanti guai e ritardi stanno incontrando prima ancora di entrare in funzione in Finlandia e in Francia, quelle che il nostro governo fa intendere di volar comprare a quattro per volta, non sono sicure nè convenienti in termini di soldi. Sono insomma inaccettabili.
Se tutti i soldi che sono stati spesi anche in Italia in passato, e quelli che rischiamo di dover spendere per i programmi nucleari governativi, fossero investiti non dico per le fonti di energia rinnovabili, ma anche soltanto per la razionalizzazione dell’intero sistema economico e produttivo italiano, per scelte lungimiranti su quello che è utile produrre e consumare, con minori e diversi consumi di energia, saremmo un paese con più posti di lavoro e veramente moderno. Non resta perciò che fermare l’avventura nucleare governativa col referendum e col voto.
L’incidente ai reattori di Fukushima è il terzo importante nella storia dell’energia nucleare commerciale, lunga circa 14.000 anni-reattore (il numero dei reattori in funzione moltiplicato per gli anni di funzionamento di ciascuno): un incidente ogni circa 4.500 anni-reattore, un incidente in media ogni dieci anni quando sono in funzione, come oggi nel mondo, circa 450 reattori; una probabilità di incidenti molto maggiore di quella assicurata dai solerti venditori di centrali nucleari.
Inaccettabili pericoli, inquinamenti e costi umani e monetari riguardano tutto intero il ciclo delle attività nucleari, ciclo che parte dalle miniere di uranio, comprende i processi di arricchimento dell’uranio e la preparazione del combustibile nucleare (durante la quale si verificarono gli incidenti alla KerrMcGee negli Stati Uniti, del 1974, e a Tokaimura in Giappone del 1999). Vi sono poi i costi e i conflitti per la ricerca della localizzazione degli impianti; e poi i costi della costruzione e di funzionamento “normale” delle centrali nucleari e quelli, di soldi e politici, per i controlli di tipo militare. Non a caso il governo italiano ha dovuto invocare il segreto di stato sulle scelte e sul funzionamento delle infrastrutture energetiche, quello stato atomico autoritario di cui aveva parlato Robert Jungk in un libro del 1970.
E poi ancora vi sono i costi e i pericoli e gli incidenti del ciclo del ritrattamento del combustibile irraggiato per recuperare un po’ di plutonio da aggiungere all’uranio nelle centrali per trarne un po’ più di elettricità e di soldi; e poi i costi del ciclo di smaltimento delle centrali esaurite e della sistemazione del combustibile irraggiato e degli inevitabili rifiuti, la coda avvelenata delle centrali. Si tratta, anche solo in Italia, di migliaia di tonnellate di prodotti radioattivi, tutti, sia pure in diverso grado, pericolosi, che continuano ad accumularsi anche quando è svanito e sarà svanito il sogno dell’elettricità abbondante a basso prezzo. Tutte operazioni che richiedono una vigilanza per secoli e decenni per evitare perdite di radioattività nell’ambiente.
Per tutti questi motivi le centrali nucleari, anche quelle “perfettissime” di “terza generazione” che già tanti guai e ritardi stanno incontrando prima ancora di entrare in funzione in Finlandia e in Francia, quelle che il nostro governo fa intendere di volar comprare a quattro per volta, non sono sicure nè convenienti in termini di soldi. Sono insomma inaccettabili.
Se tutti i soldi che sono stati spesi anche in Italia in passato, e quelli che rischiamo di dover spendere per i programmi nucleari governativi, fossero investiti non dico per le fonti di energia rinnovabili, ma anche soltanto per la razionalizzazione dell’intero sistema economico e produttivo italiano, per scelte lungimiranti su quello che è utile produrre e consumare, con minori e diversi consumi di energia, saremmo un paese con più posti di lavoro e veramente moderno. Non resta perciò che fermare l’avventura nucleare governativa col referendum e col voto.
domenica 13 marzo 2011
sabato 12 marzo 2011
ARS, il PD si vergogni!
Federazione della Sinistra: L'arresto di Vitrano, ulteriore colpo alla legittimità di quest’ARS
L'arresto del deputato del PD Gaspare Vitrano, getta un’ ulteriore ombra su un'assemblea regionale siciliana che vede un numero sempre maggiore di suoi membri coinvolti in inchieste giudiziarie gravissime.
La Federazione della Sinistra, ormai da tempo, sottolinea come non vi siano più le condizioni minime di legittimità e autorevolezza perché la legislatura del parlamento siciliano possa continuare.
La permanenza di questo ceto politico rischia di creare danni irreparabili alla Sicilia, alle sue istituzioni, alla sua vita economica e sociale. Quello che sta avvenendo sul terreno delle energie alternative, come anche questa vicenda sembra confermare, è gravissimo: opportunità strategiche sono piegate a interessi oscuri e il rischio di perdere occasioni decisive di sviluppo si fa sempre più concreto.
E’ ora quindi di porre fine a questa inaccettabile situazione nell’unico modo possibile: riconsegnando la parola ai cittadini, in nuove elezioni regionali.
L'arresto del deputato del PD Gaspare Vitrano, getta un’ ulteriore ombra su un'assemblea regionale siciliana che vede un numero sempre maggiore di suoi membri coinvolti in inchieste giudiziarie gravissime.
La Federazione della Sinistra, ormai da tempo, sottolinea come non vi siano più le condizioni minime di legittimità e autorevolezza perché la legislatura del parlamento siciliano possa continuare.
La permanenza di questo ceto politico rischia di creare danni irreparabili alla Sicilia, alle sue istituzioni, alla sua vita economica e sociale. Quello che sta avvenendo sul terreno delle energie alternative, come anche questa vicenda sembra confermare, è gravissimo: opportunità strategiche sono piegate a interessi oscuri e il rischio di perdere occasioni decisive di sviluppo si fa sempre più concreto.
E’ ora quindi di porre fine a questa inaccettabile situazione nell’unico modo possibile: riconsegnando la parola ai cittadini, in nuove elezioni regionali.
giovedì 10 marzo 2011
placido rizzotto: le lotte per la terra, contro la mafia e i padroni
Il 10 marzo del 1948, a Corleone, la mafia uccideva barbaramente Placido Rizzotto, partigiano, dirigente della CGIL, impegnato nelle lotte per la terra e la democrazia.
Con l’omicidio di Placido Rizzotto e di decine di altri dirigenti sindacali e della sinistra, con la strage di Portella della ginestra, si evidenzia quel ruolo della mafia al servizio delle forze politiche e sociali reazionarie, interne e internazionali, che rappresenta una delle ipoteche più gravi nella storia della Sicilia e del paese.
E’ un nodo che, in forme nuove, si ripropone ancora oggi.
Ricordiamo, dunque, il sacrificio di Placido Rizzotto come una pagina essenziale della storia del movimento operaio siciliano, che ha unito impegno antimafioso e mobilitazioni per i diritti sociali. Questa tradizione di lotta è per noi un punto di riferimento prezioso nelle battaglie di oggi contro la mafia e i suoi legami con il potere politico ed economico, per la difesa del mondo del lavoro da vecchie e nuove ingiustizie.
dal film Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca
Con l’omicidio di Placido Rizzotto e di decine di altri dirigenti sindacali e della sinistra, con la strage di Portella della ginestra, si evidenzia quel ruolo della mafia al servizio delle forze politiche e sociali reazionarie, interne e internazionali, che rappresenta una delle ipoteche più gravi nella storia della Sicilia e del paese.
E’ un nodo che, in forme nuove, si ripropone ancora oggi.
Ricordiamo, dunque, il sacrificio di Placido Rizzotto come una pagina essenziale della storia del movimento operaio siciliano, che ha unito impegno antimafioso e mobilitazioni per i diritti sociali. Questa tradizione di lotta è per noi un punto di riferimento prezioso nelle battaglie di oggi contro la mafia e i suoi legami con il potere politico ed economico, per la difesa del mondo del lavoro da vecchie e nuove ingiustizie.
dal film Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca
mercoledì 9 marzo 2011
domenica al circolo città futura: il gap e il té con lettura di poesie
domenica 13 marzo doppio appuntamento al circolo città futura: dalle 10,30 alle 13 il gruppo di acquisto popolare, dalle 17 in poi il té della domenica, con buoni dolci casalinghi e letture a cura de la bottega della poesia
no ai balzelli sulle autostrade siciliane
L’imposizione di nuovi balzelli per i cittadini che sono costretti, a loro rischio e pericolo, a frequentare le autostrade siciliane è un vero scandalo.
Questa decisione appare offensiva se si considera lo stato di manutenzione delle stesse autostrade, che da tempo versa in condizioni inaccettabili e tende a peggiorare, con gravi rischi per la sicurezza e pesanti ricadute economiche.
C’è da rilevare, inoltre, come questa decisione sarà un altro colpo per le fasce più deboli e per i lavoratori pendolari (considerato anche che alcuni tratti autostradali sono segmenti decisivi della viabilità delle grandi aree metropolitane). Gravi infine saranno le conseguenze sulla sicurezza stradale generale e sull’ambiente, con l’intasamento ulteriore di alcune strade provinciali, in particolare nel periodo estivo.
Rifondazione Comunista avvia da subito una campagna di mobilitazione in tutta la Sicilia per il ritiro dei provvedimenti che hanno stabilito quest’assurdo balzello.
Luca Cangemi, segretario regionale PRC-Sicilia
Questa decisione appare offensiva se si considera lo stato di manutenzione delle stesse autostrade, che da tempo versa in condizioni inaccettabili e tende a peggiorare, con gravi rischi per la sicurezza e pesanti ricadute economiche.
C’è da rilevare, inoltre, come questa decisione sarà un altro colpo per le fasce più deboli e per i lavoratori pendolari (considerato anche che alcuni tratti autostradali sono segmenti decisivi della viabilità delle grandi aree metropolitane). Gravi infine saranno le conseguenze sulla sicurezza stradale generale e sull’ambiente, con l’intasamento ulteriore di alcune strade provinciali, in particolare nel periodo estivo.
Rifondazione Comunista avvia da subito una campagna di mobilitazione in tutta la Sicilia per il ritiro dei provvedimenti che hanno stabilito quest’assurdo balzello.
Luca Cangemi, segretario regionale PRC-Sicilia
martedì 8 marzo 2011
lunedì 7 marzo 2011
sabato 12 marzo, i partigiani della conoscenza scendono in piazza
Sabato scendono per le strade, così come in tutta Italia, studenti, donne, precari, migranti, disoccupati.
Tutti in difesa dell'Istruzione pubblica tagliata, ridimensionata, sminuita, sfruttata politicamente.
In difesa della Costituzione che il Governo vuole svuotare e distruggere.
Partigiani, appunto. Della Conoscenza.
A CATANIA, SABATO 12 MARZO, ORE 16 IN VIA ETNEA (VILLA BELLINI).
Tutti in difesa dell'Istruzione pubblica tagliata, ridimensionata, sminuita, sfruttata politicamente.
In difesa della Costituzione che il Governo vuole svuotare e distruggere.
Partigiani, appunto. Della Conoscenza.
A CATANIA, SABATO 12 MARZO, ORE 16 IN VIA ETNEA (VILLA BELLINI).
inchiesta sulla precarietà del lavoro delle donne a catania
Il circolo città futura del partito della rifondazione comunista – federazione della sinistra sceglie simbolicamente la data dell’8 marzo per lanciare la seconda parte dell’inchiesta sulla precarietà delle donne a Catania, una campagna che si propone di analizzare, sul territorio, le forme della crescente precarizzazione e della subordinazione femminile nel mondo del lavoro.
Quella che oggi ci viene prospettata come crisi economica è una vera e propria crisi di civiltà, da cui è necessario far emergere le molteplici contraddizioni e le differenti soggettività del conflitto. Le condizioni del lavoro precario precludono la possibilità di organizzare i tempi personali e le scelte affettive, evidenziando come, a livello globale, il conflitto tra capitale e lavoro assuma forme nuove e molteplici, disvelando il violento avanzare di un conflitto tra capitale e vita.
Poiché le donne sono drammaticamente coinvolte in questi processi, crediamo che si debba “partire da sé”, dall’esperienza concreta di ciascuna, per tentare di “mettere in crisi” il “capitalismo in crisi” ed opporsi alle sue devastanti conseguenze.
Le analisi e le pratiche delle donne assumono in questo senso un ruolo centrale per analizzare la realtà e cercare di trasformarla, costruendo un immaginario sociale altro, scardinando la precarietà non solo come condizione lavorativa ma come condizione esistenziale. Alcuni anni fa, a partire dalle proprie esperienze e da “storie di ordinaria precarietà” condivise da tante altre donne, le compagne del circolo città futura hanno realizzato una videoinchiesta sulla precarietà delle donne a Catania, dai pub ai call center, fino alla scuola e all’ateneo catanese: soggettività precarie che, attraverso lo strumento dell’inchiesta e dell’autonarrazione, a partire dalle proprie esistenze schiacciate in un eterno e affannoso presente, tra bisogni e desideri, tentano un’esperienza unificante delle lotte, mettendo al centro i desideri e le pretese che riguardano la vita.
Nella società della globalizzazione capitalista, che dedica sempre più tempo all’ossessione di un consumo onnivoro e compulsivo, la grande distribuzione e le catene multinazionali o in franchising costituiscono, in particolare in una realtà drammaticamente segnata dalla disoccupazione come quella catanese, uno dei settori in cui si riversano più attese occupazionali, soprattutto delle donne. In un perenne stato di incertezza, si intrecciano la figura “tradizionale” della commessa tanto cara al patriarcato e le nuove forme globali della precarietà.
Di fronte ad un’ulteriore precarizzazione delle vite, diventa sempre più necessario cercare di comprendere le modificazioni della subordinazione femminile nel mondo del lavoro e di incontrare le tante in/subordinazioni che spesso restano isolate; con questi obiettivi il circolo città futura avvia la seconda parte dell’inchiesta sulla precarietà nel settore del commercio, strutturata attraverso autonarrazioni dell’esperienza, questionari ed incontri informali.
Quella che oggi ci viene prospettata come crisi economica è una vera e propria crisi di civiltà, da cui è necessario far emergere le molteplici contraddizioni e le differenti soggettività del conflitto. Le condizioni del lavoro precario precludono la possibilità di organizzare i tempi personali e le scelte affettive, evidenziando come, a livello globale, il conflitto tra capitale e lavoro assuma forme nuove e molteplici, disvelando il violento avanzare di un conflitto tra capitale e vita.
Poiché le donne sono drammaticamente coinvolte in questi processi, crediamo che si debba “partire da sé”, dall’esperienza concreta di ciascuna, per tentare di “mettere in crisi” il “capitalismo in crisi” ed opporsi alle sue devastanti conseguenze.
Le analisi e le pratiche delle donne assumono in questo senso un ruolo centrale per analizzare la realtà e cercare di trasformarla, costruendo un immaginario sociale altro, scardinando la precarietà non solo come condizione lavorativa ma come condizione esistenziale. Alcuni anni fa, a partire dalle proprie esperienze e da “storie di ordinaria precarietà” condivise da tante altre donne, le compagne del circolo città futura hanno realizzato una videoinchiesta sulla precarietà delle donne a Catania, dai pub ai call center, fino alla scuola e all’ateneo catanese: soggettività precarie che, attraverso lo strumento dell’inchiesta e dell’autonarrazione, a partire dalle proprie esistenze schiacciate in un eterno e affannoso presente, tra bisogni e desideri, tentano un’esperienza unificante delle lotte, mettendo al centro i desideri e le pretese che riguardano la vita.
Nella società della globalizzazione capitalista, che dedica sempre più tempo all’ossessione di un consumo onnivoro e compulsivo, la grande distribuzione e le catene multinazionali o in franchising costituiscono, in particolare in una realtà drammaticamente segnata dalla disoccupazione come quella catanese, uno dei settori in cui si riversano più attese occupazionali, soprattutto delle donne. In un perenne stato di incertezza, si intrecciano la figura “tradizionale” della commessa tanto cara al patriarcato e le nuove forme globali della precarietà.
Di fronte ad un’ulteriore precarizzazione delle vite, diventa sempre più necessario cercare di comprendere le modificazioni della subordinazione femminile nel mondo del lavoro e di incontrare le tante in/subordinazioni che spesso restano isolate; con questi obiettivi il circolo città futura avvia la seconda parte dell’inchiesta sulla precarietà nel settore del commercio, strutturata attraverso autonarrazioni dell’esperienza, questionari ed incontri informali.
domenica 6 marzo 2011
il té della domenica: 13 marzo, socialità e letture, té e tisane
il tè della domenica: il 13 marzo, a partire dalle ore 17, un nuovo appuntamento proposto dal circolo città futura.
"la bottega della poesia": letture di Orazio Indelicato e Angelo Squillaci
un pomeriggio di socialità e cultura, letture e libri, tè e tisane con buoni dolci casalinghi, in via Gargano 37, (traversa piazza Iolanda) Catania
addio ad alberto granado, compagno di che guevara
Il 'Che' non era ancora il 'Che', quando con Alberto Granado scorrazzava per il Sudamerica a bordo della 'Poderosa', la motocicletta sulla quale nel 1952 i due amici, entrambi studenti universitari, scoprirono l'utopia. Gioviale, simpatico, alter ego dissacrante del Che, di Granado resta il formidabile ritratto tracciato nei 'Diari della motocicletta'. Fu Granado ad annotare nei diari i dettagli di una straordinaria avventura che permise ai due amici di scoprire, anche, un continente interiore, segnato da una profonda e indistruttibile amicizia
D- Leggendo il diario del tuo viaggio con il Che risulta evidente che quell'esperienza è stata fondamentale nella formazione della vostra coscienza: in più occasioni infatti accanto al vostro interesse culturale per la civiltà precolombiana, emerge l'impegno a fare in modo che le condizioni di vita delle popolazioni locali mutassero. Che Guevara ha poi fatto una scelta di lotta radicale, tu invece hai interrotto quel viaggio per rimanere nel lebbrosario venezuelano. Che cosa ti ha spinto poi ad andare a Cuba e come si è sviluppato la tua esperienza in tutti questi anni?
R- A distanza di cinquanta anni da quel viaggio , non posso fare a meno di dire che la mia vita ha girato intorno alla figura di Ernesto Che Guevara e alla rivoluzione cubana.
R- A distanza di cinquanta anni da quel viaggio , non posso fare a meno di dire che la mia vita ha girato intorno alla figura di Ernesto Che Guevara e alla rivoluzione cubana.
Una delle responsabilità che abbiamo noi che abbiamo conosciuto uomini come il Che e Fidel è quella di far comprendere come siano uomini in carne ed ossa e non miti al di sopra della realtà. Troppo spesso infatti amici in buona fede e nemici per interesse tendono ad elevare la figura di Che Guevara oltre i limiti umani, tanto che non pare possibile seguirne l'esempio. Voglio raccontarti un episodio che ritengo emblematico: quando andai a trovare il Che a Cuba la prima volta, era presidente della Banca Nazionale. Chiesi al segretario di annunciarmi ed egli mi risposte che il comandante Guevara non poteva essere disturbato perché stava studiando matematica finanziaria.
D- Avere un interlocutore che ha vissuto in prima persona la realtà cubana dagli anni immediatamente successivi alla rivoluzione fino a i nostri giorni mi spinge a chiederti come questa realtà si è sviluppata e quali sono secondo te i problemi che questa realtà si trova oggi a dover affrontare.
D- Avere un interlocutore che ha vissuto in prima persona la realtà cubana dagli anni immediatamente successivi alla rivoluzione fino a i nostri giorni mi spinge a chiederti come questa realtà si è sviluppata e quali sono secondo te i problemi che questa realtà si trova oggi a dover affrontare.
R- Quando decisi di vivere a Cuba, la rivoluzione aveva già assunto una connotazione socialista e questo realizzava un mio sogno coltivato da sempre. Ma fu il discorso che Fidel Castro tenne quell'anno sulla Serra Maestra per tracciare gli obiettivi della rivoluzione cubana, che mi indusse definitivamente a rimanere a Cuba per dare il mio contributo.
Subito dopo la rivoluzione, gli Usa, infatti, avevano convinto un gran numero di medici a lasciare l'isola, per cui mi parve importante contribuire a formare un gruppo di scienziati in campo medico, chimico e biochimico. Per fortuna posso dire che da una scuola di medicina che esisteva nel '60, ora siamo a 18 scuole . Da uno 0% di istituti di ricerca, oggi Cuba ha un prestigio internazionale nella ingegneria genetica e nella genetica molecolare.
D- Queste tue parole mi inducono a farti un'altra domanda che da questo discorso consegue: il prestigio internazionale di Cuba nel campo della medicina, è universalmente riconosciuto (da tutti i paesi dell'America Latina chi può va a Cuba per farsi curare); purtuttavia le conseguenze dell'embargo sono state molto gravi anche in questo settore. Per questo ti chiedo: quali sono attualmente i problemi della sanità a Cuba, e quale deve essere l'impegno prioritario dei movimenti di solidarietà?
D- Queste tue parole mi inducono a farti un'altra domanda che da questo discorso consegue: il prestigio internazionale di Cuba nel campo della medicina, è universalmente riconosciuto (da tutti i paesi dell'America Latina chi può va a Cuba per farsi curare); purtuttavia le conseguenze dell'embargo sono state molto gravi anche in questo settore. Per questo ti chiedo: quali sono attualmente i problemi della sanità a Cuba, e quale deve essere l'impegno prioritario dei movimenti di solidarietà?
R- In verità la fine dei rapporti con l'Unione Sovietica ha provocato gravi problemi all'economia cubana e quindi anche alla medicina; ma fortunatamente esiste una precisa politica della sanità a Cuba; nessun consultorio è stato chiuso, ed anzi in alcune regioni si è ulteriormente abbassato l'indice della mortalità infantile. Non avendo gran disponibilità di antibiotici, ad esempio, si è sviluppata una politica di prevenzione curando moltissimo l'igiene.
E' evidente che mano a mano che il blocco economico voluto dagli Usa si inasprisce (tutti conoscono la legge Torricelli) ogni azione di solidarietà diventa molto importante. Quello che è vitale per noi è non solo che ci si inviino degli aiuti, ma che ci sia permesso acquistare ciò di cui il paese ha bisogno. Il movimento di solidarietà deve quindi spingere perché il blocco venga tolto. Certo non dirò che non sia benvenuto qualsiasi aiuto economico, soprattutto per i bambini e per le scuole. Ad esempio ora siamo senza carta; abbiamo bisogno di molta carta.
Il popolo cubano comunque cresce nonostante le difficoltà ed è un popolo degno di essere aiutato. E' chiaro che dopo trenta anni bisogna rivedere alcuni punti sullo sviluppo; bisogna pensare che siamo partiti con un paese analfabeta ed abbiamo sviluppato grandi passi sia in campo economico che scientifico; l'aver dovuto interrompere bruscamente questo corso crea una certa disillusione. Alcuni non sanno reagire e se ne vanno, ma si tratta comunque di una percentuale molto piccola. La maggioranza della gioventù e del popolo cubano crede nella rivoluzione e la sostiene.
D- C'è a Cuba un problema generazionale? Sono i giovani cioè quelli che sentono maggior disagio per la crisi economica?
D- C'è a Cuba un problema generazionale? Sono i giovani cioè quelli che sentono maggior disagio per la crisi economica?
R- Non potrebbe certo non esserci anche a Cuba come in tutti i paesi un problema del genere, ma nelle difficoltà i giovani sono anche in grado di crescere. Voglio raccontarti un aneddoto significativo. Quest'anno la zona di Guantanamo, generalmente poco piovosa, ha subito numerose inondazioni; c'era quindi la necessità di raccogliere la canna da zucchero prima che andasse perduta. La gioventù comunista si è fatta carico del problema ed ha chiesto trecento volontari.
Se ne presentarono cinquecento; ma nel momento di partire ci si accorse che c'erano solo duecento paia di stivali. Si tenne il collettivo e decisero che nessuno sarebbe partito fino a quando non si fossero trovati tutti gli stivali occorrenti. Alla fine prevalse l'opinione di partire anche scalzi come avevano fatto coloro che avevano combattuto contro gli spagnoli nel secolo scorso o i compagni di Fidel nel '59. Ma non è finita: i professori di Guantanamo cedettero le loro scarpe perché erano meno necessarie per andare ad insegnare piuttosto che per andare a tagliare la canna.
D- Ci sono ancora alcune domande che vorrei rivolgerti. La prima riguarda la situazione dell'America Latina: in quel famoso viaggio tu ed il Che avete chiaramente preso coscienza della realtà dei singoli paesi. Che cosa è cambiato ora?
D- Ci sono ancora alcune domande che vorrei rivolgerti. La prima riguarda la situazione dell'America Latina: in quel famoso viaggio tu ed il Che avete chiaramente preso coscienza della realtà dei singoli paesi. Che cosa è cambiato ora?
R- Quando eravamo partiti noi volevamo conoscere l'America latina, non pensavamo che in quei paesi si vivessero problemi sociali e politici così gravi. Della stessa Argentina conoscevamo solo la realtà della città e della media borghesia. Nel nostro viaggio ci scontrammo con lo sfruttamento non solo degli uomini, ma anche dell'ambiente. Se confrontiamo quella realtà con quella di oggi, ci accorgiamo che la differenza sta nel fatto che oggi ci sono più ricchi, ma i poveri sono ancora più poveri: Per esempio l'Argentina che negli anni cinquanta aveva un livello scientifico paragonabile a quello europeo ed una scuola ben strutturata, oggi ha delegato alla scuola privata l'educazione dei ricchi, mentre la scuola pubblica è sempre più abbandonata a se stessa con strutture inesistenti ed insegnanti mal pagati.
La mia valutazione è che l'America Latina stia peggio ora di quando l'abbiamo visitata; noi abbiamo fiducia nei popoli e quindi siamo certi che lotteranno perché la situazione cambi.
D- Quali sono i rapporti di Cuba con gli altri paesi dell'America Latina?
D- Quali sono i rapporti di Cuba con gli altri paesi dell'America Latina?
R- Il rapporto con i popoli, e sottolineo i popoli, latino americani è molto stretto perché anche solo il fatto che Cuba abbia resistito trentacinque anni all'aggressione americana, è un esempio a cui guardano gli sfruttati di tutti i paesi.
D- La rivolta del Chiapas in Messico ha riproposto drammaticamente il problema delle minoranze autoctone emarginate. Come è stata vissuta a Cuba, così vicina al Messico, questa realtà?
D- La rivolta del Chiapas in Messico ha riproposto drammaticamente il problema delle minoranze autoctone emarginate. Come è stata vissuta a Cuba, così vicina al Messico, questa realtà?
R- Innanzittutto la rivolta zapatista è stata una chiara smentita per chi credeva che il liberalismo l'avrebbe fatta finita con le rivolte popolari.
D- Un'ultima domanda per avere risposta ad un interrogativo che quelli della mia generazione si pongono da trenta anni e a cui solo un amico del Che può rispondere. Sul perché egli abbia lasciato Cuba e il suo posto nel governo rivoluzionario, per andare a morire in Bolivia, si sono scritti fiumi di parole. Tu che hai vissuto con lui quegli ultimi giorni a Cuba, che cosa pensi di quella scelta?
D- Un'ultima domanda per avere risposta ad un interrogativo che quelli della mia generazione si pongono da trenta anni e a cui solo un amico del Che può rispondere. Sul perché egli abbia lasciato Cuba e il suo posto nel governo rivoluzionario, per andare a morire in Bolivia, si sono scritti fiumi di parole. Tu che hai vissuto con lui quegli ultimi giorni a Cuba, che cosa pensi di quella scelta?
R- Il Che aveva sempre espresso la convinzione che la rivoluzione avrebbe potuto trionfare solo quando tutti i paesi dell'America Latina si fossero liberati dall'imperialismo degli Usa. Nessuno avrebbe voluto che egli se ne andasse ma chi lo conosceva sapeva che il partire per appoggiare la rivoluzione di altri popoli, rientrava nella sua visione della vita. E' totalmente falso che ci fossero divergenze con Castro.
L'ultima volta che ci siamo visti, seduti ad un tavolino, mi annunciò che sarebbe partito per gli Stati Uniti ed io gli dissi: "Lo sai Pelao che ci sono due cose a cui non posso rinunciare: il rum e i viaggi"
E lui mi rispose: "Tu sai che il bere non mi ha mai interessato, e neppure il viaggiare se non posso portare dietro la mia mitragliatrice". In questo modo mi aveva comunicato le sue reali intenzioni. In realtà il Che non ha fatto che seguire la strada che si era tracciato: egli non credeva in una forma di presa del potere diversa da quella armata; in questo non eravamo d'accordo, già dai giorni del nostro viaggio.
giovedì 3 marzo 2011
tanti appuntamenti al circolo per marzo e aprile!
una primavera "calda" (si spera proprio!), piena di eventi al circolo città futura, in via gargano 37:
domenica 13 marzo dalle 10,30 alle 13 gap - gruppo di acquisto popolare:
pane, ortaggi, frutta, olio, vino e tanto altro a chilomentro zero e a prezzi popolari
domenica 13 marzo dalle 17 il té della domenica - té e tisane con buoni dolci casalinghi - letture ed incontri
venerdì 25 marzo dalle 19 l'ora felice - aperitivo e cena a buffet- fotografie di alberta dionisi "eppure soffia ancora..."
domenica 27 marzo dalle 10,30 alle 13 gap - gruppo di acquisto popolare
domenica 3 aprile dalle 10,30 alle 13 gap - gruppo di acquisto popolare
domenica 10 aprile dalle 17 il té della domenica - té e tisane con buoni dolci casalinghi - letture ed incontri
sabato 16 aprile dalle 19,30 presentazione del libro spelix di annamaria rivera - segue cena sociale
domenica 17 gap dalle 10,30 alle 13 gap - gruppo di acquisto popolare
non mancate... molte altre iniziative vi aspettano!
martedì 1 marzo 2011
oggi giornata di mobilitazione per i diritti dei migranti e dei popoli in lotta
Il Nord-Africa brucia, il mondo brucia!!! Le fiamme che hanno avvolto Mohammed Buazizi e Nourreddine Adnane, nel loro sacrificio contro la sopraffazione e per la libertà, sembrano essersi propagate dappertutto!
Il 1° marzo 2010 vide centinaia di migliaia di immigrati manifestare nelle piazze italiane, per dire no al razzismo, alla Bossi-Fini, al pacchetto sicurezza, alla sanatoria truffa, allo sfruttamento e alla violazione dei d...iritti. Da allora tanti avvenimenti si sono succeduti. Cittadini italiani e stranieri hanno lottato a Mirafiori e a Pomigliano, hanno occupato rotonde in Campania, gru a Brescia, torri a Milano. Il Maghreb è in rivolta, come anche l'Egitto, la Siria, la Giordania, la Grecia...I popoli del mondo continuano a mobilitarsi per la libertà e l'autodeterminazione contro lo sfruttamento e le dittature. Le vittime di queste lotte sono ormai decine di migliaia! Non permetteremo che il loro sacrificio cada nell'indifferenza! Mobilitiamoci seguendo il loro esempio!
MARTEDI' PRIMO MARZO 2011
- ore 11,00 CONFERENZA STAMPA ingresso Villaggio Aranci MINEO(CT)
- ore 18,00 PRESIDIO ANTIRAZZISTA P.zza Stesicoro - Catania
- ore 20,00 proiezione video "La terra e(s)trema" al Nievskj
Via Alessi, 17 Catania
Iscriviti a:
Post (Atom)