Ogni volta sperimento come, nel contesto di una struttura che veramente favorisce la creatività personale e di gruppo, ogni giovane è gioiosamente meravigliato di quanto riesce a esprimere e ascoltare; mi chiedo in qual modo sia possibile consolidare, approfondire e moltiplicare ampliando queste occasioni affinché riescano a inceppare e sbrecciare i meccanismi del dominio, tuttora vastamente imperanti: per riuscire a interrompere il circolo vizioso fra dilagante necrofilia inconfessata, disperazione per mancata creatività e informazione deformata, aberrante.
Danilo Dolci, "Dal trasmettere al comunicare".
Fiat. Airaudo (Fiom): “A Mirafiori un accordo vergognoso che cancella il Contratto nazionale e impone un modello sindacale aziendalista e neocorporativo”
dichiarazione di Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom-Cgil
“Quello firmato a Mirafiori da Fiat, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e l’Associazione quadri è un accordo vergognoso. La Fiat impone in fabbrica e nel sistema delle relazioni industriali italiane un modello aziendalista e neocorporativo, semplificando il pluralismo sindacale riducendolo ad un unico sindacato per un’unica compagnia: la Crysler-Fiat”
“Si costituisce un contratto unico nazionale per le aziende del settore auto della Fiat alternativo ai contratti nazionali di lavoro, che peggiora le condizioni di lavoro, a partire dall’introduzione del modello Pomigliano anche a Mirafiori.”
“In questo scenario, non c’è spazio per sindacati dissenzienti e quelli senzienti sono imbrigliati in un sistema di sanzioni.”
“Si tratta, inoltre, di uno strappo costituzionale gravissimo perché si limita la libera scelta di associazione sindacale. Inoltre, la cancellazione delle Rsu e della possibilità delle lavoratrici e dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti avviene nel silenzio totale degli altri sindacati confederali.”
“Il referendum, che dovrebbe avere luogo a gennaio, per la Fiom è illegittimo perché riguarda materie indisponibili.”
“La Fiom rimarrà al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici comunque voteranno per riconquistare il Contratto nazionale, la libertà di adesione al sindacato e tenere il sistema delle relazioni industriali all’interno dell’Europa sociale. Tutta la Fiom risponderà all’attacco in corso al contratto, alle leggi e alla libertà, in una battaglia che non riguarda solo il sindacato dei metalmeccanici, ma tutta la Confederazione.”
Il Partito della Rifondazione Comunista siciliano parteciperà alla manifestazione del 29 dicembre che ricorderà il tragico rogo del 1999, all’interno del centro di permanenza temporanea “Serraino Vulpitta”, in cui tre migranti morirono e altri tre riportarono ustioni che risultarono fatali nei mesi successivi.
Il 29 dicembre del 1999 è una data che ha segnato uno spartiacque per il movimento antirazzista siciliano, che da allora ha sentito in modo più stringente la responsabilità che gli deriva dall’operare in una terra di frontiera, avamposto delle politiche discriminatorie nazionali ed europee.
Quest’anno ribadiamo la nostra richiesta di verità e giustizia per le vittime del “Serraino Vulpitta”, in un momento di straordinarie lotte dei migranti, destinate ad crescere ancora di fronte alle politiche criminali del governo delle destre. L’appello a una fortissima partecipazione alla manifestazione di Trapani è quindi, allo stesso tempo, un omaggio doveroso alla memoria delle vittime di undici anni fa e un ineludibile impegno nelle lotte dell’oggi.
Alla vigilia di Natale il governo ha deciso che le graduatorie dei precari della scuola saranno congelate, anche per il prossimo anno scolastico, impedendo l’aggiornamento dei punteggi e, soprattutto, la possibilità di cambiare provincia d’inserimento. Il tutto, inserito, nel decreto "milleproroghe", che si annuncia come un autentico vaso di pandora del tardo berlusconismo.
E’ una norma che ha, esplicitamente, come bersaglio le migliaia di precari delle regioni meridionali cui è impedito di far valere nelle regioni del nord i propri alti punteggi (frutto di lunghissimi anni di lavoro senza garanzie). Saranno relegati, nelle cosiddette code delle graduatorie, quella sorta di apartheid della scuola, dove la provenienza geografica conta più di titoli e servizio.
Sono migliaia di lavoratrici e lavoratori colpiti tre volte dal governo: prima con la mancata applicazione di una legge dello stato (mai abrogata) che prevedeva il passaggio di ruolo entro tre anni per tutti i precari in graduatoria, poi con devastanti tagli -concentrati nelle regioni meridionali- che hanno precluso al sud anche il lavoro precario, infine con la discriminazione nelle graduatorie.
Vengono, con questa norma, calpestati principi essenziali quali la libertà di movimento dei lavoratori e la spendibilità dei titoli acquisiti su tutto il territorio nazionale. Un altro successo è offerto alla propaganda razzista della Lega contro l’invasione dei docenti meridionali delle scuole del Nord. L’Italia è sempre più divisa in due.
Non meno grave è quello che questo provvedimento annuncia per il futuro: norme per il reclutamento basate sulla territorializzazione e precarizzazione definitiva (e generalizzata) del rapporto di lavoro nelle scuole. Cioè il completamento della controriforma della Gelmini.
La costruzione di una risposta dura e di una generale ripresa di mobilitazione a Gennaio diventa un appuntamento ineludibile.
Dichiarazione di Luca Cangemi, segretario regionale PRC
"L'esercizio provvisorio e la previsione di nuove entrate fittizie non basteranno questa volta a coprire il disastro di una politica di bilancio, che registra un'assoluta continuita' da Cuffaro a Lombardo". A dirlo è Luca Cangemi, segretario regionale Rifondazione Comunista Sicilia, che aggiunge: "La Sicilia è già la regione più esposta del Mezzogiorno sul mercato dei capitali, con un debito di oltre quattro miliardi di euro a fine 2009, cresciuto per una politica di bilancio che nel tempo ha determinato un deficit strutturale pari a circa 2 miliardi di euro. Le spese correnti seguono, infatti, una dinamica insostenibile mentre gli investimenti languono da tempo".
"La totale assenza di un'idea sviluppo e il cappio d'interessi particolari vecchi e nuovi - prosegue Cangemi - lasciano la Sicilia disarmata, di fronte a una drammatica tempesta economica e sociale. La fine di questa esperienza di governo e di questa legislatura diventa, ogni minuto di più, un presupposto essenziale per qualunque ragionamento serio sul futuro della Sicilia".
(da la Repubblica, 18 dicembre 2010)
La Federazione della Sinistra promuove l'osservatorio sulla pubblica amministrazione regionale, che produrrà periodicamente approfondimenti su settori e questioni specifiche.
"I governi Lombardo stano rappresentando una nuova stagione, dopo quella cuffariana, di infeudamento di ogni ramo degli apparati pubblici della regione da parte del ceto politico dominante e di interessi privati, spesso oscuri.
Ogni giorno vediamo gli effetti devastanti di questa situazione su settori socialmente delicatissimi. Per contrastare questa situazione proponiamo l'osservatorio regionale come strumento non episodico, di analisi, di denuncia, di proposta alternativa sui problemi della pubblica amministrazione in Sicilia" dichiarano Luca Cangemi (segretario regionale prc) e Salvatore Petrucci (segretario regionale pdci).
Dichiarazione di Luca Cangemi, segretario regionale PRC
Non cessa di sollevare scandalo la legge salva-presidi.Una legge contraria a elementari principi costituzionali che salvaguarda i risultati del concorso per dirigenti scolastici in Sicilia, annullato da sentenze definitive della magistratura.
Una vergogna, maturata nel chiuso delle commissioni parlamentari e cui hanno concorso forze di maggioranza e di opposizione, in particolare PD e PdL, sorde persino ai gravi rilevi mossi da un organo tecnico del valore del Servizio studi della Camera dei Deputati. Siamo di fronte ad un’altra pagina d’illegalità consumata in Parlamento, ma anche a un esempio di clamorosa imperizia.
Questa normativa, infatti, contiene prescrizioni chiaramente inapplicabili. Si prevede, infatti, per chi non superò lo scritto, la ricorrezione degli elaborati “adottando, da parte della commissione giudicatrice misure idonee per garantire l’anonimato degli elaborati”.
Missione impossibile per chiunque giacché in questi anni decine di temi sono stati fotocopiati, fatti circolare pubblicamente, persino letti durante una trasmissione RAI.
Del resto il consiglio di giustizia amministrativa ha escluso la ricorrezione perché, appunto, è impossibile ripristinare l’anonimato.
Un pasticcio foriero di ingiustizie e confusione; altro che riportare serenità come ha dichiarato il governatore Lombardo, un altro campione di legalità che si è impegnato per la legge salva-presidi.
Rifondazione comunista che dall’inizio ha denunciato l’azione trasversale che ha portato alla legge salva presidi, auspica che il successo di tutte le iniziative legittimamente messe in campo per affermare la legalità democratica e rinnova il proprio impegno per una forte iniziativa d’informazione e denuncia sulla questione, tra la battaglia per la difesa della scuola pubblica.
VENERDÌ 17 DICEMBRE 2010 dalle ore 19, Camera del lavoro (via Crociferi, 40 Catania)
HAITI LE MACERIE DELLA GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERISTA
L’epidemia di colera che si è abbattuta sul paese e le proteste di piazza hanno riportato Haiti all’attenzione delle cronache. A quasi un anno dal devastante terremoto che ha distrutto la capitale, più di un milione e mezzo di sfollati continuano a vivere nelle tendopoli e tra le macerie, mentre delle cifre enormi promesse dalla comunità internazionale sono arrivate finora solo le briciole. Haiti continua a pagare il prezzo di fallimentari ricette economiche dettate dagli organismi monetari internazionali, di decenni di occupazione militare statunitense, di dittature e colpi di stato con alle spalle la regia delle potenze occidentali. A rendere Haiti uno dei paesi più poveri del mondo, così vulnerabile a disastri naturali ed epidemie, è stato un terremoto ben più devastante di quello del 12 gennaio: la globalizzazione neoliberista che, come in tanti altri paesi del sud del mondo, ha imposto la privatizzazione selvaggia di tutti i servizi e le risorse e l’asservimento dell’economia agli interessi dei paesi ricchi.
A seguire: MERCATINO DI NATALE
CENA SOCIALE cucina tipica siciliana e vini locali a prezzi popolari
14 DICEMBRE 2010. SIAMO NOI A SFIDUCIARE IL GOVERNO.
PER ISTRUZIONE, LAVORO E DIRITTI
Il 14 Dicembre sarà votata dal Parlamento la fiducia al governo Berlusconi.
Fuori Montecitorio gli studenti, i lavoratori, i disoccupati, i migranti e tutti coloro che reclamano diritti e condizioni di vita economiche e sociali migliori, manifesteranno come in centinaia di altre piazze italiane per sfiduciare questo governo che ha segnato sicurame...nte il momento più basso della politica nella storia repubblicana del nostro paese.
Ad essere condannate sono le dissennate scelte politiche di questo governo, a volte appoggiate trasversalmente anche da chi oggi vorrebbe reinventarsi come opposizione o addirittura come alternativa al Berlusconismo.
Politiche neoliberiste in continuità con le scelte dei Governi degli ultimi vent'anni, sia di centrodestra che di centrosinistra, che hanno peggiorato le nostre condizioni di vita, annullato i diritti civili e che hanno apportato tagli insostenibili al welfare, giustificate a volte con l'alibi della crisi economica mondiale altre volte con la lotta al terrorismo.
Il governo Berlusconi sta per cadere, o forse è già caduto; a prescindere dal voto parlamentare del 14 dicembre, il “berlusconismo” va sempre più sgretolandosi sotto i colpi degli scandali sessuali, della corruzione dilagante, della cattiva gestione politica e sociale del Paese. Fatti che hanno accompagnato e accompagnano la vita di questa legislatura e purtroppo di tutti i cittadini.
In questo contesto Berlusconi, Tremonti e la Gelmini vogliono sferrare l'attacco mortale all'Università pubblica e a tutta l'istruzione statale. Già nel 2008 il Governo ha tagliato 8 miliardi e mezzo di euro a scuola (7 miliardi) e università (1,5 miliardi). Gli effetti disastrosi di questi tagli si sono concretizzati negli ultimi due anni con licenziamenti, mancanza di servizi, classi sovraffollate, numeri chiusi, test d'ingresso a pagamento, eliminazione delle borse di studio (taglio del 90%), aumenti delle tasse universitarie. Ma è la Riforma dell’Università che darà il colpo di grazia attraverso lo svuotamento della democrazia interna agli Atenei, l’ingresso dei privati (almeno il 40%) nei consigli d’amministrazione, lo svilimento della ricerca, la precarizzazione ulteriore di ricercatori e dottorandi.
Il movimento degli studenti e dei ricercatori, attraverso le azioni di lotta degli ultimi mesi, è riuscito a posticipare continuamente la votazione definitiva della Riforma ma è solo la caduta del Governo che può definitivamente bloccare il processo di smantellamento dell’Istruzione pubblica.
Ma non è solo per gli attacchi al sapere ed alla formazione pubblica che questo Governo deve andare a casa.
Attacchi ai diritti del lavoratori.
Questo governo è responsabile delle più disastrose politiche in tema di lavoro e welfare.
Da un lato attacca il Contratto Collettivo Nazionale, unico garante dell’uguaglianza dei diritti fondamentali dei lavoratori, e appoggia le scelte aziendali di Marchionne, amministratore delegato della FIAT, volte a demolire i diritti costituzionali dei lavoratori, ad annullare il potere contrattuale dei sindacati e ad avviare progressivamente la delocalizzazione della produzione.
Dall’altro il Governo, come quelli precedenti, continua ad alimentare la precarietà lavorativa, diventata misura dell’esistenza delle giovani generazioni. Pacchetto Treu, Legge 30 e il recente “collegato lavoro” sono gli strumenti giuridici che centrodestra e centrosinistra hanno consegnato ai datori di lavoro per risparmiare sui costi e costringere ad un futuro precario milioni di giovani.
Come se non bastasse il Governo continua a regalare soldi a banche e grandi imprese che piuttosto di assumere producono licenziamenti e cassa integrazione. La situazione è gravissima. Più di 1 milione di persone hanno perso negli ultimi mesi il posto di lavoro e il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto al sud il 34% . Per non parlare di pensioni: l’inps si è rifiutata di pubblicare i dati sulle pensioni dei lavoratori della nostra generazione per paura “di provocare sommosse popolari.
Privatizzazione dei servizi pubblici.
Le politiche neoliberiste di questi decenni hanno permesso la svendita ai privati di servizi e beni comuni fondamentali per la crescita di una società giusta ed eguale. Vi è in atto una gestione privatistica dell'erogazione di numerosi servizi, tra cui le risorse idriche, i trasporti, la sanità, il sapere.
Tali politiche hanno come conseguenza principale un innalzamento dei costi e di conseguenza l’esclusione da tali servizi delle fasce meno abbienti a cui non viene garantito neanche il diritto alla casa e se migranti neanche il diritto di stanziarsi nel territorio senza essere sgomberati sistematicamente.
Tagli alla cultura.
La scelta di tagliare, nell’ultima finanziaria, le risorse alla cultura (scuole di cinema, teatri, fondazioni culturali ecc.) è mirata ad un progetto di distruggere qualunque forma di pensiero critico e creativo sostituiti dalla tv tuttofare, tribuna politica e varietà contemporaneamente; insieme al taglio dei fondi di tutela dei nostri beni culturali, esse rappresentano una scelta miope e perdente che seppellisce sotto le macerie il nostro patrimonio artistico culturale. Le grandi proteste delle categorie sociali (attori, musicisti ) dimostrano il crescente malcontento nei confronti di questo governo.
Pompei è crollata, gli attori scioperano, il teatro piange e la cultura sembra essere diventata un optional.
Omofobia.
Questo è il governo che con dichiarazioni dirette e indirette del presidente del consiglio esprime una cultura omofobica e di disprezzo nei confronti del “diverso” che non è stata sufficientemente condannata né dalla pseudo nuova destra né da un opposizione che sembra aver dimenticato le questioni di genere e la comunità GLBT.
Gli attacchi intellettuali e talvolta squadristi a lesbiche, gay, bisessuali e trans non si contano e avvengono nel totale silenzio delle forze dell’ordine.
Razzismo.
Questo è il Governo della Lega Nord che ha fatto la sua fortuna politica alimentando le paure e gli istinti più bassi della società italiana. Le dichiarazioni razziste sono all’ordine del giorno e purtroppo, troppo spesso, si trasformano in atti concreti ed anche legislativi. La legge Turco Napolitano prima e la Legge Bossi Fini e il Pacchetto Sicurezza oggi hanno alimentato il razzismo di Stato, la discriminazione del migrante e la falsa e strumentale equazione migrante-criminale.
I migranti vengono respinti in mare nel Canale di Sicilia, rinchiusi nei nuovi lager (CIE) e incarcerati solo perché hanno deciso di cercare un riscatto sociale nel nostro Paese.
Sembrano miraggi i diritti civili, i diritti di cittadinanza, il diritto al voto o semplicemente il normale trattamento lavorativo.
Falsa sicurezza.
Questo Governo ha alimentato i suoi consensi dicendo di incrementare la sicurezza. Tutti gli spot si sono tramutati in tagli alle forze dell’ordine e nella militarizzazione delle nostre città attraverso inquietanti ronde di carabinieri e militari. La sicurezza che vogliamo non è quella armata ma quella sui posti di lavoro, nelle nostre scuole ora inagibili, nelle nostre città costantemente in pericolo idrogeologico e sismico.
Guerra
Mentre il Paese collassa nella crisi economica e tutti soffrono per i tagli alla spesa sociale, Berlusconi aumenta le spese militari e conferma le missioni di guerra all’estero. Mentre si tagliano 8,5 miliardi di euro all’istruzione, il Governo acquista 131 cacciabombardieri per una spesa complessiva di 14 miliardi di euro.
Siamo studentesse e studenti indignate/i nei confronti dell’attacco al nostro diritto al futuro. Un attacco generalizzato al mondo del lavoro, del sapere e dei beni comuni.
Insieme ai lavoratori, ai migranti, ai disoccupati, a chi è stato picchiato dalla polizia perché manifesta, a chi non può scendere in piazza perché ricattato reclamiamo il nostro diritto alfuturo. Hanno tentato di isolarci, di dividerci, di metterci ai margini della società ma abbiamo sempre resistito ed oggi vogliamo lottare insieme per costruire l’alternativa.
Ci mobilitiamo perché vogliamo riprenderci i nostri Diritti, per un futuro all’altezza dei sacrifici fatti, anche per noi, dalle generazioni precedenti.
L’attacco che subiamo dal Governo Berlusconi e da questa opposizione inadeguata nelle scuole e nelle università è lo stesso che è portato da Confindustria a Pomigliano, lo stesso che subiscono i campani sommersi dai rifiuti ed è lo stesso subito dai terremotati aquilani le cui case e strutture pubbliche sono crollate per anni di corruzione politico-imprenditoriale.
La sera del 14 dicembre Berlusconi potrebbe aver ottenuto la fiducia o meno.
Comunque vada ci sarebbe poco da festeggiare per una partita giocata all’interno delle stanze dei bottoni. Non pensiamo che il trionfo della democrazia e dell’alternativa si abbia con biechi baratti politici che umiliano le istituzioni e tutti i cittadini.
Contro il malgoverno del paese chiediamo unità dei conflitti e delle lotte. In un momento politico così cruciale non può e non deve passare l’idea che basta una fiducia o una sfiducia a migliorare lo stato del Paese. Deve riemergere la politica dal basso, quella fatta dagli studenti, dai lavoratori, dagli emarginati.
Il 14 Dicembre scenderemo in piazza per sfiduciare il governo, la destra delle imprese e l’opposizione parlamentare complice della corruttela dilagante, dello smantellamento dello stato sociale, dell’annullamento dei diritti, della mercificazione delle nostre vite e di tutti i beni comuni.
CORTEO ORE 9 PIAZZA ROMA – DALLE ORE 13 PIAZZA UNIVERSITA’
Per adesioni: movimentostudentescocatania@gmail.com
Promuove: MOVIMENTO STUDENTESCO CATANESE
Aderiscono: Giovani Comuniste/i, FGCI, Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti italiani, Collettivo Dugonghi goliardici, RadiOkupe, Red Militant, Rete Antirazzista Catanese, Cobas, Città Felice, Resistenza Viola Catanese, Officina Rebelde, Centro Open Mind GLBT, PMLI Catania, Arci Catania
Sabato 11 dicembre il circolo Città Futura del PRC e il PDCI di Catania promuovono un corteo, con concentramento alle 11,00 a piazza Roma, per denunciare le penose condizioni della mobilità nella nostra città, che vedono soccombere, innanzitutto, i cittadini più deboli: come i diversmente abili, che restano quotidianamente prigionieri delle loro abitazioni per tutta una serie di abitudini incivili maturate dai cittaini catanesi e, soprattutto, per la totale inadeguatezza delle amministrazioni comunale e provinciale.
Per un paio d'ore riprendiamoci la città con bici, passeggini, a piedi, in carrozzella, con fischietti, bandiere, striscioni. Colmiamo il vuoto di opposizione che il Pd catanese esprime con i suoi balbettanti esponenti.
Vi aspettiamo numerosi, rumorosi, festanti ed agguerriti. Diffondete, partecipate, divulgate.
Il corteo si snoderà per viale Regina Margherita e per via Etnea, per concludersi in piazza Università.
I disabili a Catania, sono circa 1.500, ma non se ne vede in circolazione neanche uno!
Barriere architettoniche e auto parcheggiate sui marciapiedi li costringono a rimanere chiusi in casa.
I parcheggi riservati ai disabili sono un numero irrisorio e spesso sono realizzati con una logica incomprensibile (come, ad es., lo sbarco sui paletti del parcheggio per disabili presso la ASL di via Cimarosa).
Da anni le associazione dei disabili segnalano queste disfunzioni all’amministrazione comunale
Ma Sindaco, Assessori e Polizia Municipale non fanno nulla!
Per il sindaco Stancanelli e per il centro destra i disabili sono cittadini invisibili.
La Federazione della Sinistra avanza precise PROPOSTE per rendere più civile la nostra città:
1) Proteggere i marciapiedi con paletti, per impedire il parcheggio selvaggio delle autovetture e consentire così a disabili, pedoni, bambini, anziani e mamme con il passeggino di passeggiare tranquillamente;
2) Aumentare il numero degli stalli di parcheggio per disabili, soprattutto nelle zone di maggiore frequentazione (in prossimità di via Etnea, di Piazza teatro Massimo, di Piazza Università, delle strutture sanitarie dei centri medici e così via) per restituire a tutti i cittadini la libertà di passeggiare, di socializzare, di vivere la città;
3) Abbattimento delle barriere architettoniche in tutti i palazzi sede di uffici pubblici (ad es. l’ufficio del Difensore Civico, ubicato in via Etnea accanto al bar “Caprice”, è totalmente inaccessibile ai disabili);
4) Utilizzazione dei fondi FAS regionali per finanziare progetti di adeguamento del territorio alle esigenze dei disabili.
L'ultimo appuntamento del 2010 con il gruppo di acquisto popolare città futura si terrà domenica 12 dicembre, dalle ore 10,30 alle 13, presso la sede di via Conte di Torino, 29/i, Catania.
Troverete nuovi prodotti "festivi", tra cui ottime mandorle sgusciate di Raffadali.
Il GAP ritornerà domenica 9 gennaio 2011.
Il PRC siciliano parteciperà alle iniziative previste a “CasaMemoria Felicia e Peppino Impastato” per ricordare Felicia che ci ha lasciato il 7 dicembre 2004, dopo una vita che costituisce un simbolo straordinario delle scelte di rottura, civile e culturale, necessarie per la nostra terra.
La memoria di quell'esperienza è tanto più preziosa in questo tempo difficile, in cui la presenza mafiosa ritorna in forme diverse ma ugualmente oppressive e ugualmente funzionali alla conservazione degli assetti di potere politici ed economici.
Non è un caso che la vicenda umana di Felicia e Peppino sia diventata un simbolo universale per chi si batte contro ogni sopraffazione, per una prospettiva di giustizia e solidarietà, per una società radicalmente diversa. Andiamo a Cinisi il 7 dicembre, così come ogni 9 maggio, nel giorno dell'uccisione di Peppino, con l'impegno a valorizzare il ricordo nelle lotte dell'oggi.
Da molti anni la gestione dell’Istituto Autonomo Case Popolari di Catania rappresenta uno degli esempi peggiori di come, nella nostra città, settori essenziali della pubblica amministrazione siano piegati a interessi che nulla hanno a che fare con quelli dei cittadini e in particolare delle fasce sociali più deboli, che dovrebbero tutelare.
Esiste, come già denunciato da esponenti della federazione della sinistra, una relazione di tre ispettori regionali che squaderna un impressionante contesto, che ruota attorno al direttore generale Schilirò, di atti illegittimi e ingiustificabili, di favoritismi, di spese assurde.
Particolarmente gravi appaiono le ombre sull’assegnazione degli alloggi dell’istituto, in una città in cui l’emergenza abitativa costituisce uno dei problemi sociali più rilevanti.
Siamo di fronte ad un articolato sistema, che piega importanti funzioni pubbliche a interessi particolari e alla costruzione di un consenso ai ceti politici dominanti, veri responsabili di questa situazione.
La città ha il diritto di sapere la verità fino in fondo e di cambiare pagina.
Circolo Città Futura
Partito della Rifondazione Comunista - federazione della sinistra
In tutta Italia, sono giornate di straordinaria mobilitazione contro il ddl Gelmini che distrugge l'università pubblica, occupazioni in moltissimi atenei ed in luoghi simbolici della cultura, a Catania occupata la facoltà di Fisica e martedì 30 grande manifestazione... la protesta continua!
Intervista ad Alberto Burgio, docente all’università di Bologna, direzione nazionale del Prc
Studenti in piazza, atenei occupati, cariche della polizia. L’università, in questi giorni, è il fronte più caldo dell’opposizione sociale al governo Berlusconi. «Però si è riscaldato con imperdonabile ritardo», spiega Alberto Burgio, autore già un paio d’anni fa, di Manifesto per l’università pubblica, scritto assieme a Gaetano Azzariti, Alberto Lucarelli e Alfio Mastropaolo (DeriveApprodi, pp.96, euro 10). «Temo purtroppo che la riforma diventerà legge, questione di ore. E’ uno scandalo che un governo in coma si permetta di varare una cosiddetta riforma su un aspetto tanto nevralgico».
Tutte le pseudo-riforme degli ultimi anni si sono richiamate a criteri di ragioneria. Non ci sono i soldi, quindi bisogna tagliare. Un argomento in apparenza incontrovertibile, no?
Se veramente il problema fosse la mancanza di soldi nell’immediato, basterebbe fare scelte politiche diverse da quelle operate sinora. Perché, ne dico una, non riduciamo le spese militari? Oppure, perché non si fa nulla per ridurre l’enorme, scandalosa evasione fiscale, ben oltre i cento miliardi di euro l’anno, sottratti alla finanza pubblica?
Anche quando le riforme rivendicano un carattere tecnico, producono effetti politici. Ma qui non sarà che i tagli sono un pretesto per smantellare l’università pubblica di massa?
La questione economica è la foglia di fico. C’è un progetto chiaro. La riforma opera con i tagli, ma il suo cuore è politico. Nel senso che si vuole mettere la parola fine al sogno di una università di massa e di uno strumento democratico di diffusione del sapere oltre che di accesso alle professioni e ai ruoli di direzione sociale e politica del paese, come da Costituzione. Il vero progetto è questo: ridurre al minimo la funzione di mobilità dell’università e restituire quest’ultima alla sua funzione tradizionale, quella di riproduzione delle élite e di una classe dirigente oligarchica. Per il resto, per la stragrande maggioranza delle persone, si riserva un’alfabetizzazione al livello delle esigenze di un mercato del lavoro che all’Italia, tra l’altro, affida un ruolo di secondo piano. Non sono il sapere, l’innovazione, la conoscenza a essere considerati la leva del futuro, bensì il lavoro dequalificato, precario e sottopagato.
Non c’è anche l’obiettivo di avvantaggiare l’offerta privata di conoscenza, riscrivendo i rapporti giuridici tra università e impresa? Si parla molto delle fondazioni e dell’ingresso dei privati...
Affidare ai privati la funzione di dirigere la spesa per la ricerca e per le istituzioni formative significa pensare a un’università per pochi. Ci si riempie la bocca della retorica dell’eccellenza e si trascura il compito fondamentale che dovrebbe essere la mobilità del sapere e innalzamento del sapere critico di massa. Attenzione, però. I privati non sganciano un quattrino. Né per la ricerca e l’innovazione nelle loro imprese - come dimostra il caso Fiat - e nemmeno per le loro stesse università. Pochi, infatti, sanno che le stesse università private vivono in larga misura con i soldi pubblici. Vale per la stessa Bocconi che suole essere considerata fiore all’occhiello della formazione privata. Bisogna intendersi sulla privatizzazione in atto: non è una alienazione, bensì una privatizzazione del pubblico, un regalo ai privati, di fatto. Come ci spiega l’economista staunitense James Kenneth Galbraith, la difesa dello Stato, oggi, è tornata a essere uno slogan di destra. Lo Stato è diventato una cosa privata, serve a dare soldi alle banche. L’affare delle fondazioni, tornando al nostro problema, rischia d’essere un gigantesco regalo ai privati, i quali diventerebbero proprietari dell’immenso patrimonio delle università.
Avremo un esercito di lavoratori intellettuali precari e sottopagati. Com’è possibile che avvenga questo nel momento in cui la conoscenza, il simbolico e la dimensione cognitiva svolgono oggi un ruolo fondamentale nell’economia?
In un paese che accettasse la sfida dello sviluppo il sapere e la conoscenza sarebbero strategici. Ma il capitalismo non funziona in base al criterio di compensare le funzioni sociali con il reddito in misura della loro importanza. Il capitalismo decide la misura delle retribuzione dei lavori spingendole verso il livello più basso possibile. Da una parte, ci si intende servire del sapere poiché è indispensabile alla riproduzione del capitale, dall’altra, il sapere viene pagato nella minore misura possibile. I giovani che lavorano nella ricerca sono precarizzati e messi in condizione di ricattabilità. Ci si avvale dei loro saperi al più basso prezzo di mercato. Nella specificità italiana i saperi contano ancor meno, perché l’Italia sceglie di recitare un ruolo di complemento nella divisione internazionale del lavoro, limitandosi a offrire lavoro dequalificato e a basso costo. E’ folle, non solo perché si condannano le giovani generazioni a una vita di miseria, ma anche perché non è immaginabile competere con le cosiddette economie emergenti sul costo del lavoro.
Ad aggravare la situazione c’è l’affinità del Pd con le ricette del centrodestra. Non ti pare?
Anche il Pd ha enormi responsabilità. Ho persino dei dubbi che l’opposizione parlamentare abbia fatto davvero di tutto per impedire la riforma. Invece di fare opposizione in nome della difesa dell’università pubblica e di massa, rivendica la primogenitura delle stesse categorie della destra: la competizione tra le università, le fondazioni, la governance, il riconoscimento alle imprese di una funzione di direzione. Una sostanziale condivisione dello stesso progetto politico.
Dichiarazione di Luca Cangemi, segretario regionale di Rifondazione Comunista
Le mobiltazioni che si sono realizzate in Sicilia, in occasione della giornata mondiale per il diritto allo studio, rappresentano un fondamentale momento della protesta delle giovani generazioni contro le scelte operate dal governo in materia di istruzione e ricerca. Scelte che hanno già comportato prezzi altissimi in termini di discriminazione all’accesso agli studi e di dequalificazione dei processi formativi, mentre si rinnova l’oltraggio dei finanziamenti alle scuole ed alle università private. La Sicilia ed il mezzogiorno hanno pagato un tributo pesantissimo sull’altare di politiche miopi e restrittive: colpire scuola, università e ricerca significa perdere migliaia di posti di lavoro, colpire elementi essenziali di coesione sociale, azzerare le precondizioni delo sviluppo, incrementare il flusso dell’emigrazione intellettuale. In questa difficile fase del Paese la voce delle nuove generazioni è essenziale, per realizzare un autentico cambio di rotta e riportare la valorizzazione del sapere al centro dell’attenzione, come elemento decisivo per un futuro migliore.
Da oltre 60 anni il 17 novembre è una data di grande valore simbolico per gli studenti: in quella data, infatti, centinaia di studenti cecoslovacchi che si opponevano alla guerra furono arrestati e uccisi dai nazisti nel 1939. Ma il 17 novembre è anche il giorno in cui gli studenti greci furono massacrati dai carri armati del regime ad Atene nel ’73. L’assemblea mondiale di Bombay del World Social Forum decise nel 2004 di ripristinare questa data della memoria e di renderla un momento importante di mobilitazione studentesca.
Scendiamo in piazza il 17 Novembre per difendere il diritto allo studio dai pesanti attacchi del governo delle destre, che sta distruggendo il sistema formativo scolastico e universitario con tagli pesantissimi, fino alla recente decisione di tagliare del 90% le borse di studio e alla proposta di DDL Università, che prevede la fusione degli Atenei, l'introduzione del Prestito d'onore, l'ingresso di banche e privati nei consigli d'amministrazione, la riduzione della rappresentanza studentesca all'interno degli organi d'Ateneo, la cancellazione della figura del ricercatore che in questi anni ha retto la didattica e gli esami all'interno delle facoltà. MANIFESTAZIONE DEL MOVIMENTO STUDENTESCO CATANESE MERCOLEDì 17 NOVEMBRE, ORE 9, PIAZZA ROMA
Dolores Ibarruri nata a Gallorta, Biscaglia, nel 1895 in una famiglia di minatori, operaia, moglie di un minatore asturiano, entrò giovanissima nelle file del Partito socialista e collaborò a diversi giornali di opposizione con lo pseudonimo di Pasionaria Fu tra i fondatori del Partito Comunista Spagnolo del quale fu una delle principali dirigenti.Tra il 1931 ed il 1934, dopo la rivolta delle Asturie, fu più volte incarcerata.Nel 1935 fu membro del Comitato Esecutivo della Terza Internazionale.Nel febbraio del 1936, con le elezioni che dettero la vittoria al Fonte popolare, fu eletta deputato, diventando poi vicepresidente delle Cortes.
Il Partito comunista, nel marzo del 1936, subito dopo le elezioni, rivolse al Partito socialista la proposta di approvare un programma più ampio di quello del Fronte popolare, senza la cui attuazione era impossibile distruggere le basi materiali della controrivoluzione fascista. Il programma doveva prevedere in particolare la confisca di tutte le terre dei grandi proprietari fondiari e la loro distribuzione ai contadini poveri e ai salariati agricoli; l’annullamento di tutti i debiti dei contadini e il rapido miglioramento delle condizioni dei braccianti e dei contadini poveri; la nazionalizzazione della grande industria, delle banche e delle ferrovie; il radicale miglioramento delle condizioni degli operai; la democratizzazione dell’apparato statale e dell’esercito. I capi socialisti respinsero le proposte del partito comunista. Tuttavia il Fronte popolare si rafforzava e crescevano rapidamente la forza e l’autorità del Partito Comunista.
Le forze reazionarie volevano annullare tutte le conquiste politiche ed economiche delle masse lavoratrici ottenute nella lotta per la repubblica e restaurare i poteri e i privilegi del grande capitale, dei proprietari fondiari e del clero.
A tale scopo fascisti, magnati della finanza, l’aristocrazia terriera, il clero, generali dell’esercito organizzarono una congiura, riponendo le loro speranze nell’esercito e nella squadre dell’organizzazione fascista “Falange spagnola” ed ottenendo l’appoggio aperto della Germania nazista e dell’Italia fascista
Il Partito Comunista chiamò il popolo a tenersi pronto per respingere l’attacco della reazione e chiese al governo repubblicano e alle organizzazioni democratiche una ferma politica rivoluzionaria. Ma l’unità del campo democratico era minata dalla politica dei socialisti e degli anarco – sindacalisti, dalle incertezze e dalla paura dei repubblicani borghesi di fronte all’iniziativa rivoluzionaria delle masse.
La rivolta fascista cominciò il 18 luglio 1936, i congiurati fascisti e il clero speravano di ottenere in pochi giorni un pieno successo. Ma contro di essi si levò in tutta la Spagna una parte vasta delle masse popolari, migliaia di donne e di uomini accorsero nei reparti volontari della milizia popolare. Nelle fabbriche, nelle officine, nelle miniere si crearono battaglioni operai
In questo periodo burrascoso i partiti repubblicani borghesi caddero in preda alla confusione. Di tutte le organizzazioni politiche solo il Partito Comunista era veramente preparato alla lotta, mobilitò in fretta tutte le sue forze e passò subito alla formazione di battaglioni di milizia popolare. A Madrid il partito creò un’unità militare che divenne presto famosa il 5° reggimento, Nelle Asturie si formarono i battaglioni comunisti “Karl Marx”, “Maksim Gorki”, “Lina Odena” che furono tra i migliori battaglioni della milizia popolare antifascista
Alla testa del Partito Comunista si trovavano José Diaz e Dolores Ibarruri. Provenienti dalle file della classe operaia e legati ad essa da profonde radici, questi dirigenti si rivelarono durante la lotta autentici capi popolari. Attivissima propagandista, abile e accesa oratrice,Dolores Ibarruri divenne un simbolo della lotta repubblicana.
La resistenza della Repubblica spagnola suscitò un vasto movimento di solidarietà che coinvolse tutto il mondo. I volontari internazionalisti che combattevano a favore della repubblica furono decine di migliaia. Nella lotta caddero migliaia di combattenti antifascisti di tutto il mondo: “Gli spagnoli sanno - scrisse il poeta sovietico Ilia Erenburg, testimone e partecipe alla lotta antifascista in Spagna - che l’amore per essi fu dimostrato da noi non a parole, ma col sangue. Vi sono eroismi, vi sono tombe che commuoveranno e ispireranno generazioni di spagnoli Uno su cinque dei volontari trovò la morte in Spagna. Al momento dello scioglimento delle brigate internazionali alla fine del 1938, così li salutava Dolores Ibarruri al momento della partenza:
Per la prima volta nella storia delle lotte dei popoli si è verificato lo spettacolo, stupefacente per la sua grandezza, della formazione di brigate internazionali per aiutare a salvare la libertà e l’indipendenza di un Paese minacciato, della nostra Spagna. Uomini di diverso colore, di differenti ideologie, di religioni opposte, ma tutti con un profondo amore per la libertà e la giustizia, sono venuti ad offrirsi a noi, incondizionatamente. Ci hanno dato tutto; la loro gioventù o la loro maturità; la loro scienza o la loro esperienza; le loro speranze e i loro desideri… e non ci hanno chiesto nulla. La vostra causa, la causa della Spagna è la causa di tutta l’umanità avanzata e progressista, non vi dimenticheremo. Quando l’ulivo della pace fiorirà intrecciato con gli allori della vittoria della repubblica spagnola, tornate! Troverete l’affetto e la gratitudine del popolo spagnolo che oggi e domani griderà con entusiasmo: viva gli eroi delle brigate internazionali.
Strenua oppositrice del franchismo, dopo la sconfitta emigrò in Francia nel 1939 e poi nell’Unione Sovietica dove, alla morte di José Diaz, nel 1942, fu eletta Segretario Generale del Partito Comunista in esilio, carica che tenne fino al 1960, quando divenne presidente del partito. I sopravvissuti alla guerra civile e alla seconda guerra mondiale non poterono tornare in Spagna fino alla fine della dittatura di Franco. Ibarruri tornò in Spagna nel 1977, eletta deputato nello stesso anno. Morì il 12 novembre 1989, a 94 anni, fedele agli ideali a cui aveva dedicato una lunga vita, attraversando l'intero novecento.
Le famiglie italiane risparmiano sui generi alimentari mentre i nostri coltivatori abbandonano le campagne. I prezzi dei generi alimentari crescono ma nonostante questo le piccole aziende agricole chiudono. Il mercato globale, le politiche comunitarie, l'inedia del Governo e la grande distribuzione che impone prezzi intollerabili ed ingiusti sono i responsabili principali delle speculazioni e della crisi.
Per fare un esempio comprensibile, i primi di ottobre una delle più importanti associazioni di tutela dei consumatori denunciava che IN ITALIA VIGE SUL PANE UN RICARICO DAL CAMPO ALLA TAVOLA DEL +1127%,CON IL GRANO QUOTATO 0,22 EURO AL KG, E IL PANE VENDUTO MEDIAMENTE A 2,70 EURO AL KG”.
A tutto questo i Gruppi di Acquisto Popolare hanno deciso di dare un taglio, accorciando la filiera e azzerando la speculazione. Abbiamo messo insieme i produttori ed i consumatori, ed abbiamo creato un prezzo equo per i nostri prodotti che permette a tutti di vivere in dignità.
I GAP rivendicano la creazione di un piano nazionale per la sovranità alimentare nel quale si possano costruire le condizioni per avere prezzi equi e prodotti di qualità accessibili alle classi popolari.
Crisi sociale, finanziaria, agricola ed industriale sono il segno che questo sistema produttivo basato sul profitto di pochi sulla pelle di molti non funziona più.
Cacciare il Governo Berlusconi Bossi è il primo obbiettivo che dobbiamo darci per difendere la nostra costituzione ed impedire la distruzione del nostro paese, il secondo è quello di costruire un movimento in grado di migliorare le condizioni delle classi popolari che pagano oggi una crisi che non hanno prodotto partendo dalla difesa dei salari e delle pensioni, difendendo i servizi pubblici dai tagli che l'Europa ed il governo ci impongono.
Noi non vogliamo solamente uscire dalla crisi, noi vogliamo uscire dal sistema che la produce.
Se siamo riusciti noi ad avere un prezzo equo per dare una risposta concreta alle classi popolari perchè i nostri governanti non ci riescono?
DOMENICA 14 GRUPPO DI ACQUISTO POPOLARE, dalle ore 10,30 alle 13.00 nella sede del circolo città futura, via Conte di Torino, 29/i Catania, troverai: PANE a €1 al Kg, frutta e verdura, vino, formaggi, olio, conserve da agricoltura biologica e tanto altro... A PREZZI POPOLARI !!!
dalle ore 10,30 alle 13.00 nella sede del circolo città futura, via Conte di Torino, 29/i
troverai: PANE a €1 al Kg
frutta e verdura, vino,
formaggi, olio
conserve da agricoltura biologica
e tanto altro...
A PREZZI POPOLARI !!!
L'ennesimo colpo ai diritti dei lavoratori da parte del governo Berlusconi, l'ennesimo tentativo di rendere le vite delle giovani generazioni sempre più precarie. Fino all’entrata in vigore del “collegato lavoro” era possibile impugnare in giudizio i contratti di lavoro precario di qualunque tipo (a termine, a progetto, interinale) che presentassero illegittimità formali e sostanziali e chiederne, in qualunque momento (anche dopo la decadenza del contratto), la trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Oggi, invece, con l’approvazione del “collegato lavoro”, il lavoratore che volesse impugnare in giudizio il suo contratto può farlo soltanto entro 60 giorni dalla sua scadenza. La cosa ancora peggiore è che tale norma vale retroattivamente per tutti i contratti precari illegittimi e irregolari, dato che impone a tutti di ricorrere entro e non oltre 60 giorni dall’entrata in vigore della legge. Passato questo termine tutti i contratti precari illegittimi non potranno più essere impugnati e le centinaia di migliaia di lavoratori che avevano diritto, secondo la legge, di vedere trasformato il proprio vecchio contratto precario illegittimo in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato rimarranno con in mano un pugno di mosche.
Rivolgiti ai nostri sportelli di consulenza legale, fai valere i tuoi diritti!
comunicato della federazione della sinistra - sicilia
Le prime notizie sull’operazione delle forze dell’ordine che ha portato all’arresto di esponenti politci di primo piano dell’area catanese, implicati nello stesso filone di indagini che ha visto coinvolto anche il presidente della regione, confermano la gravissima forza di condizionamento di un articolato sistema di relazioni politico-affaristico-mafiose. Con cadenza ormai quotidiana, in ogni parte della Sicilia, ci viene squadernata davanti una vita economica e istituzionale dominata da gruppi di potere oscuri, mentre la crisi sociale e civile si approfondisce sempre più.Di fronte a questa drammmatica situazione è necessaria la ripresa di un impegno politco e culturale di massa che rivendichi un destino diverso per la nostra Isola. La Federazione della Sinistra siciliana ribadisce la richiesta di scioglimento dell’Assemblea Regionale Siciliana, sempre più delegittimata, come atto indispensabile per aprire aprire la via del rinnovamento.
Luca Cangemi, Partito della Rifondazione Comunista
Salvatore Petrucci, Partito dei Comunisti Italiani
Concetto Scivoletto, Socialismo 2000
Pietro Milazzo, Lavoro e Solidarietà
oggi durante le attività del gap è stato nuovamente estratto il biglietto vincente della lotteria di liberafesta:
il numero 21 si aggiudica l'abbonamento al cinestudio e può contattare il circolo città futura per ritirare l'ambito premio!
Presso la sede del circolo città futura è attivo uno sportello di consulenza legale gratuita.
Un avvocato specialista ascolterà i vostri quesiti e vi aiuterà a trovare le migliori soluzioni ai vostri problemi, in materia di: famiglia; lavoro; disabili; diritti del contribuente; lotta alle discriminazioni.
I prossimi appuntamenti sono il primo e il terzo venerdì di ogni mese:
5 novembre, 19 novembre, 3 dicembre, 17 dicembre, dalle ore 17 alle 19.
Le associazioni catanesi per la tutela dei diritti dei migranti lanciano l'allarme su quanto sta avvenendo relativamente alla gestione da parte delle forze dell'ordine dello sbarco di 128 stranieri avvenuto ieri a Catania. "Rimangono ancora confuse - denunciano le associazioni, tra cui Arci, Acnur, Iom e Save the children - le modalita' di intervento del blocco a mare del peschereccio carico di migranti e relativo uso della forza. Stiamo assistendo a gravissime violazioni dei diritti di questi cittadini stranieri che vengono trattenuti in detenzione al momento presso un palasport della periferia di Catania", il Palanitta, dove da 24 ore e' in corso un presidio per sollecitare il rispetto dei diritti dei cittadini stranieri trattenuti all'interno della struttura. L'Arci ha richiesto l'accesso dei propri legali per informare i cittadini stranieri presenti, di cui non e' stata ancora accertata ufficialmente la nazionalita', sulla possibilita' di richiedere la protezione internazionale. L'accesso e' stato prima negato dalla prefettura di Catania. Successivamente, il pm Agata Consoli, incaricata delle indagini, ha firmato un nulla osta, ma la prefettura non ha ritenuto di consentire l'accesso e ha verbalmente motivato tale decisione sulla base di un presunto "ripensamento" sul provvedimento da parte della procura. Ad oggi, pero', affermano le associazioni, non e' stato esibito nessun atto formale che revochi la precedente autorizzazione.
"Viene pregiudicato il diritto degli stranieri - dicono le associazioni - alla richiesta di protezione internazionale".
Viene rilevato, inoltre, che i 46 minori presenti nella struttura, contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, abbiano pernottato insieme al gruppo degli adulti, in assenza di mediatori, assistenti sociali, educatori, e non siano stati tuttora trasferiti alle comunita' di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Dieci stranieri tra la giornata del 26 e del 27 sono stati ricoverati in strutture ospedaliere della citta' e subito dimessi "pur presentando condizioni di salute assai precarie". Rilevato tutto questo, spiegano le associazioni, "ci sembra evidente che il disegno del ministero dell'Interno sia quello di procedere aduna rapida espulsione di massa senza offrire le garanzie previste dalla normativa in materia di protezione umanitaria in violazione delle normative italiane e internazionali".
(AGI)
dalle ore 10,30 alle 13.00 nella sede del circolo città futura, via Conte di Torino, 29/i
troverai: PANE a €1 al Kg
frutta e verdura, vino,
formaggi, olio
conserve da agricoltura biologica
e tanto altro...
A PREZZI POPOLARI !!!
è stato estratto il biglietto vincitore della lotteria di libeafesta, che si aggiudica la tessera di abbonamento al cinestudio: è il numero 17.
il/la fortunato/a può contattare il circolo città futura per ricevere l'ambito premio!
L'intervento del segretario della FIOM Landini a conclusione della manifestazione del 16 ottobre
Vedere questa bellissima piazza dà davvero tanta felicità, ma allo stesso tempo indica una speranza. È anche una piazza che indica una forza; soprattutto è una piazza che unisce questo paese e che parla al paese. Dice cioè che per uscire dalla gravissima crisi che stiamo vivendo c'è bisogno di rimettere al centro il lavoro, i diritti. E che per questa ragione è necessario contrastare la politica che il governo sta facendo ed è necessario contrastare la politica che Confindustria, in questo paese, insieme a Federmeccanica, sta facendo.
Perché il punto di fondo da cui ripartire sono le ragioni per cui si è determinata questa crisi. Noi siamo in presenza del fatto che per 20 anni ci hanno raccontato che era sufficiente «lasciare fare al mercato e tutto sarebbe andato a posto». E dopo 20 anni noi siamo di fronte al fatto che la finanza non ha alcuna regola, anzi la politica e gli stati sono al servizio della finanza. Siamo in presenza di un'evasione fiscale che non ha precedenti, tutta a danno dei lavoratori dipendenti. Siamo in presenza di una precarietà nel lavoro che non ha mai avuto una dimensione come quella che stiamo vivendo. Siamo di fronte al fatto che c'è stata una redistribuzione della ricchezza a danno di chi lavora che non ha precedenti.
Vedete, quando si lavora e si è poveri, siamo di fronte non solo a un'ingiustizia, ma al fatto evidente che una società così non è accettabile e che noi dobbiamo ribellarci per cambiarla. E dobbiamo dire con forza che, proprio per queste ragioni, uscire da questa crisi richiede dei cambiamenti.
In tanti ci descrivono semplicemente come quelli che sono capaci di dire solo «no». E' vero. Noi alla Fiat abbiamo detto «no», alla Federmeccanica abbiamo detto «no». Perché quando si vuole cancellare i diritti, quando si vuole cancellare il contratto, quando si vuole cancellare la dignità delle perone che lavorano, noi diremo sempre di «no». Non accetteremo mai che questa sia la strada per cambiare la situazione.
Ma vorrei ricordare a queste persone che noi, invece, avanziamo delle proposte per cambiare questa situazione. Noi vogliamo un altro modello di sviluppo. Vogliamo cioè ridiscutere cosa si produce; che ciò che si produce sia ambientalmente sostenibile; vogliamo che i beni comuni di questo paese siano difesi, che non siano privatizzati; vogliamo cancellare la precarietà, redistribuire la ricchezza e aumentare i salari; vogliamo estendere i diritti a chi non ce li ha. Ossia, ai giovani che oggi hanno di fronte nessun futuro; solo la prospettiva di essere precari per tutta la vita.
Noi non accettiamo questa cosa, la vogliamo cambiare. E vogliamo anche che la scuola sia un diritto pubblico, che sia possibile unire il lavoro, i diritti, il sapere, e vogliamo anche che sia estesa la democrazia.
Vedete, in questi giorni tanti hanno parlato. I ministri addirittura hanno fatto a gara a raccontare chissà cosa sarebbe successo oggi. Io credo si debbano vergognare per quel che hanno detto. Perché quando si arriva addirittura ad invocare il morto, come un ministro ha fatto, siamo di fronte a una irresponsabilità totale.
Ma questa piazza ... questa piazza ha la forza di dire che non solo questa è una manifestazione democratica e pacifica, ma vorremmo ricordare che se c'è la democrazia in questo paese è perché chi lavora l'ha conquistata e l'ha estesa. E se questi ministri possono dire anche le castronerie che ogni tanto dicono è perché siamo noi che garantiamo il diritto democratico a tutti di poter parlare e di poter dire il loro pensiero.
Se ci pensate un attimo... i processi di globalizzazione che in questi anni ci sono stati hanno proprio nella democrazia il loro limite, hanno paura della democrazia, hanno paura della trasparenza, hanno paura cioè che le persone possano sapere quello che avviene e possono decidere.
Noi siamo di fronte ad una crisi gravissima come non abbiamo mai vissuto; sta mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Nonostante ci raccontino che dovremmo stare tranquilli e che va tutto bene, noi sappiamo perfettamente che così non è. Anzi, se nei prossimi mesi non c'è un cambiamento radicale delle politiche industriali, rischiamo di essere di fronte a ulteriori chiusure, alla fine della casa integrazione, a migliaia di posti che vanno persi; alla disoccupazione.
Ma è questo il punto di novità. Si sta cominciando a capire che è proprio questo turbocapitalismo che divora tutto, senza curarsi del domani, che rischia di consumare il presente senza un'idea del futuro; e quindi abbiamo davvero la necessità di produrre un cambiamento.
Il governo e Confindustria stanno usando questa crisi perché vorrebbero cambiare gli assetti sociali e di potere. Del resto è un po' che lo stanno facendo. Già nel 2001, con il Libro Bianco dell'allora ministro Maroni, il centrodestra e la Confindustria avevano disegnato quello che volevano fare; e oggi stanno cercando di fare esattamente quello che avevano detto allora. L'attacco alla scuola pubblica, il blocco dei contratti, la cancellazione della contrattazione, la cancellazione della democrazia nei luoghi di lavoro, il superamento del diritto a contrattare, l'assenza totale di una politica industriale che fa arretrare questo paese, sono parte di uno stesso disegno.
Ma noi l'abbiamo capito; e proprio per questo vogliamo cambiare la situazione. Vogliamo mettere in campo un'azione che non si esaurisce oggi, ma che sia in grado di cambiare nelle fabbriche, nel territorio, questa situazione.
Ne hanno dette di tutti i colori: sui lavoratori, sulla Fiom, sulla Cgil. Addirittura Brunetta è arrivato ad accusarci di essere un sindacato che difende i fannulloni e i lavativi. Credo sia un falso in atto pubblico, perchè noi, Brunetta, non l'abbiamo mai difeso. Quindi è evidente a tutti che siamo di fronte a delle bugie...
Il caso Fiat... Noi siamo di fronte a una teoria che si vorrebbe far passare in questo paese: per poter investire in Italia bisognerebbe cancellare i diritti e gli orari, per far funzionare le fabbriche in Italia ci vorrebbe il diritto di poter licenziare quando si vuole
E invece noi dovremmo porci un altro problema: perché la Fiat è messa peggio di altre aziende che costruiscono auto? Perché tutti parlano del modello tedesco e in Germania gli stipendi sono il doppio di quegli italiani, lavorano meno e vendono più macchine?
È esemplificativo quello che è successo negli ultimi due incontri che abbiamo avuto con la Fiat. Uno è avvenuto a Torino. C'erano tutti: il governo, le forze istituzionali, tutte le forze sindacali. Marchionne, cui va riconosciuto il parlare con chiarezza, non ha detto solo alla Fiom e alla Cgil «ditemi sì o no». Ha usato quella platea per dire che il suo piano industriale lo ha deciso lui, che non lo discute con nessuno, che non vuole proprio concordarlo con nessuno e che, semplicemente, chiede a tutti anche al governo e alle forze istituzionali semplicemente di dire sì o no.
Naturalmente, in quella sede solo la Fiom e la Cgil gli hanno detto che non va bene e che così non può funzionare.
Io, sinceramente, sono allibito quando la più grande azienda italiana che, come è noto, in questi anni ha avuto tanti finanziamenti pubblici che le hanno permesso di essere quella che è si trova di fronte a un governo e istituzioni incapaci di dire altro che semplicemente «sì».
Vorrei ricordare qui che il primo a dire «no» alla Fiat non è stata la Fiom. Quando la Fiat è andata in Germania per comprare l'Opel e ha presentato i piani industriali... l'IG-Metall gli ha detto di «no», il governo tedesco gli ha detto di «no». Perché, se si assume il modello tedesco, allora bisogna fare una distinzione anche sulla politica industriale. Non è vero che le imprese non abbiano una responsabilità sociale; non è vero che è solo il suo interesse. Lo ribadiamo qui, da questa piazza. Noi, la Fiom, la Cgil, le lavoratrici e i lavoratori italiani, più ancora della Fiat di Marchionne, vogliamo che in Italia si continuino a produrre auto, camion e trattori. Perché mentre lui ha la possibilità di decidere di andare a produrre in giro per il mondo, noi questa alternativa non ce l'abbiamo.
E proprio per questa ragione vogliamo che si affrontino i problemi.
Se c'è un ritardo e si vende meno, è perché in questi anni si è investito poco nell'innovazione dei prodotti e dei progetti; è perché la competizione non la si fa tagliando i salari e i diritti. Ed è sbagliato, per il paese oltre che per i lavoratori, pensare che tu la competizione la vinci solo sui bassi salari. Se c'è un problema di qualità, non si può raccontare che in Italia «non si chiede l'intervento pubblico» e poi si va in Serbia perché ti fanno i ponti d'oro. Non si può raccontare che «in Italia non serve l'intervento pubblico» e poi si va negli Stati uniti perché Obama e i lavoratori mettono a disposizione i loro soldi.
Io la voglio dire ancora con più chiarezza: se non c'è un intervento pubblico nel nostro paese per orientare gli investimenti, la ricerca, una nuova qualità dello sviluppo, da questa crisi non si esce. Perché quelli che l'hanno determinata non possono venirci a raccontare che sanno loro come se ne esce.
E noi lo diciamo con grande responsabilità, perché è ora di smetterla. Noi non abbiamo semplicemente detto «no» a Pomigliano. Noi abbiamo avanzato delle controproposte. Abbiamo detto che eravamo pronti ad aumentare l'utilizzo degli impianti, perché il contratto che c'è permette di fare più turni. Abbiamo detto che eravamo pronti a discutere di come migliorare la produttività, di come articolare in modo diverso le pause, abbiamo addirittura fatto una proposta che darebbe alla Fiat un utilizzo degli impianti e una capacità produttiva superiore a quella che loro hanno pensato.
Stiamo ancora aspettando la risposta. La verità è che non gli interessa quante macchine si fanno; vogliono affermare l'idea che non c'è più, per le persone che lavorano in fabbrica, il diritto di poter contrattare la propria condizione di lavoro.
Lo dico con franchezza: dire qui che c'è in ballo la Fiom e la Cgil, o che voglion far fuori la Fiom e la Cgil, è solo una parte di verità.
Io penso che siamo di fronte ad un passaggio ancora più in là... E cioè il tentativo della Confindustria, della Fiat e di Federmeccanica, di cancellare il contratto con la derogabilità dei contratti nazionali.
L'obiettivo vero non è semplicemente fare fuori la Fiom e la Cgil, ma di più. E' cancellare il diritto delle persone che lavorano in fabbrica, se vogliono, di poter contrattare, di esser persone libere con la possibilità di far funzionare meglio la fabbrica. Vuol dire farci tornare indietro di cento anni.
E io credo che questo imbarbarimento non è solo inaccettabile, perché peggiora la condizione di chi lavora; ma è inaccettabile perché fa arretrare tutto il paese, fa arretrare il sistema industriale del nostro paese.
Addirittura, nell'ultimo incontro che abbiamo avuto alla Fiat a giugno, in tanti ci spiegavano che sì, Pomigliano era un brutto accordo, però si poteva firmare perché «lì c'è la camorra, perché c'è una situazione difficile». Vi ricordate, allora, in quanti ci hanno spiegato che sarebbe rimasta una cosa isolata, che non si sarebbe estesa? Non solo adesso siamo alla derogabilità del contratto, ma nell'ultimo incontro, il 5 ottobre la Fiat, ci hanno ricordato che se vogliamo sapere quale è il piano industriale (una delle stranezze di questa situazione è che non si sa quali, dove e quando saranno fatti i nuovo prodotti) prima dobbiamo firmare un accordo che permette loro di estendere Pomigliano in tutti gli altri stabilmenti. Anzi. Ci è stato detto che in alcuni casi, forse, potrebbe esserci la necessità di andare anche «oltre Pomigliano».
Ecco, io credo che quando si teorizza che, «se si vogliono i diritti, non si vogliono le fabbriche», bisognerebbe ricordare a queste persone che in realtà noi siamo già in presenza di «fabbriche che non hanno più diritti». E bisognerebbe ricordar loro che il rischio concreto, se passa questo disegno, è che l'art. 1 della nostra Costituzione («l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro») è che noi siamo già di fronte al fatto che la nostra sia una repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche e nel paese.
E allora noi diciamo: siamo un sindacato che vuol fare degli accordi, del resto è quello che facciamo sempre, è quello che facciamo ogni giorno in migliaia di fabbriche. Ma, se si vuole davvero far funzionare meglio le fabbriche, allora si riaprano le trattative e si mettano le lavoratrici e i lavoratori in condizione di poter votare, di poter decidere e di poter contrattare le proprie condizioni.
Voglio rilanciare con forza quelle che sono le ragioni della nostra piattaforma, della nostra manifestazione, che è stata capace di mettere assieme tante persone diverse. Vedete, quando chi studia, chi è precario, chi lavora nel pubblico impiego, chi è metalmeccanico, chi è pensionato... trova di nuovo la possibilità di avere un terreno comune di azione che rimette al centro lavoro, diritti, un'idea di società finalmente diversa, più giusta, dove la giustizia sociale, l'eguaglianza, la solidarietà tornano ad essere elementi che unificano... io credo che questo patrimonio, è responsabilità di ognuno di noi di non farlo disperdere. Perché questa è la condizione per poter cambiare questo paese.
Per rilanciare con forza l'idea che non dobbiamo aver paura delle parole: il nostro obiettivo, sì, è trasformare questa società ingiusta, che cancella la dignità di chi lavora. La vogliamo proprio cambiare, sì, e lo vogliamo fare a partire dalle fabbriche, dal lavoro, ridando una prospettiva ai giovani e dicendo soprattutto che «è possibile».
Vogliamo una società senza corruzione, senza ladrocinii, come quella che abbiamo invece di fronte.
E allora... Se parliamo di diritti lo diciamo con chiarezza: vogliamo estendere i diritti a tutti, vogliamo l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutti.
Diciamolo: in tanti anni ci hanno raccontato che per dare i diritti ai giovani bisognava toglierli a quelli che già ce li hanno. Facciamogli una bella risata in faccia, a chi dice queste cose; diciamogli con molta chiarezza che per noi il problema dell'estensione dei diritti, dello statuto dei lavoratori, degli ammortizzatori sociali fino anche ad arrivare a cose nuove a pensare anche a forme di «reddito di cittadinanza», che affrontano in modo diverso il problema di una prospettiva per i giovani è il terreno su cui noi vogliamo lavorare.
Vedete, tanti parlano, ma se le persone a volte si allontanano un po' dalla politica è perché sono stanchi di parole e bisogna essere coerenti, fare quello che si dice, provare a fare quello che si dice.
E allora io trovo giusto battersi per un fisco più giusto, trovo necessario che i lavoratori dipendenti e i pensionati paghino meno tasse perché sono gli unici che le pagano anche per quelli che evadono. Però ci vuole un po' di coerenza. Non si può venirci a dire che quando il governo ha fatto lo scudo fiscale non se ne è accorto e poi fa finta di manifestare per chedere la «riforma fiscale».
Ci vuole una coerenza. E mi permetto di dire che che questa teoria secondo cui «tutti devono pagare meno tasse», a me non convince tanto. Perchè non è mica vero.
Io penso che bisogna dire con chiarezza che i lavoratori dipendenti e i pensionati devono pagare meno tasse; gli altri ne debbono pagare di più perché hanno evaso il fisco in questi anni. Sono quelli che hanno i servizi pubblici che noi.
E vogliamo estendere i diritti anche ai tanti lavoratori immigrati. Vorrei ricordare che, al di là delle dispute nel centrodestra, noi stiamo ancora pagando la legge Bossi-Fini. Perché fanno finta di discutere tra loro. Ma poi, quando c'è da far pagare, quelli son sempre d'accordo a far pagare noi. Anche questo è un punto: l'estensione dei diritti di cittadinanza.
Diciamo anche: il contratto nazionale. Vedete, si sono incontrati e in dieci righe hanno scritto che non c'è più il contratto nazionale di lavoro. Perché si può derogare. Sapete, quando si dice che si può derogare a un contratto, sia se c'è la crisi sia per fare investimenti, vuol dire che il contratto nazionale non c'è più. E questo determina una competizione selvaggia tra le imprese e tra i lavoratori.
Dobbiamo dire con chiarezza che per noi l'unico contratto davvero è in vigore è quello del 2008, che è stato votato da tutti i lavoratori e che è stato firmato da tutti. Quello è l'unico contratto legittimo e noi lo difenderemo, fabbrica per fabbrica e nel paese, anche arrivando in tribunale, se necessario, per difendere i diritti e il contratto.
Ma penso anche che noi dobbiamo dire di più. Vi facco un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, quando entravo in fabbrica, dal centralinista al progettista, sotto lo stesso tetto, tutti avevano lo stesso contratto e gli stessi diritti. Oggi se tu vai in un luogo di lavoro scopri che non è più così.
Mentre chi comanda è sempre quello, noi siamo frantumati e divisi, Ci sono diversi contratti: le cooperative, l'appalto, il subappalto, il lavoratore precario. Noi abbiamo bisogno, alla luce anche di questa grande manifestazione, di dire con chiarezza che l'obiettivo di un sindacato degno di questo nome è riunificare i diritti in questo paese. E per fare questo, se c'è bisogno di pensare a qualcosa di nuovo, io credo ci sia bisogno non di meno contratti, non di questa storiella secondo cui ognuno si può contrattare nella sua fabbrica o nel suo territorio (se non c'è un contratto nazionale che fissa i diritti per tutti, la contrattazione è una contrattazione a perdere, fabbrica per fabbrica). C'è una novità da dire: bisognerebbe pensare a un contratto dell'industria, a uno dei servizi, un altro del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensare a come si riunificano i lavoratori.
Tanti ci hanno chiesto: «perché nelle parole d'ordine avete parlato di legalità?» Ne abbiamo parlato perché basta vedere quello che è successo all'Aquila; perché, mentre questi raccontano che vogliono fare il ponte sullo stretto di Messina, nel frattempo fanno chiudere tutte le fabbriche che ci sono in Sicilia. Cosa dovrebbe trasportare quel ponte se le fabbriche non ci sono più? Perché, anziché sviluppare le energie alternative, si inventano di fare il nucleare. Perché in questo paese l'unico elemento che ormai c'è dappertutto, l’elemento di unità, è l'estensione dell'illegalità, ormai diventata un sistema.
Noi lo vogliamo combattere con un nuovo modello e dobbiamo anche dire che in nome della legalità, per avere dei soldi da reinvestire, bisogna anche ritirare le truppe dall'Afhganistan. E un fatto di democrazia, è un fatto centrale.
Ci sono altri due elementi.
Noi vogliamo che il lavoro torni ad essere davvero interesse generale di questo paese e vogliamo che le persone possano realizzarsi nel lavoro che fanno.
Ma per fare questo abbiamo bisogno di diritti e anche che sia possibile contrattare in fabbrica la loro condizione.
E infine, vedo due elementi di fondo. La democrazia è attaccata ad ogni livello: quella dell'informazione, dei giornali, della magistratura. Ma anche nelle fabbriche. Vedete... Perché esistono gli «accordi separati»? Semplicemente per un fatto. Perché alle lavoratrici e ai lavoratori è impedito di poter votare e decidere sugli accordi che li riguardano. Per questa ragione, noi diciamo che serve una legge sulla democrazia, che dia questo diritto e sancisca che ogni accordo aziendale, nazionale, interconfederale, per essere valido, deve essere approvato dalla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Non può più essere che, se i sindacati son d'accordo tra loro, allora non c’è problema. Questo deve essere un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, perché questa è la condizione per poter ripristinare l'unità.
Vedete, l'unità sindacale è innanzitutto un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori; la democrazia è la condizione per poterla rilanciare. E noi, da qui, lo proponiamo con forza: questa è la prima cosa da fare, questo è il primo terreno, se si vuole recuperare un elemento unitario.
E infine voglio davvero concludere su questo. Ci pensavo mentre ascoltavo anche i compagni di Pomigliano e di Melfi.
Se oggi possiamo dire che è successa una cosa straordinaria, che c'è una novità in questo paese, che il lavoro è tornato al centro della discussione sociale e politica - lo dico sommessamente - non è semplicemente perché la Fiom ha detto «no» o la Cgil ha detto «no».
No. E' successo qualcosa di più. Perché se non c'erano i lavoratori di Pomigliano che votavano «no» a quell'accordo, se non dicevano che i diritti non si scambiano con l'occupazione, se non c'erano i tre delegati di Melfi che, di fronte alla Fiat che gli dice «vi faccio lavorare, però non ti metto in fabbrica» (e loro gli hanno risposto che non si fanno pagare dalla Fiat, vogliono lavorare)... Se non c'era questo scatto di dignità non c'era questa manifestazione.
Questo è l'elemento di novità che ci dà una speranza, che ci dà la forza, che ci dice che è possibile cambiare. Ma è proprio per questa ragione - e lo dico sommessamente - perché c'è questa piazza, perché c'è questa dignità, che noi abbiamo il dovere di continuare questa battaglia.
E penso che sia assolutamente necessario che nel continuarla si arrivi alla proclamazione dello sciopero generale di tutti i lavoratori nel nostro paese. Perché la democrazia e un nuovo modello di sviluppo non si costruiscono se non c’è la capacità di cambiare. Questo elemento ci dà la forza. Grazie davvero a tutti. Viva la Fiom, viva la Cgil, viva i lavoratori!! Grazie a tutti.