lunedì 30 maggio 2011
mercoledì 1 giugno a catania manifestazione per difendere la scuola pubblica e il diritto al lavoro
DIFENDERE LA SCUOLA PUBBLICA STATALE E IL DIRITTO AL LAVORO
PER USCIRE DALLA CRISI
La distruzione della scuola pubblica statale continua. Non è bastato il taglio di più di 130.000 posti di lavoro. Non è bastato il capillare smantellamento della scuola primaria e di quella secondaria. Non è bastato aumentare il numero di alunni per classe, costringere gli studenti a fare lo stesso lavoro di prima in meno ore, eliminare dalle scuole materie fondamentali, ridurre il sostegno agli alunni svantaggiati, cancellare il tempo pieno, derogare alle regole sulla sicurezza. Con il decreto sullo sviluppo, approvato il 13 maggio scorso e che potrebbe diventare a breve legge, si dà corpo ad un progetto discriminatorio e paralizzante, che peggiorerà ulteriormente le condizioni di chi studia e renderà ancora più difficile per i precari della scuola, e soprattutto per quelli del Sud, l’accesso al lavoro.
La “concessione”, ancora solo annunciata, di poche decine di migliaia di immissioni in ruolo in tre anni, destinate soprattutto alle regioni del Nord, del tutto insufficiente rispetto al numero esorbitante di posti tagliati dal 2008 a oggi e a quello dei precari inseriti nelle graduatorie provinciali (230.000 circa), appare come una debole e irrispettosa risposta alle sentenze che hanno sancito l’illegittimità dei tagli operati dal governo.
Estremamente discriminante risulta, inoltre, la scelta di inserire il vincolo di cinque anni di servizio effettivo per i neo-immessi in ruolo, che non potranno chiedere, quindi, prima che sia trascorso tale periodo né il trasferimento né l’assegnazione provvisoria né l’utilizzazione in altra sede.
E’ evidente che queste misure colpiranno soprattutto i lavoratori del Sud, che hanno già pagato il prezzo più alto in termini di tagli e che sembrano essere esclusi anche da provvedimenti, quali l’assegnazione di contingenti di docenti in deroga (ovvero in aggiunta a quelli previsti dagli organici inviati dal Ministero alle singole regioni), riservati ancora una volta esclusivamente alle regioni del Nord.
A questo ulteriore e vergognoso attacco alla scuola pubblica e a chi vi lavora, ancora una volta, intendiamo reagire, chiedendo:
- l’abrogazione della controriforma Gelmini
- il ritiro dei tagli
- il rispetto delle regole sulla sicurezza e una serie di investimenti sull’edilizia scolastica
- la creazione di organici funzionali che consentano il regolare svolgersi delle lezioni sin dall’inizio dell’anno
- l’abrogazione, prima della conversione in legge, dell’art. 9, comma 21 del DL sullo sviluppo, che vincola a cinque anni di servizio effettivo il trasferimento territoriale dei neo-immessi in ruolo.
- l’assegnazione anche alla Regione Sicilia di un contingente di docenti in deroga.
MERCOLEDÌ 1 GIUGNO 2011, H 18:00
SIT-IN DAVANTI ALLA PREFETTURA
COORDINAMENTO IN DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE - CATANIA
lunedì 23 maggio 2011
mercoledì 18 maggio 2011
martedì 17 maggio 2011
lunedì 16 maggio 2011
lamento per la morte di turiddu carnevale, 16 maggio 1955
turiddu carnevale, bracciante, sindacalista, ucciso a 31 anni dalla mafia per reprimere le lotte contadine contro il latifondo. lo ricordiamo con il "lamentu pi la morti di turiddu carnavali" del poeta ignazio buttitta.
"lu sucialismu cu' la so' parola
pigghia di 'n terra l'omini e l'acchiana,
e scurri comu acqua di cannola
ed unni passa arrifrisca e sana"
domenica 15 maggio 2011
sabato 14 maggio 2011
dalla mobilitazione per i referendum alla trasformazione del nostro futuro!
In questi giorni si sta assistendo al tentativo del governo e di varie consorterie e lobby affaristiche, di far saltare la consultazione sul nucleare e i referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua pubblica.
Non mi voglio soffermare sui tecnicismi da legulei che hanno architettato i nostri, spero che la Corte di Cassazione, accogliendo i suggerimenti di certa giurisprudenza e di alcuni illustri costituzionalisti ( da ultimo Azzariti sul Manifesto ) consenta ai cittadini di votare. Nell’attesa abbiamo il dovere di accogliere l’appello dei comitati promotori e impegnarci, ciascuno come può, nella campagna elettorale referendaria.
Mi preme qui invece denunciare l’oscuramento ideologico che ha investito i temi oggetto dei quesiti referendari, provare ad individuarne i responsabili e infine avanzare un’ipotesi di lettura della fase che squarci il velo di Maya delle false rappresentazioni e dia visibilità ai reali e fortissimi interessi che si coagulano attorno alla vicenda del nucleare in Italia e alla privatizzazione del servizio idrico.
Fateci caso ! Gran parte della stampa progressista ( il gruppo editoriale L’Espresso in primis ) ci ha presentato l’immagine di un presidente del Consiglio spaventato dall’idea che il 13 giugno, sull’onda emotiva della tragedia di Fukushima, si possa raggiungere il quorum sul referendum contro il legittimo impedimento.
Indubbiamente il c.d Lodo Alfano è stato concepito come una sorta di scudo giudiziario per il premier e i suoi ministri, ma la sua portata è stata notevolmente ridimensionata da una recente pronuncia della Corte Costituzionale, tanto ciò vero che da un mesetto circa assistiamo allo spettacolo del lunedì: Berlusconi presenzia alle udienze dei processi che lo riguardano con al seguito una scandalosa claque di prezzolati.
Appare quindi inverosimile la rappresentazione di un presidente del consiglio spaventato dall’abrogazione definitiva delle norme sul legittimo impedimento, ben poco cambierebbe infatti della sua situazione processuale.
La realtà è un’altra : le lobby del nucleare e i grandi gruppi finanziari ed economici interessati alla privatizzazione del servizio idrico sono in fibrillazione. Già da qualche tempo sembrano arrivare fortissimi segnali dalla Confindustria, segnali di sfiducia nei confronti del governo del presidente – imprenditore e sintomo di una clamorosa frattura che si sta determinando nel blocco sociale che lo sostiene.
Stiamo assistendo ad una profonda ristrutturazione degli assetti di potere economico e politico: gli oligopoli finanziari sono avidi di nuove terre di conquista e di nuove occasioni di valorizzazione del capitale e la crisi del berlusconismo apre le porte a nuove ricomposizioni, a nuovi modelli, con un ruolo sempre più pesante di interessi politici territorialmente organizzati - e pesantemente infiltrati dalle mafie - che sono in grado di trovare un punto di sintesi nel centralismo finanziario del ministro Tremonti.
Basti pensare al ruolo rilevante svolto in Italia dalle fondazioni bancarie, all’intreccio di partecipazioni azionarie che li lega ai grandi gruppi bancari e, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, vera e propria batteria di fuoco finanziaria a disposizione del ministro Tremonti, all’Enel, la società che dovrebbe farsi carico in joint venture con la francese Edf dell’affaire nucleare.
Le imminenti consultazioni amministrative rischiano di rafforzare il peso della Lega nelle fondazioni, aumentandone l’influenza nelle politiche creditizie dei principali gruppi bancari italiani.
Il piatto è servito: tramontato Berlusconi, gli interessi forti con la benedizione della Confindustria sapranno trovare il loro nuovo punto di equilibrio, travolgendo la possibilità che un reale cambiamento si produca.
Per questo dobbiamo rifuggire da ogni interpretazione semplicistica, da ogni appello all’ unità frontista contro il satana Berlusconi, se contemporaneamente non risultino chiari gli interessi realmente coinvolti. L’antiberlusconismo è un collante ideologico troppo fragile e persino menzognero.
Non basta essere uniti contro Berlusconi.
Non si difende la Costituzione solo a parole o peggio intonando nelle manifestazioni l’inno nazionale.
Bisogna essere uniti contro ogni ipotesi di ritorno al nucleare. E quando votiamo, pensare anche ai sommergibili nucleari che stazionano nei nostri porti, i cui reattori hanno una potenza multipla di quelli di Fukushima, perché non si può essere contrari al nucleare civile e contemporaneamente accettare che ad Augusta vi sia un reattore potentissimo, costruito negli anni ottanta, le cui condizioni di sicurezza sono segretate dall’amministrazione militare americana.
Bisogna impegnarsi perché il capitale finanziario non scippi a noi tutti l’acqua, bene comune per eccellenza e in quanto tale non mercificabile.
Bisogna in sintesi che la mobilitazione per i referendum assuma il significato più forte di vertenza generale che segni un avanzamento complessivo delle prospettive di alternativa e di trasformazione sociale.
Impegniamoci !!!
Alberto Rotondo
venerdì 13 maggio 2011
scuola, graduatorie e organici, la mobilitazione continua
Dopo lunghi mesi di confusione il governo ha “prodotto” le norme per le graduatorie dei lavoratori precari della scuola. L’incertezza non è certo finita così, considerando che vi è una difficoltà di coordinamento tra gli stessi provvedimenti del governo. Quello che emerge con chiarezza è il tentativo della maggioranza di eludere le numerose sconfitte subite in sede di giudizio (fino alla corte costituzionale) e di confermare una politica discriminatoria e disastrosa per la scuola pubblica. Sono, così introdotte norme che impediscono per cinque anni dopo il ruolo ogni forma di trasferimento territoriale e altre che cercano di impedire che si attuino le norme europee sul passaggio dal precariato al contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo sono ventilate immissioni in ruolo di cui non si ha certezza e comunque in numero risibile rispetto alle necessità. Sono invece sempre più nette le dimensioni di una nuova catastrofe rispetto agli organici per il prossimo anno scolastico: migliaia di esuberi, tutti concentrati nelle regioni meridionali.
Luca Cangemi, comitato politico nazionale PRC
Luca Cangemi, comitato politico nazionale PRC
giovedì 12 maggio 2011
12 maggio 1977, ricordiamo giorgiana masi
Giorgiana Masi ha sempre 19 anni. Il 12 maggio 1977, su ponte Garibaldi, mentre manifestava nell'anniversario della vittoria sul divorzio e contro le misure che limitavano i diritti di manifestare volute dal governo Andreotti, le squadre speciali mandate dal ministro degli Interni Francesco Cossiga spararono e la uccisero. Nessuno ha pagato per il suo assassinio. Giorgiana era una studentessa del liceo Pasteur di Roma, una compagna del movimento e una femminista. Scendeva in piazza per gli stessi valori per cui tuttora lottano migliaia di giovani, di donne, di lavoratori. Il diritto alla scuola pubblica, a un lavoro non precario, a una società non omofoba e non razzista, una società dove ci sia uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale.
mercoledì 11 maggio 2011
venerdì 13 maggio sportello legale
venerdì 13 maggio, dalle 17 alle 19, presso la sede del circolo città futura, via gargano, 37, catania, è attivo lo sportello legale gratuito. info: circolocittafutura@gmail.com
la pacificazione della libia e la pace eterna dei rifugiati, di annamaria rivera
Mentre scrivo, si moltiplicano le voci che danno Gheddafi per fuggito, come sostengono gli insorti, oppure ucciso dai bombardamenti della coalizione. Chissà che la Nato non abbia accolto il grido di dolore del sindaco di Lampedusa: perdio, ha protestato De Rubeis, per farci riavere i turisti uccidete subito il Colonnello come avete fatto con bin Laden! Il sindaco ha un senso profondo della dialettica locale-globale: un qualche afflusso turistico nell’isola val bene l’omicidio del capo di stato di un paese sovrano… In attesa che la Nato pacifichi la Libia con un altro rito sacrificale cruento, se non è stato già consumato, constatiamo che per il momento l’unica pacificazione compiuta dalle truppe Nato è la pace eterna imposta a molti civili innocenti, fra i quali bambini. E’ il paradosso di ogni ingerenza “umanitaria” (ne abbiamo viste non poche finora): uccidere civili allo scopo proclamato di salvare i civili. Il carattere umanitario della missione è perfettamente esemplificato dai bombardamenti reiterati contro le sedi tripoline di organismi per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Siamo ben oltre il proverbiale “sparare sulla Croce Rossa”…
Ma non sono i soli danni collaterali della guerra. Secondo il bilancio reso pubblico pochi giorni fa da Valerie Amos, vice-segretario per gli Affari umanitari dell’Onu, dalla Libia sono fuggite 746.000 persone, 58.000 alloggiano tuttora in campi di fortuna nell’est libico, 50.000 rifugiati sono passati, in un solo mese, per il sud tunisino, 5.000 persone sono ancora bloccate alle frontiere con l’Egitto, la Tunisia e il Niger.
Sono cifre macroscopiche, se si considera che la Libia conta ufficialmente poco più di sei milioni di abitanti. Che mostrano come l’ingerenza “umanitaria” abbia precipitato la tragedia verso la catastrofe. Eppure, di fronte alla guerra civile il compito primario spettante alla cosiddetta comunità internazionale (formula vaga e ingannevole, spesso buona a occultare politiche imperiali) sarebbe stato garantire corridoi umanitari per salvare i civili, soprattutto quei civili doppiamente sventurati che sono gli immigrati e i rifugiati in Libia e fra questi i paria assoluti, cioè i nostri ex colonizzati del Corno d’Africa.
Sono loro che pagano il tributo più alto in vite umane. Grazie alla denuncia di Moses Zerai, il sacerdote eritreo dell’Agenzia Habeshia, grazie anche a un tempestivo articolo del “manifesto”, all’inchiesta del “Guardian”, alle testimonianze dei sopravvissuti, sappiamo del crimine compiuto da una portaerei della Nato. Che sia stata la francese “Charles De Gaulle”, come sostiene il “Guardian”, o l’italiana “Garibaldi”, come precisa la Nato, la portaerei, benché allertata, ha lasciato che una barca, partita da Tripoli il 25 marzo scorso, vagasse alla deriva per sedici giorni fino all’esito più tragico: dei 71 migranti diretti a Lampedusa -donne, bambini, rifugiati politici- 61 sono morti di fame e di sete.
E’ un caso tutt’altro che isolato. Per esempio, non sono affatto chiare le circostanze della strage del 6 aprile scorso, quando annegarono almeno 250 persone, fra le quali donne e bambini, ugualmente provenienti dalla Libia e dirette a Lampedusa. Avrebbero dovuto salvarle due motovedette e un elicottero italiani, avvertiti dalle autorità maltesi. Il mare agitato e la concitazione a bordo, ci hanno raccontato, avrebbero provocato il ribaltamento del barcone e l’ecatombe sotto gli occhi dei soccorritori.
A compensare tutto questo disastro, i media italiani ci hanno offerto la narrazione edificante dei 500 rifugiati che a Lampedusa, all’alba del 5 maggio scorso, sono stati salvati dalla commovente “catena umana alla quale hanno partecipato tutti, forze dell’ordine, volontari e cittadini”. Sulle prime anch’io mi sono commossa nel guardare le immagini di due omoni della Croce Rossa che reggono teneramente fra le braccia due piccini salvati dai marosi. Non vorrei sembrare cinica né deludere Basilio, un commentatore di questo blog che invitava a raccontare non solo l’indifferenza e il razzismo ma anche il buon cuore degli italiani. Di fatto, però, la catena umana ha lasciato in mare tre cadaveri, scoperti più tardi sotto il barcone incagliato fra gli scogli. Al di là della generosità dei cittadini che si sono prodigati per soccorrere i naufraghi, l’operazione di salvataggio si è rivelata approssimativa e scriteriata.
Comunque vada a finire la “pacificazione”, se fossimo davvero di buon cuore, dovremmo insorgere contro questa ecatombe infinita. Per cominciare, potremmo aderire alla campagna di “Cronache di ordinario razzismo”: http://www.cronachediordinariorazzismo.org/la-nostra-campagna/. Per chiedere l’evacuazione immediata dei rifugiati subsahariani dalla Libia, la fine dei respingimenti in mare e il rafforzamento dei sistemi di soccorso; la garanzia del diritto di chiedere asilo; un sistema di accoglienza decentrato, concordato con le regioni e i comuni, in strutture di piccole dimensioni; il rispetto dei diritti umani degli “ospiti”; la fine delle espulsioni e dei rimpatri di massa.
Lo so, è una goccia nel mare dell’indifferenza o del razzismo dilaganti in Europa, ma almeno è una goccia d’impegno civile, di speranza e di utopia.
Annamaria Rivera
da giovedì 12 maggio banchetti informativi sui referendum
Domani, giovedì 12 maggio, alle ore 17,30 in piazza Stesicoro, prende avvio la campagna informativa sui referendum del 12 e 13 giugno promossa dal circolo città futura.
Per un mese, banchetti e dibattiti nelle piazze cittadine, punti informativi al lungomare e presso i mercati del contadino, per spiegare le motivazioni dei 4 sì ai referendum abrogativi dei provvedimenti governativi sul nucleare, sulla privatizzazione dell'acqua e sul legittimo impedimento.
Per informazioni e per ritirare materiale informativo da distribuire e gadget dei comitati referendari, rivolgersi al circolo città futura, via gargano, 37 catania, mail: circolocittafutura@gmail.com.
martedì 10 maggio 2011
si all'acqua pubblica, si alle energie rinnovabili
I referendum dei prossimi 12 e 13 giugno assumono una rilevanza strategica per la situazione politica e culturale del nostro Paese.
Con la vittoria del Sì al referendum contro il nucleare si porranno le basi non solo per fermare il folle rilancio di una produzione energetica obsoleta, dis-economica, dispregiativa dell'ambiente, della vita e del futuro, bensì per ridiscutere l'intera politica energetica basata su un modello «dissipatore, termico, centralizzato e militarizzato» a favore di un nuovo modello «conservativo, rinnovabile, territorializzato e democratico».
Ma sarà soprattutto con la vittoria dei 2 Sì ai referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua che si sanzioneranno per la prima volta dopo due decenni le politiche liberiste attraverso un voto democratico e popolare.
Nello specifico del tema, con i due referendum sull'acqua si sancirà la fuoriuscita dell'acqua dal mercato e la fuoriuscita dei profitti dalla gestione del servizio idrico integrato, aprendo la strada per la definitiva ripubblicizzazione dello stesso e per la sua gestione partecipativa, democratica e socialmente orientata.
Una sorta di rivoluzione politica e culturale, che sancirà, ben oltre lo specifico dei temi oggetto della consultazione, alcune importanti novità: la crisi dell'ideologia privatistica che in questi decenni ha mercificato l'intera vita delle persone, consegnando diritti, beni comuni e servizi pubblici ai grandi capitali finanziari; la restituzione alla sovranità popolare del potere di decidere da parte di tutte e tutti su ciò che da sempre ci appartiene, ponendo le basi per una rifondazione della democrazia reale.
Tale è la densità politica che sottende i referendum del prossimo giugno che governo e poteri forti, sondaggi alla mano, rivelano il sacro terrore del voto popolare e si affannano in tutti i modi -decisamente maldestri - per annullarlo e/o depotenziarlo.
Perché ormai è chiaro a tutti che - in particolare attraverso l'esperienza dei movimenti per l'acqua - con il voto di giugno si possa riaprire in questo Paese una nuova stagione politica, che interroga e pone in discussione un intero modello economico, sociale e di democrazia.
Si tratta di contrapporre ad un'uscita dalla crisi voluta dai poteri forti economici e politici, nazionali ed europei, che persegue la consegna dei diritti del lavoro e dei beni comuni sociali e naturali ai capitali finanziari perché ne possano ricavare business garantiti e liquidità monetaria a carico dei cittadini, un'altra uscita dalla crisi che metta in discussione l'intero modello e che, a partire dalla riappropriazione sociale dei beni comuni, disegni un altro modo di produzione, un altro disegno di società, una nuova conformazione della decisionalità politica democratica.
Se il movimento per l'acqua è stato il primo a costruire un luogo di ricomposizione sociale che, sulla base delle decine di vertenze territoriali, è riuscito a costruire una grande vertenza nazionale fino a irrompere nell'agenda politica del Paese, con la vittoria referendaria diverse e analoghe strade possono riaprirsi per tutte le conflittualità ambientali e sociali tuttora aperte.
Non si tratta solo di costruire solidarietà e riconoscimento fra le diverse esperienze di lotta, quanto di risalire, attraverso la filiera di ciascuna di esse, ai nessi che le accomunano: in questa direzione, l'apertura di un processo "costituente" tra tutti i movimenti per i beni comuni potrebbe rappresentare un primo sostanziale passo da proporre nel prossimo autunno.
Ma l'originalità del movimento per l'acqua va ben oltre ed interroga direttamente le forme della politica e della democrazia in questo Paese: se tale movimento è riuscito in quasi dieci anni a costruire una reticolarità territoriale senza precedenti, a produrre un processo di inclusione che ne ha garantito la continua espansione, a costruire una vertenza nazionale che non ha avuto bisogno di alcuna rappresentanza delegata, né di alcuna leadership carismatica, è forse perché, oltre alla chiarezza degli obiettivi perseguiti, è riuscito a produrre una feconda - ancorchè perfettibile - esperienza di partecipazione democratica reale, dentro la quale il ruolo tradizionale e novecentesco della relazione tra associazioni-comitati-sindacati- forze politiche è stato ribaltato, consentendo l'apertura di luoghi plurali dentro i quali il metodo del consenso e la partecipazione diretta delle persone sono stati considerato elementi costituenti di una nuova soggettività sociale e politica.
Niente potrà essere più come prima anche da questo punto di vista: perché la vittoria referendaria porrà le basi per l'approfondimento della crisi della democrazia formale, basata su una falsa rappresentanza democratica e in realtà sottoposta all'asservimento agli interessi particolaristici di clan politico-economici spesso trasversali, e l'apertura di fronti plurali di rivendicazione di una nuova democrazia diretta a tutti i livelli, territoriale e nazionale.
In questo senso, i referendum di giugno sono la prima decisiva tappa di un processo ancora tutto da costruire, per dare intensità alla ribellione sociale contro un modello insostenibile, per dare un presente condiviso contro la solitudine competitiva, per disegnare un futuro comune contro l'a-temporalità dispregiativa degli indici di Borsa.
Marco Bersani (Attac Italia - Forum italiano dei movimenti per l'acqua)
da Liberazione del 08/05/2011
lunedì 9 maggio 2011
con le idee ed il coraggio di peppino impastato
Fiore di campo nasce
dal grembo della terra nera,
fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada,
fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra
gli umori segreti.
Passeggio per i campi
con il cuore sospeso
nel sole.
Il pensiero,
avvolto a spirale,
ricerca il cuore
della nebbia.
Peppino Impastato
domenica 8 maggio 2011
sabato 21 maggio dibattito sui referendum e cena sociale
"SI, un altro futuro è possibile. fermiamo il nucleare, difendiamo l'acqua pubblica e la democrazia"
ore 18,30 dibattito all'aperto in piazza Respighi (viale Libertà, accanto circolo città futura)
intervengono: Anna Di Salvo (Città felice), Giusi Milazzo (segreteria CGIL), Giuseppe Strazzulla (Libera), Massimo Mingrino (sezione Concetto Marchesi PdCI/FdS), Comitato referendario acqua bene comune...
coordina: Alberto Rotondo (circolo città futura PRC/FdS)
dalle ore 20,30, nella sede del circolo città futura (via Gargano, 37)
CENA SOCIALE
cucina tipica e buon vino a prezzi popolari
sabato 7 maggio 2011
mineo: incontri ravvicinati in terra di confine
di Anna Di Salvo
città felice - catania
Ho incontrato due volte uomini e donne di paesi arabi e del nord Africa ai cancelli antistanti il “Villaggio degli Aranci” di Mineo perché volevo addentrarmi nella maniera più diretta nella questione degli sbarchi massicci avvenuti in Sicilia. Volevo vedere e conoscere dal vivo una parte di quei corpi migranti che hanno superato le insidie del canale di Sicilia e che dopo il clamore del loro esodo biblico nell’isola di Lampedusa, sono stati trasferiti con malcontento loro e degli abitanti di Mineo al Villaggio degli Aranci, costruito originariamente da affaristi privati per dare accoglienza a militari americani di stanza nella vicina base militare di Sigonella. Mi sono recata lì insieme ad amiche e amici dei gruppi pacifisti di Catania con i quali lavoriamo politicamente ogni volta che se ne presenta l’occasione, per riflettere su precise questioni o dar vita a iniziative, portando con noi cibi e bevande, abiti confortevoli, musica e soprattutto molta emozione, aspettative e curiosità. Giunta all’appuntamento, la mia prima impressione è stata quella di avere davanti uomini (le donne sono sopraggiunte solo alla fine dell’incontro) di popoli mai incontrati che riuscivo a vedere con occhi nuovi per la prima volta. Svanite le immagini di masse umane senza volto sbarcate da traballanti carrette del mare incamerate dalle angoscianti trasmissioni televisive, svanite le scene dei conflitti coi lavavetri ai semafori cittadini, ero davanti a una giostra di volti giudicanti, gentili, preoccupati e carichi di speranza. Gli sguardi man mano cominciarono a incrociarsi, a rimandarsi il senso di ataviche risonanze che opacizzavano le classiche e scontate profferte d’aiuto e solidarietà. In fondo agli occhi di tutti, siciliani, arabi e indiani, ha navigato per il lungo guizzo di un attimo la pena condivisa dei popoli negati e l’empatia delle donne rivolta alle amiche ardite provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo. E oltre alle lingue, ai gesti, ai sorrisi, ai cibi, alle musiche, alle danze e ai bei costumi degli afghani, mi è balzata subito agli occhi la bellezza di tutta quella umanità desiderosa di contare sulla scena del mondo e la vitalità delle loro giovani e interessanti esistenze che mezzo mondo s’industria a ignorare.
Ora gli abitanti di Mineo hanno cambiato atteggiamento nei confronti delle donne e soprattutto degli uomini semi-reclusi al villaggio degli Aranci che hanno imparato a conoscere grazie alla buona volontà dei migranti che affrontano 3 chilometri in salita verso il paese per andare a conoscerli; parecchi, sollecitati da un centro sociale, vogliono trascorrere con loro la festa del 25 Aprile per incoraggiare qualcuno a rimanere a lavorare a Mineo, terra di aranceti e di grandi pensatori. Anch’io ho ridimensionato in parte, dopo aver conosciuto da vicino i migranti al villaggio degli Aranci, aver visto le loro facce pulite e aver dato loro fiducia, il senso di tremenda paura e di preoccupazione provata per le donne di Lampedusa quando arrivavano le notizie della permanenza di migliaia di uomini (con picchi anche di seimila, soltanto uomini) sull’isola, che mi ha portata, parlandone con le donne e con gli uomini di “Città Felice”, e scatenando non poche contraddizioni, a pensare di suggerire alle lampedusane di fuggirsene via immediatamente dall’isola. A farmi cambiare posizione ci ha pensato anche però, la grandezza dimostrata da donne e da uomini di Lampedusa che hanno saputo tener testa all’emergenza che si era abbattuta su di loro e che per dirla con le parole di Ignazio Marino pronunciate durante la trasmissione “Agorà” del 29 marzo su Rai 3, «hanno messo in moto e dato vita all’umanità che è del Mediterraneo e che manca a questo governo». Ma non soltanto al governo, aggiungerei io...
Sollecitate/i da tutta questa miriade di eventi a dir poco emozionanti e coinvolgenti che interrogano nel profondo ciascuna/o, parlandone con donne e uomini delle Città Vicine, abbiamo deciso di organizzare proprio a Lampedusa la nostra Vacanza Politica della fine di agosto per sentirci presenti in quella terra di confine. Stando vicine agli abitanti coraggiosi dell’isola e vicine anche a chi depone ogni aspettativa in quei viaggi della speranza rischiando la vita in mezzo al mare.
Ma anche e soprattutto perché Lampedusa è una bellissima isola e speriamo divenga un fiore all’occhiello per le Città Vicine!
il 12 e 13 giugno, 4 Sì ai referendum
SÌ, un altro futuro è possibile
fermiamo il nucleare, difendiamo l’acqua pubblica e la democrazia
Il 12 e 13 giugno 2011 si terranno i Referendum per cancellare le leggi sull'energia nucleare, la privatizzazione dell'acqua e il "legittimo impedimento" che mette i ministri al riparo dalla giustizia.
Nucleare. Il governo Berlusconi vuole riportare l'energia nucleare in Italia, ma il nucleare è un cattivo affare per il paese, costa troppo e nuoce all’ambiente e alla salute, come hanno dimostrato la tragedia di Chernobyl e la recentissima catastrofe di Fukushima, in Giappone. Sarebbe un buon affare solo per i gruppi di potere finanziario che si spartirebbero la costruzione di centrali già antiquate che, nei piani del governo, entrerebbero in funzione tra quindici anni! L'efficienza energetica e le energie rinnovabili come il solare sono l’unica via da per uno sviluppo sano e sostenibile, per questo votiamo Sì.
Acqua pubblica (2 schede). Il governo impone il passaggio ad imprese private del controllo e della gestione dell'acqua, considerandola una merce. La privatizzazione non porta ad un miglioramento dell'efficienza, ma alla perdita del controllo da parte delle comunità locali su una risorsa essenziale, all'aumento dei profitti e del potere delle multinazionali dell’acqua, al moltiplicarsi dei costi pagati dai cittadini. L'acqua pubblica è un servizio essenziale, un diritto dei cittadini, un bene comune, per questo votiamo Sì.
Legittimo impedimento. Il governo ha introdotto il cosiddetto “legittimo impedimento”, che permette al Presidente del Consiglio e ai Ministri di non comparire in udienza penale per la durata della loro carica. È un segno dell’arbitrio del potere politico e della “impunibilità” dei potenti. La legge deve essere uguale per tutti, è una questione di democrazia, per questo votiamo Sì.
Difendiamo il diritto alla salute, all’ambiente, all’acqua pubblica e alla legalità
il 12 e 13 giugno, votiamo 4 Sì ai REFERENDUM
venerdì 6 maggio 2011
sabato 14 maggio manifestazione no ponte a messina
"APPELLO CORTEO NAZIONALE NO PONTE DEL 14 MAGGIO A MESSINA"
SABATO 14 MAGGIO, ORE 16, PIAZZA CAIROLI, MESSINA
L’iter della costruzione del Ponte sullo Stretto ha già dilapidato svariate centinaia di milioni di euro; 110 di questi solo nell’ultimo anno per la redazione del progetto definitivo e i sondaggi geognostici che hanno riempito le città di Messina e Villa San Giovanni di trivelle. Da questa enorme quantità di denaro già spesa gli abitanti dei luoghi interessati dalla grande infrastruttura non hanno ricavato alcun vantaggio. Vantaggio hanno invece ricavato gli studi di progettazione, il General Contractor Eurolink e personaggi come l’Amministratore Delegato della Stretto di Messina S.p.a. Pietro Ciucci che ha ricoperto più di un incarico di commissario. Tra i costi va annoverata anche la cessione di immobili ad Eurolink, senza contropartita significativa, da parte dell’Università di Messina. L’incubatore d’impresa, originariamente destinato a favorire la nascita di attività imprenditoriali di giovani neolaureati, è diventato di fatto centro direzionale per i lavori del Ponte.
Le incognite sull’attuale progetto del Ponte sullo Stretto di Messina sono state ampiamente sottolineate da Remo Calzona, fino a poco tempo fa uno tra i principali progettisti e componente della Commissione A.N.A.S. per il parere sulla grande infrastruttura. In particolare i fenomeni del cosiddetto “galloping” e del “flutter” renderebbero il Ponte a campata unica di 3000 metri fragile e inservibile. Inoltre il Ponte si solleverà troppo poco dal mare, rendendo impossibile la navigazione alle più alte navi da crociera.
Il Ponte sullo Stretto è evidentemente opera con pesante impatto sul territorio, come le dimensioni previste (oltre 380 metri le torri, oltre 3 Km il manufatto d’attraversamento) spiegano già da sole. La forte compromissione degli aspetti paesaggistici si somma all’opera di devastazione che i cantieri causerebbero in un’area (la riserva protetta di Capo Peloro) già molto fragile e già colpita da un eccesso di cementificazione. Stesso discorso può essere fatto per la Costa Viola sulla sponda calabrese. I reticoli stradali e ferroviari d’accesso, inoltre, uniti alle discariche previste sulle colline aggraverebbero ancora di più i rischi di dissesto idrogeologico già manifestatisi tragicamente il primo ottobre 2009 ed evidenziatisi con terribile forza il primo marzo di quest’anno.
Ma il Ponte sullo Stretto prima ancora che opera devastante (che si vorrebbe mitigare con risibili iniziative di compensazione) è opera inutile. Soprattutto se confrontata con gli investimenti necessari per la costruzione. Quello che ormai viene definito "il Mostro sullo Stretto” collegherebbe, infatti, due regioni a bassa infrastrutturazione. Da questo punto di vista lo Stretto di Messina non causa un rallentamento significativo nei trasporti. Trasporti, peraltro, che da anni tendono a privilegiare i vettori aereo e navale. E’ proprio questa contrazione dei transiti nello Stretto di Messina, inoltre, che ha reso inservibili le previsioni di rientro economico fatte ai tempi del progetto preliminare ed ha, quindi, reso vana ogni aspettativa di interessamento del capitale privato (che non sia mera speculazione) per un’operazione economica che sarebbe evidentemente in perdita.
Le risorse già spese e quelle previste (oltre 6 miliardi di euro) sono, quindi, prevedibilmente, per intero risorse pubbliche. Un tale investimento avrebbe, per ammissione degli stessi soggetti promotori, un ritorno, in termini occupazionali pari a circa 4500 unità lavorative, un rapporto investimento/occupazione totalmente squilibrato se si pensa che con 250 milioni di euro investiti nella riqualificazione urbana si darebbe lavoro ad oltre 3000 operai, senza parlare di tutte le emergenze della provincia. Un così basso ritorno in termini di occupazione è tipico delle grandi opere come il Ponte sullo Stretto. Inoltre, la carenza sul nostro territorio delle professionalità previste renderebbe molto bassa la creazione di posti di lavoro per manodopera locale (un esempio, per la piazza messinese, è stato rappresentato dai cantieri per i sondaggi geognostici che hanno impegnato 5 messinesi su 125 addetti). A tutto ciò va aggiunto che la prospettiva del Ponte sta già oggi determinando la perdita di oltre mille posti di lavoro nella navigazione. Si vede bene, quindi, come l’area dello Stretto non tragga alcun vantaggio dalla costruzione del Ponte.
Al Ponte guardano, inoltre, le cosche mafiose siciliane e calabresi che puntano ad intercettare gli investimenti che si riverserebbero nell’area dello Stretto. L’inchiesta “Brooklyn” sul tentativo d’infiltrazione della mafia italo-canadese ha, d’altronde, evidenziato l’interesse di alcuni settori criminali ad entrare nell’affare come soci finanziatori, accreditandosi in tal modo come soggetto di riferimento.
Il Movimento contro il Ponte, che in questi anni ha ripetutamente manifestato portando in piazza decine di migliaia di persone, contrappone a tale prospettiva devastante la proposta di utilizzare le risorse destinate alla grande infrastruttura per la messa in sicurezza sismica e idrogeologica del territorio, il potenziamento dei trasporti pubblici nello Stretto, un piano di riqualificazione urbana a partire dall’edilizia scolastica (tutte opere con saldo occupazionale nettamente superiore a quanto previsto per le grandi opere). Il Movimento chiede, inoltre, che venga soppressa la Stretto di Messina S.p.a. e che le opere vengano programmate attraverso meccanismi di partecipazione democratica (impossibili laddove vigono Legge obiettivo e General Contractor, espressioni di una politica di verticalizzazione delle scelte).
RETE NO PONTE - COMUNITA' DELLO STRETTO
SABATO 14 MAGGIO, ORE 16, PIAZZA CAIROLI, MESSINA
L’iter della costruzione del Ponte sullo Stretto ha già dilapidato svariate centinaia di milioni di euro; 110 di questi solo nell’ultimo anno per la redazione del progetto definitivo e i sondaggi geognostici che hanno riempito le città di Messina e Villa San Giovanni di trivelle. Da questa enorme quantità di denaro già spesa gli abitanti dei luoghi interessati dalla grande infrastruttura non hanno ricavato alcun vantaggio. Vantaggio hanno invece ricavato gli studi di progettazione, il General Contractor Eurolink e personaggi come l’Amministratore Delegato della Stretto di Messina S.p.a. Pietro Ciucci che ha ricoperto più di un incarico di commissario. Tra i costi va annoverata anche la cessione di immobili ad Eurolink, senza contropartita significativa, da parte dell’Università di Messina. L’incubatore d’impresa, originariamente destinato a favorire la nascita di attività imprenditoriali di giovani neolaureati, è diventato di fatto centro direzionale per i lavori del Ponte.
Le incognite sull’attuale progetto del Ponte sullo Stretto di Messina sono state ampiamente sottolineate da Remo Calzona, fino a poco tempo fa uno tra i principali progettisti e componente della Commissione A.N.A.S. per il parere sulla grande infrastruttura. In particolare i fenomeni del cosiddetto “galloping” e del “flutter” renderebbero il Ponte a campata unica di 3000 metri fragile e inservibile. Inoltre il Ponte si solleverà troppo poco dal mare, rendendo impossibile la navigazione alle più alte navi da crociera.
Il Ponte sullo Stretto è evidentemente opera con pesante impatto sul territorio, come le dimensioni previste (oltre 380 metri le torri, oltre 3 Km il manufatto d’attraversamento) spiegano già da sole. La forte compromissione degli aspetti paesaggistici si somma all’opera di devastazione che i cantieri causerebbero in un’area (la riserva protetta di Capo Peloro) già molto fragile e già colpita da un eccesso di cementificazione. Stesso discorso può essere fatto per la Costa Viola sulla sponda calabrese. I reticoli stradali e ferroviari d’accesso, inoltre, uniti alle discariche previste sulle colline aggraverebbero ancora di più i rischi di dissesto idrogeologico già manifestatisi tragicamente il primo ottobre 2009 ed evidenziatisi con terribile forza il primo marzo di quest’anno.
Ma il Ponte sullo Stretto prima ancora che opera devastante (che si vorrebbe mitigare con risibili iniziative di compensazione) è opera inutile. Soprattutto se confrontata con gli investimenti necessari per la costruzione. Quello che ormai viene definito "il Mostro sullo Stretto” collegherebbe, infatti, due regioni a bassa infrastrutturazione. Da questo punto di vista lo Stretto di Messina non causa un rallentamento significativo nei trasporti. Trasporti, peraltro, che da anni tendono a privilegiare i vettori aereo e navale. E’ proprio questa contrazione dei transiti nello Stretto di Messina, inoltre, che ha reso inservibili le previsioni di rientro economico fatte ai tempi del progetto preliminare ed ha, quindi, reso vana ogni aspettativa di interessamento del capitale privato (che non sia mera speculazione) per un’operazione economica che sarebbe evidentemente in perdita.
Le risorse già spese e quelle previste (oltre 6 miliardi di euro) sono, quindi, prevedibilmente, per intero risorse pubbliche. Un tale investimento avrebbe, per ammissione degli stessi soggetti promotori, un ritorno, in termini occupazionali pari a circa 4500 unità lavorative, un rapporto investimento/occupazione totalmente squilibrato se si pensa che con 250 milioni di euro investiti nella riqualificazione urbana si darebbe lavoro ad oltre 3000 operai, senza parlare di tutte le emergenze della provincia. Un così basso ritorno in termini di occupazione è tipico delle grandi opere come il Ponte sullo Stretto. Inoltre, la carenza sul nostro territorio delle professionalità previste renderebbe molto bassa la creazione di posti di lavoro per manodopera locale (un esempio, per la piazza messinese, è stato rappresentato dai cantieri per i sondaggi geognostici che hanno impegnato 5 messinesi su 125 addetti). A tutto ciò va aggiunto che la prospettiva del Ponte sta già oggi determinando la perdita di oltre mille posti di lavoro nella navigazione. Si vede bene, quindi, come l’area dello Stretto non tragga alcun vantaggio dalla costruzione del Ponte.
Al Ponte guardano, inoltre, le cosche mafiose siciliane e calabresi che puntano ad intercettare gli investimenti che si riverserebbero nell’area dello Stretto. L’inchiesta “Brooklyn” sul tentativo d’infiltrazione della mafia italo-canadese ha, d’altronde, evidenziato l’interesse di alcuni settori criminali ad entrare nell’affare come soci finanziatori, accreditandosi in tal modo come soggetto di riferimento.
Il Movimento contro il Ponte, che in questi anni ha ripetutamente manifestato portando in piazza decine di migliaia di persone, contrappone a tale prospettiva devastante la proposta di utilizzare le risorse destinate alla grande infrastruttura per la messa in sicurezza sismica e idrogeologica del territorio, il potenziamento dei trasporti pubblici nello Stretto, un piano di riqualificazione urbana a partire dall’edilizia scolastica (tutte opere con saldo occupazionale nettamente superiore a quanto previsto per le grandi opere). Il Movimento chiede, inoltre, che venga soppressa la Stretto di Messina S.p.a. e che le opere vengano programmate attraverso meccanismi di partecipazione democratica (impossibili laddove vigono Legge obiettivo e General Contractor, espressioni di una politica di verticalizzazione delle scelte).
RETE NO PONTE - COMUNITA' DELLO STRETTO
mercoledì 4 maggio 2011
venerdì 6 maggio: sciopero, contro la guerra e la precarietà
venerdì 6 maggio, ore 9 piazza dante, catania
SCIOPERO GENERALE
OPERAI/E, PRECARIE/I, STUDENTI E MIGRANTI INSIEME.
Contro tutti i razzismi e tutte le guerre, per la pace e l'autodeterminazione dei popoli.
Contro la mafia e la precarietà, per la dignità del lavoro.
Contro il nucleare, per la difesa dell'acqua pubblica e della democrazia.
Contro lo smantellamento della scuola e dell'università pubblica.
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lunedì 2 maggio 2011
domenica 1 maggio 2011
inchiesta sulla precarietà del lavoro delle donne nella grande distribuzione
Nella società della globalizzazione capitalista, che dedica sempre più tempo all’ossessione di un consumo onnivoro e compulsivo, come dimostra la vergognosa imposizione dell'apertura di ipermercati e centri commerciali persino oggi, primo maggio, giornata di festa delle lavoratrici e dei lavoratori, la grande distribuzione e le catene multinazionali o in franchising costituiscono, in particolare in una realtà drammaticamente segnata dalla disoccupazione come quella catanese, uno dei settori in cui si riversano più attese occupazionali, soprattutto delle donne. In un perenne stato di incertezza, si intrecciano la figura “tradizionale” della commessa tanto cara al patriarcato e le nuove forme globali della precarietà.
Di fronte ad un’ulteriore precarizzazione delle vite, diventa sempre più necessario cercare di comprendere le modificazioni della subordinazione femminile nel mondo del lavoro e di incontrare le tante in/subordinazioni che spesso restano isolate; con questi obiettivi il circolo città futura ha avviato la seconda parte dell’inchiesta sulla precarietà nel settore del commercio, strutturata attraverso autonarrazioni dell’esperienza, questionari ed incontri informali. A seguire un estratto del questionario, disponibile integralmente presso il circolo città futura.
Di fronte ad un’ulteriore precarizzazione delle vite, diventa sempre più necessario cercare di comprendere le modificazioni della subordinazione femminile nel mondo del lavoro e di incontrare le tante in/subordinazioni che spesso restano isolate; con questi obiettivi il circolo città futura ha avviato la seconda parte dell’inchiesta sulla precarietà nel settore del commercio, strutturata attraverso autonarrazioni dell’esperienza, questionari ed incontri informali. A seguire un estratto del questionario, disponibile integralmente presso il circolo città futura.
portella della ginestra, per non dimenticare mai
1 MAGGIO 1947
QUI CELEBRANDO LA FESTA DEL LAVORO E LA VITTORIA DEL 20 APRILE
SU UOMINI, DONNE, BAMBINI DI PIANA, S. CIPIRRELLO, S. GIUSEPPE
SI ABBATTE IL PIOMBO DELLA MAFIA E DEGLI AGRARI
PER STRONCARE LA LOTTA DEI CONTADINI CONTRO IL FEUDO
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