martedì 10 maggio 2011

si all'acqua pubblica, si alle energie rinnovabili


































I referendum dei prossimi 12 e 13 giugno assumono una rilevanza strategica per la situazione politica e culturale del nostro Paese.
Con la vittoria del Sì al referendum contro il nucleare si porranno le basi non solo per fermare il folle rilancio di una produzione energetica obsoleta, dis-economica, dispregiativa dell'ambiente, della vita e del futuro, bensì per ridiscutere l'intera politica energetica basata su un modello «dissipatore, termico, centralizzato e militarizzato» a favore di un nuovo modello «conservativo, rinnovabile, territorializzato e democratico».
Ma sarà soprattutto con la vittoria dei 2 Sì ai referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua che si sanzioneranno per la prima volta dopo due decenni le politiche liberiste attraverso un voto democratico e popolare.
Nello specifico del tema, con i due referendum sull'acqua si sancirà la fuoriuscita dell'acqua dal mercato e la fuoriuscita dei profitti dalla gestione del servizio idrico integrato, aprendo la strada per la definitiva ripubblicizzazione dello stesso e per la sua gestione partecipativa, democratica e socialmente orientata.
Una sorta di rivoluzione politica e culturale, che sancirà, ben oltre lo specifico dei temi oggetto della consultazione, alcune importanti novità: la crisi dell'ideologia privatistica che in questi decenni ha mercificato l'intera vita delle persone, consegnando diritti, beni comuni e servizi pubblici ai grandi capitali finanziari; la restituzione alla sovranità popolare del potere di decidere da parte di tutte e tutti su ciò che da sempre ci appartiene, ponendo le basi per una rifondazione della democrazia reale.
Tale è la densità politica che sottende i referendum del prossimo giugno che governo e poteri forti, sondaggi alla mano, rivelano il sacro terrore del voto popolare e si affannano in tutti i modi -decisamente maldestri - per annullarlo e/o depotenziarlo.
Perché ormai è chiaro a tutti che - in particolare attraverso l'esperienza dei movimenti per l'acqua - con il voto di giugno si possa riaprire in questo Paese una nuova stagione politica, che interroga e pone in discussione un intero modello economico, sociale e di democrazia.
Si tratta di contrapporre ad un'uscita dalla crisi voluta dai poteri forti economici e politici, nazionali ed europei, che persegue la consegna dei diritti del lavoro e dei beni comuni sociali e naturali ai capitali finanziari perché ne possano ricavare business garantiti e liquidità monetaria a carico dei cittadini, un'altra uscita dalla crisi che metta in discussione l'intero modello e che, a partire dalla riappropriazione sociale dei beni comuni, disegni un altro modo di produzione, un altro disegno di società, una nuova conformazione della decisionalità politica democratica.
Se il movimento per l'acqua è stato il primo a costruire un luogo di ricomposizione sociale che, sulla base delle decine di vertenze territoriali, è riuscito a costruire una grande vertenza nazionale fino a irrompere nell'agenda politica del Paese, con la vittoria referendaria diverse e analoghe strade possono riaprirsi per tutte le conflittualità ambientali e sociali tuttora aperte.
Non si tratta solo di costruire solidarietà e riconoscimento fra le diverse esperienze di lotta, quanto di risalire, attraverso la filiera di ciascuna di esse, ai nessi che le accomunano: in questa direzione, l'apertura di un processo "costituente" tra tutti i movimenti per i beni comuni potrebbe rappresentare un primo sostanziale passo da proporre nel prossimo autunno.
Ma l'originalità del movimento per l'acqua va ben oltre ed interroga direttamente le forme della politica e della democrazia in questo Paese: se tale movimento è riuscito in quasi dieci anni a costruire una reticolarità territoriale senza precedenti, a produrre un processo di inclusione che ne ha garantito la continua espansione, a costruire una vertenza nazionale che non ha avuto bisogno di alcuna rappresentanza delegata, né di alcuna leadership carismatica, è forse perché, oltre alla chiarezza degli obiettivi perseguiti, è riuscito a produrre una feconda - ancorchè perfettibile - esperienza di partecipazione democratica reale, dentro la quale il ruolo tradizionale e novecentesco della relazione tra associazioni-comitati-sindacati- forze politiche è stato ribaltato, consentendo l'apertura di luoghi plurali dentro i quali il metodo del consenso e la partecipazione diretta delle persone sono stati considerato elementi costituenti di una nuova soggettività sociale e politica.
Niente potrà essere più come prima anche da questo punto di vista: perché la vittoria referendaria porrà le basi per l'approfondimento della crisi della democrazia formale, basata su una falsa rappresentanza democratica e in realtà sottoposta all'asservimento agli interessi particolaristici di clan politico-economici spesso trasversali, e l'apertura di fronti plurali di rivendicazione di una nuova democrazia diretta a tutti i livelli, territoriale e nazionale.
In questo senso, i referendum di giugno sono la prima decisiva tappa di un processo ancora tutto da costruire, per dare intensità alla ribellione sociale contro un modello insostenibile, per dare un presente condiviso contro la solitudine competitiva, per disegnare un futuro comune contro l'a-temporalità dispregiativa degli indici di Borsa.

Marco Bersani (Attac Italia - Forum italiano dei movimenti per l'acqua)
da Liberazione del 08/05/2011