domenica 11 settembre 2011

contro la crisi, respingere il "mito" del debito















di Alberto Rotondo

Di fronte all’accelerarsi della crisi del debito sovrano in Italia e alla corrente rappresentazione che ne danno i media, è essenziale un’operazione di verità.
Come ha fatto ben notare Andrea Fumagalli, in un suo recente intervento sul Manifesto, la finanziarizzazione dell’economia, oltre a modificare strutturalmente il campo e gli strumenti di valorizzazione del capitale, ha dato origine ad una nuova “accumulazione originaria” segnata dall’intensificarsi dei processi di concentrazione.
Basterebbero solo alcuni dati per rappresentare i mutamenti strutturali del capitale finanziario: a partire dal primo trimestre 2011 cinque SIM e cinque banche controllano il 90% del mercato dei derivati, determinandone di fatto prezzi e volumi; ovvero, se si vuole attenersi al caso italiano, basterebbe notare come l’80% dell’immenso stock di debito pubblico italiano (1900 miliardi di euro circa) sia in mano ai cosiddetti investitori istituzionali (banche e fondi di investimento).
In queste condizioni non è difficile contestare la favola che ci è stata raccontata negli ultimi trent’anni, e che, grazie all’opera divulgatrice dei tanti corifei della globalizzazione neoliberista che pontificano dal pulpito dei media vecchi e nuovi, si offre al nostro giudizio con la forza perversa dei ragionamenti auto-evidenti.
Secondo questa favola i mercati sono frutto del comportamento razionale degli operatori economici, che si muovono in un contesto di simmetria informativa. A determinare le decisioni degli investitori sarebbe, secondo questa ipotesi, una valutazione razionale dei rischi connessi alle previsioni di rientro dei capitali investiti e alla loro valorizzazione.
Nulla di più falso.
Quando pochi operatori condizionano un mercato vastissimo come quello dei derivati, sono in grado di determinarne la direzione, tenendo sotto scacco i governi e affamandone i popoli.
Sono gli animal spirits del mercato a fondamento del biopotere finanziario a determinare la crisi del nostro debito pubblico: il nostro debito pubblico non ha compratori sul mercato perché una serie di grossi investitori istituzionali hanno deciso contemporaneamente di chiudere le loro posizioni, vendendo titoli e alleggerendosi del cosiddetto rischio Italia.
Le novità degli ultimi giorni contribuiscono a rendere il quadro ancor più chiaro. Le dimissioni del rappresentante tedesco nel board della BCE e l’atteggiamento ostile del Governo di Berlino alla decisione della Banca Centrale di acquistare i titoli del debito italiano e spagnolo, segnano un momento di drammatica frattura nei tenui vincoli di solidarietà europea. In questi ultimi mesi mentre l’Italia ha visto aumentare il tasso di rendimento dei propri titoli del debito pubblico, la Germania e gli USA hanno al contrario rafforzato la loro posizione sul mercato. E se l’Italia deve pagare quasi il 6% per un BTP a 10 anni, la Germania e gli Stati Uniti pagano rendimenti inferiori al 2%. E’ in atto una fuga di capitali, si vende Italia e si compra Germania e USA.
E’ il fenomeno di nazionalizzazione del debito pubblico che è stato descritto nell’analisi dei flussi di molti analisti: gli investitori istituzionali americani e la stessa Federal Reserve comprano titoli di stato americani e la Deutsche Bank ,che ha dichiarato di aver venduto circa 7 mld di BTP italiani, compra Bund tedeschi.
Così Obama può permettersi di finanziare a basso prezzo il suo piano per l’occupazione da oltre 400 mld di dollari e la Merkel, in evidente crisi di consenso, può assecondare le distruttive posizioni nazionaliste di gran parte del suo elettorato di riferimento.
E’ quindi evidente chi si nasconde dietro il paravento della razionalità dei mercati: un’inedita alleanza fra la rapacità di pochi giganteschi colossi finanziari e gli interessi politico-elettorali di due dei governi occidentali più importanti.
E allora che fare ? Lo sciopero generale del 6 settembre è il punto da cui partire: la resistenza contro la balcanizzazione dei rapporti di lavoro e le garanzie poste dalla legge e dalla contrattazione nazionale alla dignità dei lavoratori è stata la piattaforma comune dei lavoratori in lotta.
Il 15 Ottobre milioni di persone in tutta Europa scenderanno in piazza per opporsi alla dittatura dei mercati e dei loro Soloni governativi: dobbiamo provare a costruire una mobilitazione permanente che proponga i temi rivoluzionari della cancellazione del debito e dell’alternativa sociale europea all’attenzione dell’opinione pubblica.
La straordinaria vittoria dei referendum sull’acqua bene comune, rovesciando il paradigma delle privatizzazioni, ha dimostrato che la globalizzazione dei capitali e le ideologie che la sostengono non sono più egemoni in una società profondamente segnata da una crisi “peggiore di quella del ‘29” (Eugenio Scalfari su La Repubblica di oggi) impoverita e imbarbarita dalle politiche classiste dei governi occidentali.
Proviamo a rovesciare, al grido Noi il debito non lo paghiamo, un altro mito fondante della globalizzazione!