di Bruno Steri
Abbiamo letto il programma proposto dal Front de Gauche agli elettori francesi, sintonizzandoci mentalmente sull’auspicabile prospettiva di un programma unitario della sinistra italiana che aspiri ad una dimensione europea e che sia all’altezza di questi tempi difficili. Non perdiamo infatti il vizio di anteporre, logicamente e politicamente, i contenuti alle ipotesi di alleanza, col presupposto (purtroppo nient’affatto scontato nei fatti) che le seconde siano conseguenti ai primi.
Va precisato che un programma (anche un
programma elettorale) non può essere inteso come una mera sequela di
tesi e dichiarazioni d’intenti ma configura un’architettonica, un
sistema di proposizioni entro cui il particolare scaturisce da visioni
generali e le proposte di breve periodo si trovano ad essere incastonate
in progettualità di più ampio respiro. Ciò è richiesto a maggior
ragione in una fase storico-politica che tende a mettere in questione
assetti (nazionali e sovranazionali) e istituti della convivenza civile –
si pensi al carattere strutturale della crisi o alle incerte sorti
della stessa Unione Europea – e a ridurre la polpa della dialettica
politica contingente all’osso dei fondamentali. Insomma abbiamo voluto
gettare un occhio un po’ più attento alla riflessione e alla proposta
della sinistra d’alternativa francese, con il pensiero alle nostrane
vicende italiche.
Capitale finanziario e sovranità popolare
Nell’Introduzione, il testo dei compagni
francesi (d’ora in avanti ProgrammaFdG) muove da una constatazione di
carattere generale: in Europa e più in generale nel mondo l’esplodere di
ineguaglianze, precarietà e povertà, così come è documentato da tutte
le statistiche ufficiali, nonché l’incombere sul pianeta di una vera e
propria catastrofe ecologica sono stati determinati in questi ultimi
decenni dal “dominio del capitale finanziario”. E’ appena il caso di
ricordare che l’espressione “capitale finanziario” per un verso descrive
genericamente l’attuale peculiare potere della “finanza” e quindi
l’odierna torsione del sistema capitalistico a seguito della cosiddetta
“finanziarizzazione” dell’economia; per altro verso, più
specificatamente, denomina il fenomeno che già Lenin poneva a
contrassegno distintivo dell’era “imperialista”, caratterizzata dalla
fusione di capitale bancario e capitale industriale (appunto in capitale
finanziario). In tale fenomeno il ProgrammaFdG isola l’azione di un
soggetto sociale e politico e individua oggi l’antagonista di classe.
Il fatto che Stati e governi deleghino poteri e sovranità in omaggio a compatibilità che sono funzionali a tale dominio (esercitato prevalentemente da non eletti) rende conto del carattere a-democratico di quest’ultimo: le politiche neoliberali, con il dramma sociale che ad esse consegue, sempre di meno si alimentano di istanze egemoniche e sempre di più precipitano coercitivamente sui popoli, imposte dalla “tirannia dei mercati finanziari”. La crisi ha fatto compiere a tale processo involutivo un salto di qualità, evidenziando un impasse storico da cui lo stesso blocco sociale dominante non riesce ad uscire: “Proprio come la nobiltà del 1789 non poteva rompere con l’ Ancien Régime, il capitalismo finanziario è incapace di uscire da un sistema che rimpingua i privilegi”. E, anzi, esso reagisce rilanciando: dopo aver celebrato nel Trattato costituzionale europeo (peraltro respinto nel 2005 dal popolo francese) la supremazia dell’impresa e dei mercati, si vuol andare ancor più lontano, imponendo l’inclusione nella legge fondamentale dei singoli Stati l’obiettivo del pareggio di bilancio. Su questo punto specifico, il ProgrammaFdG è sin dall’inizio molto netto: se gli orientamenti di cui l’indicazione di tale obiettivo è sintesi emblematica dovessero prevalere, vorrebbe dire che la sicurezza sociale è sacrificata al “regno del profitto”, l’interesse generale all’ “avidità insaziabile di alcuni”, l’equilibrio dell’ecosistema alle “esigenze del breve termine”. Ma, soprattutto, “se una tale disposizione fosse integrata nella Costituzione francese, vorrebbe dire che le pretese dei detentori del debito si imporrebbero sui nostri rappresentanti eletti”.
In questo senso, non c’è nessuna soluzione scientificamente neutra da dover far valere sui diversi punti di vista e la posta è squisitamente politica. Essa concerne il potere: “Per risolvere la crisi, occorre riprendere il potere (…). Occorre che siano eletti dirigenti che non dipendano in alcun modo dall’oligarchia finanziaria: occorre una rivoluzione dei cittadini (une révolution citoyenne)”. A tal fine, si tratta di essere consapevoli di un passaggio obbligato: bisogna rompere con i principi che ci hanno condotto nell’impasse e, quindi, con le politiche seguite dai governi in questi ultimi decenni. Ciò comporta non glissare su un delicato discrimine: “Certamente, vi sono state differenze tra la politica dei governi di destra e quella dei governi di sinistra. Ma, sfortunatamente, ci sono stati anche dei punti in comune: il confidare nell’attuale costruzione – liberale – dell’Unione Europea, la volontà di ridurre il ‘costo del lavoro’, lo smantellamento dei servizi pubblici, il rifiuto di affrontare banche e mercati finanziari. Dogmi ripetuti da partiti e media dominanti, applicati ciecamente da governi e istituzioni internazionali”. Noi vi proponiamo – insiste il ProgrammaFdG – “altre idee, altre istituzioni, altri rappresentanti”. Per questo, “abbiamo bisogno della sovranità del popolo, la sola capace di guardare all’interesse generale”; per vincere, abbiamo bisogno della “mobilitazione delle donne e degli uomini di questo Paese”. All’inumanità del capitale il Front de Gauche contrappone l’umano: non semplicemente un’istanza etica, ma “la nostra strategia contro la crisi” (il lavorare, l’aver cura di sè, l’abitare, la formazione e la cultura). E’ il titolo stesso del programma: Prima l’umano (“L’humain d’abord”).
Il fatto che Stati e governi deleghino poteri e sovranità in omaggio a compatibilità che sono funzionali a tale dominio (esercitato prevalentemente da non eletti) rende conto del carattere a-democratico di quest’ultimo: le politiche neoliberali, con il dramma sociale che ad esse consegue, sempre di meno si alimentano di istanze egemoniche e sempre di più precipitano coercitivamente sui popoli, imposte dalla “tirannia dei mercati finanziari”. La crisi ha fatto compiere a tale processo involutivo un salto di qualità, evidenziando un impasse storico da cui lo stesso blocco sociale dominante non riesce ad uscire: “Proprio come la nobiltà del 1789 non poteva rompere con l’ Ancien Régime, il capitalismo finanziario è incapace di uscire da un sistema che rimpingua i privilegi”. E, anzi, esso reagisce rilanciando: dopo aver celebrato nel Trattato costituzionale europeo (peraltro respinto nel 2005 dal popolo francese) la supremazia dell’impresa e dei mercati, si vuol andare ancor più lontano, imponendo l’inclusione nella legge fondamentale dei singoli Stati l’obiettivo del pareggio di bilancio. Su questo punto specifico, il ProgrammaFdG è sin dall’inizio molto netto: se gli orientamenti di cui l’indicazione di tale obiettivo è sintesi emblematica dovessero prevalere, vorrebbe dire che la sicurezza sociale è sacrificata al “regno del profitto”, l’interesse generale all’ “avidità insaziabile di alcuni”, l’equilibrio dell’ecosistema alle “esigenze del breve termine”. Ma, soprattutto, “se una tale disposizione fosse integrata nella Costituzione francese, vorrebbe dire che le pretese dei detentori del debito si imporrebbero sui nostri rappresentanti eletti”.
In questo senso, non c’è nessuna soluzione scientificamente neutra da dover far valere sui diversi punti di vista e la posta è squisitamente politica. Essa concerne il potere: “Per risolvere la crisi, occorre riprendere il potere (…). Occorre che siano eletti dirigenti che non dipendano in alcun modo dall’oligarchia finanziaria: occorre una rivoluzione dei cittadini (une révolution citoyenne)”. A tal fine, si tratta di essere consapevoli di un passaggio obbligato: bisogna rompere con i principi che ci hanno condotto nell’impasse e, quindi, con le politiche seguite dai governi in questi ultimi decenni. Ciò comporta non glissare su un delicato discrimine: “Certamente, vi sono state differenze tra la politica dei governi di destra e quella dei governi di sinistra. Ma, sfortunatamente, ci sono stati anche dei punti in comune: il confidare nell’attuale costruzione – liberale – dell’Unione Europea, la volontà di ridurre il ‘costo del lavoro’, lo smantellamento dei servizi pubblici, il rifiuto di affrontare banche e mercati finanziari. Dogmi ripetuti da partiti e media dominanti, applicati ciecamente da governi e istituzioni internazionali”. Noi vi proponiamo – insiste il ProgrammaFdG – “altre idee, altre istituzioni, altri rappresentanti”. Per questo, “abbiamo bisogno della sovranità del popolo, la sola capace di guardare all’interesse generale”; per vincere, abbiamo bisogno della “mobilitazione delle donne e degli uomini di questo Paese”. All’inumanità del capitale il Front de Gauche contrappone l’umano: non semplicemente un’istanza etica, ma “la nostra strategia contro la crisi” (il lavorare, l’aver cura di sè, l’abitare, la formazione e la cultura). E’ il titolo stesso del programma: Prima l’umano (“L’humain d’abord”).
Riprendere potere e risorse ai mercati finanziari
La nettezza con cui è trattata la
questione del pareggio di bilancio, significativamente posta nella
premessa introduttiva, torna nel corso dell’articolazione programmatica,
in particolare nel secondo capitolo “Riprendere il potere a banche e
mercati finanziari”: “rifiutiamo il dogma della riduzione della spesa
pubblica” (che è al contrario una leva necessaria proprio nei periodi di
crisi economica); e “rifiutiamo la ‘regola aurea’ dell’equilibrio di
bilancio”. L’analogia tra bilancio familiare e bilancio dello Stato,
sapientemente ribadita da una martellante propaganda ufficiale, è “una
menzogna”: il deficit pubblico serve in realtà ad alimentare la domanda,
che al contrario le politiche di austerità deprimono sciaguratamente.
L’indebolimento del bilancio statale e il conseguente ricatto del debito
non sono tanto scaturiti da una spesa pubblica fuori controllo. La
storia di questi anni è del tutto diversa da quella raccontata dai
poteri dominanti: “Nel giro di pochi anni, la finanza ha conquistato
poteri esorbitanti (…). I detentori di capitale possono agire a loro
piacimento su mercati borsistici metodicamente deregolati, hanno
ottenuto una fiscalità a beneficio dei redditi da capitale, il diritto
di sfuggire al grosso dell’imposizione fiscale, la libera circolazione
del capitale finanziario nel mondo. E ora si permettono persino di ‘dare
i voti’ agli Stati, consegnandoli alla minaccia delle incursioni
speculative”. Tutto questo deve finire: occorre “metter le briglie alla
finanza”, ma anche “disintossicare le imprese dalla finanza”. E’ ora di
invertire radicalmente il disastroso percorso che ha condotto alla
“deindustrializzazione del Paese” e alla “destrutturazione del mercato
del lavoro”.
Come per ciascun’altra, anche all’interno di questa sezione il ProgrammaFdG indica un set di proposte, articolato in misure che potrebbero essere attivate immediatamente (“agire da subito”) e misure che richiederebbero la creazione di condizioni ad hoc (agire per un cambiamento durevole). Da notare che, mentre nel primo gruppo sono prevalentemente inclusi provvedimenti di pertinenza dello Stato nazionale, nel secondo figurano tra l’altro le proposte di cambiamento a livello europeo. Tornerò su questo: ma possiamo già qui rilevare l’esigenza di un robusto recupero di iniziativa in ambito nazionale (senza cioè che si aspetti l’evolvere del contesto continentale, pur sempre considerato essenziale).
Tra le cose che potrebbero e dovrebbero essere immediatamente concretizzate sul fronte interno figurano progetti ben conosciuti e ribaditi da Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra. In particolare su tre decisivi versanti: varo di norme che blocchino o riducano in misura consistente la speculazione (veto sulla vendita di titoli allo scoperto e di prodotti speculativi ad alto rischio, interdizione degli scambi con i cosiddetti “paradisi fiscali” con pesanti sanzioni in caso di violazioni, reintroduzione della separazione tra banche di deposito e banche d’investimento, veto su impegni bancari fuori bilancio, veto sulle stock options); creazione di un polo pubblico finanziario e per il credito (servizio pubblico a gestione democratica e con una missione di interesse generale, finalizzata al sostegno dell’occupazione e della formazione professionale, della piccola e media impresa, dell’eco-edilizia e dell’edilizia popolare, di programmi di sviluppo delle collettività territoriali; costituito attraverso la “messa in rete” di banche e istituzioni finanziarie già pubbliche – tra cui l’equivalente francese della Cassa Depositi e Prestiti – e la nazionalizzazione di banche e compagnie di assicurazione giudicate di rilievo strategico); una riforma della fiscalità generale che torni a conferire progressività al prelievo e sia selettiva e redistributrice di reddito (soppressione degli esoneri fiscali e, per converso, aumento della tassazione sui redditi finanziari delle imprese e sui redditi da patrimonio; penalizzazioni fiscali per le imprese che delocalizzano, che incrementano impegni e allocazioni speculative, che non riversano le provvidenze dell’innovazione tecnologica sul potenziamento produttivo e la creazione di nuovi posti di lavoro; agevolazioni e tassi calanti per progettualità produttive che creino lavoro e tutelino l’ambiente).
Ma una decisiva azione di contrasto alla speculazione e agli orientamenti neoliberisti dovrebbe soprattutto essere promossa in sede europea: è questa la dimensione entro cui è ineludibile operare “per un cambiamento durevole”. Ma è evidente che qui la realizzazione degli ambiziosi obiettivi proposti non dipende evidentemente solo da quel che avviene in Francia. Cionondimeno, il ProgrammaFdG è esplicito su quanto è necessario conseguire: a cominciare da misure che scardinino il libero corso della speculazione (controllo dei movimenti di capitale alle frontiere dell’Unione e tassazione delle transazioni finanziarie, sospensione della valutazione delle agenzie di rating nei confronti dei debiti sovrani di Paesi oggetto di piani di sostegno) e che, più in generale, siano capaci di mutare la natura del progetto europeo (modifica dei trattati europei e della missione della Banca Centrale Europea). Segnatamente, accanto al rifiuto della costituzionalizzazione dell’equilibrio dei bilanci statuali, va perseguita l’abrogazione del Patto di Stabilità e Crescita (Maastricht) e del Patto cosiddetto Europlus, nonché il finanziamento diretto, “per creazione monetaria”, da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali di un Fondo per lo Sviluppo sociale, ecologico e solidale (sostitutivo del Fondo di Stabilità Finanziaria, attivato a maggio del 2010, e del successivo Meccanismo Europeo di Stabilità, in vigore a partire dal 2013), a disposizione degli Stati membri a tassi equi, finalizzato all’espansione dell’occupazione e alla qualificazione del servizi pubblici nazionali, al potenziamento della ricerca e della tutela ambientale.
Come per ciascun’altra, anche all’interno di questa sezione il ProgrammaFdG indica un set di proposte, articolato in misure che potrebbero essere attivate immediatamente (“agire da subito”) e misure che richiederebbero la creazione di condizioni ad hoc (agire per un cambiamento durevole). Da notare che, mentre nel primo gruppo sono prevalentemente inclusi provvedimenti di pertinenza dello Stato nazionale, nel secondo figurano tra l’altro le proposte di cambiamento a livello europeo. Tornerò su questo: ma possiamo già qui rilevare l’esigenza di un robusto recupero di iniziativa in ambito nazionale (senza cioè che si aspetti l’evolvere del contesto continentale, pur sempre considerato essenziale).
Tra le cose che potrebbero e dovrebbero essere immediatamente concretizzate sul fronte interno figurano progetti ben conosciuti e ribaditi da Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra. In particolare su tre decisivi versanti: varo di norme che blocchino o riducano in misura consistente la speculazione (veto sulla vendita di titoli allo scoperto e di prodotti speculativi ad alto rischio, interdizione degli scambi con i cosiddetti “paradisi fiscali” con pesanti sanzioni in caso di violazioni, reintroduzione della separazione tra banche di deposito e banche d’investimento, veto su impegni bancari fuori bilancio, veto sulle stock options); creazione di un polo pubblico finanziario e per il credito (servizio pubblico a gestione democratica e con una missione di interesse generale, finalizzata al sostegno dell’occupazione e della formazione professionale, della piccola e media impresa, dell’eco-edilizia e dell’edilizia popolare, di programmi di sviluppo delle collettività territoriali; costituito attraverso la “messa in rete” di banche e istituzioni finanziarie già pubbliche – tra cui l’equivalente francese della Cassa Depositi e Prestiti – e la nazionalizzazione di banche e compagnie di assicurazione giudicate di rilievo strategico); una riforma della fiscalità generale che torni a conferire progressività al prelievo e sia selettiva e redistributrice di reddito (soppressione degli esoneri fiscali e, per converso, aumento della tassazione sui redditi finanziari delle imprese e sui redditi da patrimonio; penalizzazioni fiscali per le imprese che delocalizzano, che incrementano impegni e allocazioni speculative, che non riversano le provvidenze dell’innovazione tecnologica sul potenziamento produttivo e la creazione di nuovi posti di lavoro; agevolazioni e tassi calanti per progettualità produttive che creino lavoro e tutelino l’ambiente).
Ma una decisiva azione di contrasto alla speculazione e agli orientamenti neoliberisti dovrebbe soprattutto essere promossa in sede europea: è questa la dimensione entro cui è ineludibile operare “per un cambiamento durevole”. Ma è evidente che qui la realizzazione degli ambiziosi obiettivi proposti non dipende evidentemente solo da quel che avviene in Francia. Cionondimeno, il ProgrammaFdG è esplicito su quanto è necessario conseguire: a cominciare da misure che scardinino il libero corso della speculazione (controllo dei movimenti di capitale alle frontiere dell’Unione e tassazione delle transazioni finanziarie, sospensione della valutazione delle agenzie di rating nei confronti dei debiti sovrani di Paesi oggetto di piani di sostegno) e che, più in generale, siano capaci di mutare la natura del progetto europeo (modifica dei trattati europei e della missione della Banca Centrale Europea). Segnatamente, accanto al rifiuto della costituzionalizzazione dell’equilibrio dei bilanci statuali, va perseguita l’abrogazione del Patto di Stabilità e Crescita (Maastricht) e del Patto cosiddetto Europlus, nonché il finanziamento diretto, “per creazione monetaria”, da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali di un Fondo per lo Sviluppo sociale, ecologico e solidale (sostitutivo del Fondo di Stabilità Finanziaria, attivato a maggio del 2010, e del successivo Meccanismo Europeo di Stabilità, in vigore a partire dal 2013), a disposizione degli Stati membri a tassi equi, finalizzato all’espansione dell’occupazione e alla qualificazione del servizi pubblici nazionali, al potenziamento della ricerca e della tutela ambientale.
Un nuovo modo di produrre: pianificazione ecologica e lavoro
Le risorse adunate a livello nazionale e
– possibilmente – a livello continentale devono dunque esser messe a
disposizione di un “nuovo modo di produrre” (vedi il cap. 4 del
ProgrammaFdG: “Produrre diversamente”), anche sulla base di una
diversificazione delle “forme di proprietà”. Che potremmo così
riassumere: estensione e potenziamento strategico della proprietà
pubblica (con nazionalizzazione delle grandi leve economiche),
riconduzione della proprietà privata entro le finalità dell’interesse
comune (che, vorrei annotare, è anche uno dei fondamenti della nostra
Costituzione italiana), promozione della proprietà cooperativa (nel
quadro di “un’economia sociale e solidale”). Non a caso il ProgrammaFdG
tiene a sottolineare che tale “pluralismo” intende squarciare il velo
dogmatico dell’orientamento neoliberista, profuso a piene mani nei
vigenti trattati europei, il quale, dietro l’apparente apertura della
formula “concorrenza libera e non falsata”, mira in realtà a uniformare
la produzione di beni e servizi, imponendo urbi et orbi la logica del
profitto privato.
Al cuore di questo “nuovo modo di produrre” ci sono l’ “eco-sviluppo” e la riduzione del tempo di lavoro: “Rifiutiamo il modello di economia che ci viene assegnato da una divisione internazionale del lavoro pilotata dalla finanza. Vogliamo ristabilire il potenziale industriale della Francia: perché l’urgenza ecologica implica la rilocalizzazione dell’economia e l’urgenza sociale impone di combattere la disoccupazione operaia”. In tale prospettiva vanno collocate – sotto l’egida di un Polo pubblico dell’industria e della transizione ecologica dell’agricoltura, insediato territorialmente – le proposte per una ridefinizione delle “filiere manifatturiere prioritarie” (con contestuale inversione della deriva di chiusure aziendali ed esternalizzazioni), per una politica agricola che promuova una “produzione di qualità” e senza Ogm , per una gestione del territorio che favorisca la creazione di società cooperative “d’interesse collettivo” e “forme decentralizzate di proprietà sociale”, per una riduzione dei tempi di trasporto delle merci incentivata da un’apposita tassazione chilometrica (“circuiti corti di distribuzione”). Grazie anche all’attivazione di un nuovo “Indicatore di progresso umano” (che includa a pieno titolo, quali criteri di valutazione, la giustizia sociale e il rispetto dell’ambiente), si tratta in definitiva di “ri-orientare radicalmente i nostri modi di produzione, scambio e consumo”.
In tale contesto, l’urgente attenzione da prestare all’equilibrio ambientale del pianeta entra in rotta di collisione con l’irrazionalità della logica capitalistica di ricerca del massimo profitto. L’allarme per l’incipiente “catastrofe ecologica”, documentata dai dati inoppugnabili sul riscaldamento climatico, la distruzione della biodiversità, il progressivo esaurimento delle risorse naturali impongono la messa in atto di una vera e propria “pianificazione ecologica”: è questo il titolo della terza sezione del programma, che non a caso vede il ricorso ad una nozione (“pianificazione”) tornata a far capolino all’interno della letteratura ambientalista internazionale. Così, con la creazione di un polo nazionale 100% pubblico dell’energia, il ProgrammaFdG chiama la collettività a sovrintendere ad uno sviluppo ambientalmente equilibrato: stop alle politiche di deregolamentazione dell’energia, piano di transizione ecologica che reintroduca il controllo pubblico dell’energia, piano di finanziamento per la sobrietà e l’efficacia energetica e per la diversificazione delle fonti energetiche (con nuovo impulso all’uso delle fonti rinnovabili), controllo pubblico della gestione dell’acqua. Ma, soprattutto, il Front de Gauche propone l’attivazione immediata di un grande e capillare dibattito nazionale sulla politica energetica, avente come obiettivo finale l’indizione di un referendum sull’uso del nucleare civile (che serva a tematizzare tutte le possibilità, ivi compresa in particolare l’uscita dal nucleare stesso, sulla base di un’indicazione di fondo: ridurre il consumo energetico, senza abbassare il tenore di vita delle classi popolari). Anche su questo, l’impegno interno dovrà esser raddoppiato con un’azione parallela che miri alla “creazione di un analogo polo pubblico a livello europeo”.
Al cuore di questo “nuovo modo di produrre” ci sono l’ “eco-sviluppo” e la riduzione del tempo di lavoro: “Rifiutiamo il modello di economia che ci viene assegnato da una divisione internazionale del lavoro pilotata dalla finanza. Vogliamo ristabilire il potenziale industriale della Francia: perché l’urgenza ecologica implica la rilocalizzazione dell’economia e l’urgenza sociale impone di combattere la disoccupazione operaia”. In tale prospettiva vanno collocate – sotto l’egida di un Polo pubblico dell’industria e della transizione ecologica dell’agricoltura, insediato territorialmente – le proposte per una ridefinizione delle “filiere manifatturiere prioritarie” (con contestuale inversione della deriva di chiusure aziendali ed esternalizzazioni), per una politica agricola che promuova una “produzione di qualità” e senza Ogm , per una gestione del territorio che favorisca la creazione di società cooperative “d’interesse collettivo” e “forme decentralizzate di proprietà sociale”, per una riduzione dei tempi di trasporto delle merci incentivata da un’apposita tassazione chilometrica (“circuiti corti di distribuzione”). Grazie anche all’attivazione di un nuovo “Indicatore di progresso umano” (che includa a pieno titolo, quali criteri di valutazione, la giustizia sociale e il rispetto dell’ambiente), si tratta in definitiva di “ri-orientare radicalmente i nostri modi di produzione, scambio e consumo”.
In tale contesto, l’urgente attenzione da prestare all’equilibrio ambientale del pianeta entra in rotta di collisione con l’irrazionalità della logica capitalistica di ricerca del massimo profitto. L’allarme per l’incipiente “catastrofe ecologica”, documentata dai dati inoppugnabili sul riscaldamento climatico, la distruzione della biodiversità, il progressivo esaurimento delle risorse naturali impongono la messa in atto di una vera e propria “pianificazione ecologica”: è questo il titolo della terza sezione del programma, che non a caso vede il ricorso ad una nozione (“pianificazione”) tornata a far capolino all’interno della letteratura ambientalista internazionale. Così, con la creazione di un polo nazionale 100% pubblico dell’energia, il ProgrammaFdG chiama la collettività a sovrintendere ad uno sviluppo ambientalmente equilibrato: stop alle politiche di deregolamentazione dell’energia, piano di transizione ecologica che reintroduca il controllo pubblico dell’energia, piano di finanziamento per la sobrietà e l’efficacia energetica e per la diversificazione delle fonti energetiche (con nuovo impulso all’uso delle fonti rinnovabili), controllo pubblico della gestione dell’acqua. Ma, soprattutto, il Front de Gauche propone l’attivazione immediata di un grande e capillare dibattito nazionale sulla politica energetica, avente come obiettivo finale l’indizione di un referendum sull’uso del nucleare civile (che serva a tematizzare tutte le possibilità, ivi compresa in particolare l’uscita dal nucleare stesso, sulla base di un’indicazione di fondo: ridurre il consumo energetico, senza abbassare il tenore di vita delle classi popolari). Anche su questo, l’impegno interno dovrà esser raddoppiato con un’azione parallela che miri alla “creazione di un analogo polo pubblico a livello europeo”.
La prima ricchezza della Francia è il lavoro umano
Come detto, il pilastro portante che
sostiene il “nuovo modo di produzione” è il lavoro: “la prima ricchezza
della Francia non è la finanza ma il lavoro umano”. In questo nostro
resoconto abbiamo seguito un filo logico che connette le tematiche del
lavoro alla sequenza ‘Istanze generali/Reperimento delle risorse/Modello
sociale e produttivo’: ciò non toglie il fatto che alle specifiche
tematiche del lavoro il ProgrammaFdG dedichi comprensibilmente il primo
capitolo, titolato significativamente “Distribuire le ricchezze e
abolire l’insicurezza sociale”. A tale sezione, giustamente posta in
preminenza nella configurazione tematica prescelta, appartengono anche
la problematica previdenziale e le proposte in tema di beni comuni e
erogazione di servizi pubblici, secondo lo schema prevalente: salario
diretto, salario indiretto, salario differito.
Si muove dalla constatazione di un’avvenuta “accumulazione di ricchezza, senza precedenti e concentrata in poche mani”, per poi tematizzare una secca inversione delle politiche del lavoro. L’idea generale è quella della riproposizione di “una logica del pieno impiego”, a partire dalla riduzione del tempo di lavoro e dall’abolizione della precarietà, da una rivalutazione globale delle retribuzioni e delle pensioni, tutelate altresì da un dispositivo di indicizzazione in relazione all’aumento del costo della vita. E’ innanzitutto auspicata la fissazione di uno scarto salariale massimo da 1 a 20 (come proposta dalla Confederazione europea dei sindacati): così che la parte alta della “scala salariale” non possa aumentare senza che contemporaneamente aumenti la parte in basso. In tale direzione vanno le misure inserite nel set “Agire subito”: reintroduzione delle 35 ore a parità di salario, diritto a pensione a 60 anni a tasso pieno, Smic (salario minimo interprofessionale, sotto il quale nessun salariato può andare) a 1700 euro lordi mensili per 35 ore (dal 1 gennaio2012, il valore dello Smic è attestato su 1398,37 euro lordi mensili), instaurazione per tutte le imprese di un salario massimo, assoluta parità retributiva di uomini e donne, sistema stabile di formazione professionale per tutte e tutti, stabilizzazione immediata degli 800 mila precari della funzione pubblica, reddito massimo annuale a 360 mila euro.
A tali provvedimenti vanno aggiunti quelli indicati nella sottosezione “Abolire la precarietà”: in primo luogo, va ristabilita “l’autorizzazione amministrativa del licenziamento”, interdicendo i licenziamenti speculativi (licenciements boursiers) e vietando la distribuzione dei dividendi per le imprese che licenziano; in caso di delocalizzazione, instaurando il diritto dei salariati a recuperare la loro impresa nella forma cooperativa. In secondo luogo, il contratto a tempo pieno e indeterminato è riaffermato come norma generale del contratto di lavoro; il lavoro a tempo determinato dovrà essere rigidamente delimitato a poche e precise fisionomie d’impiego, nonché sottoposto a un tetto massimo di utilizzo: 5% delle unità lavorative per le grandi imprese e 10% per le piccole e medie imprese (salvo deroga giustificata). Inoltre, per impedire una perpetuazione all’infinito del precariato, occorre prevedere un diritto di passaggio automatico dal tempo parziale al tempo pieno, la fissazione a 6 mesi della durata massima degli stages lavorativi, con una remunerazione equivalente alla metà dello Smic sin dal primo mese di stage.
Sul piano dei diritti essenziali (e delle provvidenze in tema di salario indiretto), oltre al mantenimento di tariffe sociali per garantire l’accesso di tutte e tutti all’acqua e all’energia, il ProgrammaFdG prevede, nell’ambito del diritto alla casa, il varo immediato di un Piano di emergenza nazionale per l’edilizia pubblica popolare (200 mila alloggi), scadenzato sulla durata di cinque anni, e con una quota specifica destinata ad alloggi per giovani e studenti; il blocco dei fitti e un piano per lo smobilizzo degli alloggi sfitti; un tetto massimo per il canone d’affitto fissato al 20% del reddito familiare; la costituzione di un’Agenzia fondiaria nazionale per una gestione pubblica dei suoli. In tema di diritto alla salute, la sottosezione “Salute, nostro bene comune!”, rilancia l’impegno per il potenziamento di un sistema sanitario fondato sulla gratuità delle cure essenziali e la prossimità dei presidi: prevedendo quindi il rimborso integrale delle spese sanitarie; il blocco della chiusura o dello smantellamento di ospedali, centri di cura e di assistenza alla maternità; la “messa in rete” delle strutture ospedaliere e dei presidi territoriali sulla base del principio della prossimità, al fine della riduzione dei tempi di attesa e di una presenza equilibrata della sanità pubblica, proporzionale alla densità abitativa; la creazione di un Polo pubblico farmaceutico che contribuisca alla produzione e all’offerta di farmaci, ne controlli sicurezza e prezzi anche sulla base di concreti poteri di sanzione, rilanci in materia la ricerca pubblica.
In definitiva, il Front de Gauche propone un generale rilancio del servizio pubblico. Sanità, educazione, protezione sociale, ricerca, energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni, credito, casa, poste, sicurezza, giustizia: tutto questo è patrimonio della collettività, sono “i nostri beni comuni” , sottratti dal “popolo dei beni comuni” all’insidia del profitto privato. Per questo, devono essere finanziati da una fiscalità giusta, protetti dalla liberalizzazione dei mercati e dalla messa in concorrenza, affidati a una gestione pubblica efficiente e partecipata dai cittadini, supportati da un’adeguata informazione e cultura civica.
Si muove dalla constatazione di un’avvenuta “accumulazione di ricchezza, senza precedenti e concentrata in poche mani”, per poi tematizzare una secca inversione delle politiche del lavoro. L’idea generale è quella della riproposizione di “una logica del pieno impiego”, a partire dalla riduzione del tempo di lavoro e dall’abolizione della precarietà, da una rivalutazione globale delle retribuzioni e delle pensioni, tutelate altresì da un dispositivo di indicizzazione in relazione all’aumento del costo della vita. E’ innanzitutto auspicata la fissazione di uno scarto salariale massimo da 1 a 20 (come proposta dalla Confederazione europea dei sindacati): così che la parte alta della “scala salariale” non possa aumentare senza che contemporaneamente aumenti la parte in basso. In tale direzione vanno le misure inserite nel set “Agire subito”: reintroduzione delle 35 ore a parità di salario, diritto a pensione a 60 anni a tasso pieno, Smic (salario minimo interprofessionale, sotto il quale nessun salariato può andare) a 1700 euro lordi mensili per 35 ore (dal 1 gennaio2012, il valore dello Smic è attestato su 1398,37 euro lordi mensili), instaurazione per tutte le imprese di un salario massimo, assoluta parità retributiva di uomini e donne, sistema stabile di formazione professionale per tutte e tutti, stabilizzazione immediata degli 800 mila precari della funzione pubblica, reddito massimo annuale a 360 mila euro.
A tali provvedimenti vanno aggiunti quelli indicati nella sottosezione “Abolire la precarietà”: in primo luogo, va ristabilita “l’autorizzazione amministrativa del licenziamento”, interdicendo i licenziamenti speculativi (licenciements boursiers) e vietando la distribuzione dei dividendi per le imprese che licenziano; in caso di delocalizzazione, instaurando il diritto dei salariati a recuperare la loro impresa nella forma cooperativa. In secondo luogo, il contratto a tempo pieno e indeterminato è riaffermato come norma generale del contratto di lavoro; il lavoro a tempo determinato dovrà essere rigidamente delimitato a poche e precise fisionomie d’impiego, nonché sottoposto a un tetto massimo di utilizzo: 5% delle unità lavorative per le grandi imprese e 10% per le piccole e medie imprese (salvo deroga giustificata). Inoltre, per impedire una perpetuazione all’infinito del precariato, occorre prevedere un diritto di passaggio automatico dal tempo parziale al tempo pieno, la fissazione a 6 mesi della durata massima degli stages lavorativi, con una remunerazione equivalente alla metà dello Smic sin dal primo mese di stage.
Sul piano dei diritti essenziali (e delle provvidenze in tema di salario indiretto), oltre al mantenimento di tariffe sociali per garantire l’accesso di tutte e tutti all’acqua e all’energia, il ProgrammaFdG prevede, nell’ambito del diritto alla casa, il varo immediato di un Piano di emergenza nazionale per l’edilizia pubblica popolare (200 mila alloggi), scadenzato sulla durata di cinque anni, e con una quota specifica destinata ad alloggi per giovani e studenti; il blocco dei fitti e un piano per lo smobilizzo degli alloggi sfitti; un tetto massimo per il canone d’affitto fissato al 20% del reddito familiare; la costituzione di un’Agenzia fondiaria nazionale per una gestione pubblica dei suoli. In tema di diritto alla salute, la sottosezione “Salute, nostro bene comune!”, rilancia l’impegno per il potenziamento di un sistema sanitario fondato sulla gratuità delle cure essenziali e la prossimità dei presidi: prevedendo quindi il rimborso integrale delle spese sanitarie; il blocco della chiusura o dello smantellamento di ospedali, centri di cura e di assistenza alla maternità; la “messa in rete” delle strutture ospedaliere e dei presidi territoriali sulla base del principio della prossimità, al fine della riduzione dei tempi di attesa e di una presenza equilibrata della sanità pubblica, proporzionale alla densità abitativa; la creazione di un Polo pubblico farmaceutico che contribuisca alla produzione e all’offerta di farmaci, ne controlli sicurezza e prezzi anche sulla base di concreti poteri di sanzione, rilanci in materia la ricerca pubblica.
In definitiva, il Front de Gauche propone un generale rilancio del servizio pubblico. Sanità, educazione, protezione sociale, ricerca, energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni, credito, casa, poste, sicurezza, giustizia: tutto questo è patrimonio della collettività, sono “i nostri beni comuni” , sottratti dal “popolo dei beni comuni” all’insidia del profitto privato. Per questo, devono essere finanziati da una fiscalità giusta, protetti dalla liberalizzazione dei mercati e dalla messa in concorrenza, affidati a una gestione pubblica efficiente e partecipata dai cittadini, supportati da un’adeguata informazione e cultura civica.
Uguaglianza e libertà
In sintonia con il progetto di giustizia
sociale sin qui delineato, va costruita “l’uguaglianza dei cittadini”.
Essa è sì proclamata dalla Repubblica, ma nei fatti è ancora un progetto
da realizzare: contro le discriminazioni e gli attentati alla libertà
che ancora perdurano, il ProgrammaFdG (capitolo 5) affida al “regime
politico repubblicano” il compito di costituire “la sovranità della
comunità politica, la libertà nel rispetto dell’interesse generale”. A
cominciare dall’applicazione integrale del principio di laicità, inteso
come “principio vivente, portatore di diritti inalienabili da garantire a
ogni membro della società, che esso sia francese o straniero”. Ciò
concerne la libertà di coscienza e di culto, “la neutralità dello Stato
al riguardo di tutte le convinzioni filosofiche, religiose o politiche”:
così che non possa accadere che una di queste sia messa all’indice
proprio con il pretesto stesso della laicità (“come fa regolarmente il
Fronte Nazionale a proposito della religione musulmana”). Nel contempo, è
precisamente il rispetto dello spazio pubblico e della suddetta
“neutralità dello Stato” ad esigere di porre un veto al finanziamento
pubblico di religioni e organismi confessionali. In merito, viene ancora
sottolineato l’impegno a difendere questi stessi principi di libertà e
laicità nell’ambito delle istituzioni europee e, in loro nome, a
contrastare l’intrusione nella politica internazionale di orientamenti
pericolosi come la teoria dello ‘scontro di civiltà’ (“che divide il
mondo in funzione dell’appartenenza religiosa”).
Sulla scena dell’eguaglianza è posta in primo piano “l’uguaglianza donne-uomini”, alla luce di un obiettivo secco: “Sbarazzarsi del patriarcato”. Con riferimento al versante istituzionale interno, a promuovere tale istanza, si propone la creazione di un Ministero per i Diritti delle donne e l’uguaglianza, dipendente direttamente dal Primo Ministro, “dotato di mezzi e appoggiato da delegati interministeriali”. Primi obiettivi: una legge-quadro per la lotta contro le violenze fatte alle donne e una legge per la lotta contro il sessismo, contro l’onnipresenza della pornografia e la strumentalizzazione dei corpi a fini mercantili. Sul piano europeo, si propone l’immediata attuazione della “clausola dell’europea più favorita”, sostenuta dalle associazioni femministe, attraverso cui armonizzare verso l’alto i diritti delle donne europee adottando a livello comunitario le leggi nazionali più progressiste: “la legge olandese sulla contraccezione e i diritti dei (delle) omosessuali, quella francese sullo stupro, quella belga sulla parità, quella svedese sull’aborto e il congedo parentale, quella danese sull’educazione sessuale e così via”.
In coerenza con tale impostazione generale è di seguito affrontato il tema dell’immigrazione, assai delicato per la Francia anche perchè ossessivamente agitato dalle destre: contro tutte le mitologie securitarie, viene in proposito ribadito che “l’immigrazione non è affatto un problema” e che “è ora di finirla con l’odio nei confronti degli stranieri”. Non si tratta semplicemente di un imperativo etico, ma della presa d’atto di un dato dell’oggettività: i flussi migratori non sono un’anomalia da temere ma una realtà che riguarda tutti i Paesi del mondo globalizzato e che in quanto tale va valorizzata guardando al futuro. All’immaginario xenofobo, miope e regressivo, vanno dunque contrapposte concezioni e politiche dell’accoglienza che respingano qualsiasi modello di società ghettizzata, nella consapevolezza che “la tesi dell’immigrazione zero è un mito che divide e indebolisce il nostro Paese”. In tal senso, il ProgrammaFdG assume l’impegno di una revisione in termini progressivi del Codice di entrata e soggiorno degli stranieri: “ristabiliremo il diritto alla riunificazione familiare (…), regolarizzeremo i sans papiers, depenalizzeremo il soggiorno irregolare, chiuderemo i centri di permanenza coatta, ristabiliremo il diritto al soggiorno per motivi medici, garantiremo lo scrupoloso rispetto del diritto d’asilo”.
Gli ultimi capitoli del ProgrammaFdG sono dedicati all’assetto istituzionale statuale e territoriale, agli istituti formativi e culturali (due materie di grande rilievo ma discusse prevalentemente in relazione al contesto interno), alle scelte da attuarsi in sede internazionale (trattate piuttosto sinteticamente, ancorchè non senza spunti importanti). Ad essi conviene qui accennare limitandoci a segnalare quel che può avere per noi uno specifico interesse. Quanto al primo tema, va sottolineata l’opzione antipresidenzialista e a difesa del regime parlamentare (“Contro il presidenzialismo, difenderemo il regime parlamentare: vogliamo ristabilire la primazia dell’Assemblea nazionale sull’esecutivo. I poteri esorbitanti del presidente della Repubblica devono essere soppressi”) nonché la scelta proporzionalista (“La proporzionale dovrà essere ristabilita per tutte le elezioni”) e l’impegno per il rafforzamento della democrazia partecipativa (“La democrazia partecipativa dovrà essere inscritta nella Costituzione”).
In secondo luogo, per ciò che concerne la formazione e la cultura, il ProgrammaFdG punta innanzitutto a evidenziare il carattere pubblico della missione educativa, in contrasto con quanto raccomandato dalla strategia di Lisbona (“Combatteremo la messa in concorrenza delle strutture educative e rivedremo tutte le misure che, sotto l’apparenza dell’autonomia, mirano a istituire un mercato dell’educazione. Affermiamo la necessità di una politica nazionale dell’educazione in una logica di servizio pubblico, per una vera gratuità e parità di accesso ai saperi. Agiremo perché la produzione di conoscenze e la formazione siano liberate dalla logica del mercato e della rendita finanziaria”). In questo contesto si riafferma l’obbligo scolastico per tutte e tutti (“da 3 a 18 anni”), si propone di lanciare “un piano di lotta contro le ineguaglianze sociali nella scuola”, e ci si impegna – in relazione all’insegnamento superiore e alla ricerca – a potenziare uniformemente il servizio pubblico abbandonando “i ‘frastagliamenti’, strumento di discriminazione, così come le ‘iniziative d’eccellenza’”.
Infine, in relazione alle politiche “per la pace e la cooperazione tra i popoli” – accanto alla conferma dell’impegno per una democratizzazione dell’Onu e per un processo di denuclearizzazione e disarmo multilaterale – va registrata la presenza di altri tre obiettivi programmatici ‘pesanti’: ritiro delle truppe francesi dall’Afghanistan, ritiro della Francia dalla Nato, riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia e dell’Unione Europea.
Sulla scena dell’eguaglianza è posta in primo piano “l’uguaglianza donne-uomini”, alla luce di un obiettivo secco: “Sbarazzarsi del patriarcato”. Con riferimento al versante istituzionale interno, a promuovere tale istanza, si propone la creazione di un Ministero per i Diritti delle donne e l’uguaglianza, dipendente direttamente dal Primo Ministro, “dotato di mezzi e appoggiato da delegati interministeriali”. Primi obiettivi: una legge-quadro per la lotta contro le violenze fatte alle donne e una legge per la lotta contro il sessismo, contro l’onnipresenza della pornografia e la strumentalizzazione dei corpi a fini mercantili. Sul piano europeo, si propone l’immediata attuazione della “clausola dell’europea più favorita”, sostenuta dalle associazioni femministe, attraverso cui armonizzare verso l’alto i diritti delle donne europee adottando a livello comunitario le leggi nazionali più progressiste: “la legge olandese sulla contraccezione e i diritti dei (delle) omosessuali, quella francese sullo stupro, quella belga sulla parità, quella svedese sull’aborto e il congedo parentale, quella danese sull’educazione sessuale e così via”.
In coerenza con tale impostazione generale è di seguito affrontato il tema dell’immigrazione, assai delicato per la Francia anche perchè ossessivamente agitato dalle destre: contro tutte le mitologie securitarie, viene in proposito ribadito che “l’immigrazione non è affatto un problema” e che “è ora di finirla con l’odio nei confronti degli stranieri”. Non si tratta semplicemente di un imperativo etico, ma della presa d’atto di un dato dell’oggettività: i flussi migratori non sono un’anomalia da temere ma una realtà che riguarda tutti i Paesi del mondo globalizzato e che in quanto tale va valorizzata guardando al futuro. All’immaginario xenofobo, miope e regressivo, vanno dunque contrapposte concezioni e politiche dell’accoglienza che respingano qualsiasi modello di società ghettizzata, nella consapevolezza che “la tesi dell’immigrazione zero è un mito che divide e indebolisce il nostro Paese”. In tal senso, il ProgrammaFdG assume l’impegno di una revisione in termini progressivi del Codice di entrata e soggiorno degli stranieri: “ristabiliremo il diritto alla riunificazione familiare (…), regolarizzeremo i sans papiers, depenalizzeremo il soggiorno irregolare, chiuderemo i centri di permanenza coatta, ristabiliremo il diritto al soggiorno per motivi medici, garantiremo lo scrupoloso rispetto del diritto d’asilo”.
Gli ultimi capitoli del ProgrammaFdG sono dedicati all’assetto istituzionale statuale e territoriale, agli istituti formativi e culturali (due materie di grande rilievo ma discusse prevalentemente in relazione al contesto interno), alle scelte da attuarsi in sede internazionale (trattate piuttosto sinteticamente, ancorchè non senza spunti importanti). Ad essi conviene qui accennare limitandoci a segnalare quel che può avere per noi uno specifico interesse. Quanto al primo tema, va sottolineata l’opzione antipresidenzialista e a difesa del regime parlamentare (“Contro il presidenzialismo, difenderemo il regime parlamentare: vogliamo ristabilire la primazia dell’Assemblea nazionale sull’esecutivo. I poteri esorbitanti del presidente della Repubblica devono essere soppressi”) nonché la scelta proporzionalista (“La proporzionale dovrà essere ristabilita per tutte le elezioni”) e l’impegno per il rafforzamento della democrazia partecipativa (“La democrazia partecipativa dovrà essere inscritta nella Costituzione”).
In secondo luogo, per ciò che concerne la formazione e la cultura, il ProgrammaFdG punta innanzitutto a evidenziare il carattere pubblico della missione educativa, in contrasto con quanto raccomandato dalla strategia di Lisbona (“Combatteremo la messa in concorrenza delle strutture educative e rivedremo tutte le misure che, sotto l’apparenza dell’autonomia, mirano a istituire un mercato dell’educazione. Affermiamo la necessità di una politica nazionale dell’educazione in una logica di servizio pubblico, per una vera gratuità e parità di accesso ai saperi. Agiremo perché la produzione di conoscenze e la formazione siano liberate dalla logica del mercato e della rendita finanziaria”). In questo contesto si riafferma l’obbligo scolastico per tutte e tutti (“da 3 a 18 anni”), si propone di lanciare “un piano di lotta contro le ineguaglianze sociali nella scuola”, e ci si impegna – in relazione all’insegnamento superiore e alla ricerca – a potenziare uniformemente il servizio pubblico abbandonando “i ‘frastagliamenti’, strumento di discriminazione, così come le ‘iniziative d’eccellenza’”.
Infine, in relazione alle politiche “per la pace e la cooperazione tra i popoli” – accanto alla conferma dell’impegno per una democratizzazione dell’Onu e per un processo di denuclearizzazione e disarmo multilaterale – va registrata la presenza di altri tre obiettivi programmatici ‘pesanti’: ritiro delle truppe francesi dall’Afghanistan, ritiro della Francia dalla Nato, riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia e dell’Unione Europea.
Alcune considerazioni conclusive
Come emerge da questa nostra rapida
trattazione, il ProgrammaFdG è molto chiaro e netto – potremmo dire
radicale – sui punti sensibili che caratterizzano gli sviluppi dell’
immediato futuro, nazionale ed europeo; e, nel complesso, prospetta
un’inversione di marcia appunto radicale rispetto agli orientamenti
prevalenti a destra ma anche nel centrosinistra. E, tuttavia, non vi
sarebbe nulla di strano nel definirlo un misurato programma
socialdemocratico, ispirato a formule tradizionali come quella che
reclama ‘pace, diritti, lavoro, redistribuzione della ricchezza’. Il
fatto è che, con i tempi che corrono e a fronte dell’involuzione
pluridecennale delle società e delle democrazie liberali d’Occidente,
anche un’impostazione riformista viene ad acquistare il senso e a
richiedere il coraggio di un passaggio quasi-rivoluzionario. Tale
paradossale contrasto è espresso emblematicamente nell’espressione
“rivoluzione dei cittadini”, imperiosamente richiesta dalla sempre più
marcata collisione tra capitalismo, nella sua odierna versione
neoliberista, e istituti democratici.
Questa constatazione acquista una particolare pregnanza se si considera il pericoloso impasse in cui versa il contesto europeo. Si è visto che i provvedimenti proposti dal Front de Gauche configurano un drastico rimaneggiamento del progetto europeo e, sul piano interno, prescrivono una radicale opposizione agli orientamenti sin qui ossessivamente seguiti in sede Ue. Ciò viene senza mezze misure dichiarato, senza che tuttavia vi sia il minimo dubbio circa la necessità di confermare la prospettiva europea, la quale resta per le compagne e i compagni francesi urgente ed essenziale.
Si tratta certamente di una strada assai stretta, politicamente difficile e tuttavia inderogabile. A guardar bene, è il medesimo difficile cammino ribadito dalla sinistra più consapevole nel Paese oggi più a rischio di implosione: e cioè da Syriza in Grecia. Anche qui, in una congiuntura assolutamente eccezionale, l’opposizione più dura nei confronti delle politiche-capestro sciaguratamente imposte da Bruxelles (e Berlino) si accompagna alla dichiarazione di una mai dismessa volontà di appartenenza al consesso europeo. Ciò significa una cosa molto semplice: non è vero che appartenere all’Europa debba significare adeguarsi ai diktat liberisti (della Commissione europea, della Bce, del Fondo monetario) e accettare supinamente le politiche di austerità. Al contrario, è il dogma dell’attuale establishment – e gli interessi di classe da esso protetti – a imporre il ricatto dell’equazione ‘progetto europeo=dramma sociale’. Una strada alternativa esiste, è l’unica che possa traguardare una prospettiva di dimensione continentale (ancorchè all’insegna di “un’altra Europa”) e occorre far di tutto affinchè sia percorsa. Per questo, occorre a quel livello operare per capovolgere i rapporti di forza.
Il Front de Gauche prova a farlo – nel suo Paese, nella sinistra europea, nel Gue – a partire dai suoi contenuti programmatici. Ciò può avvenire grazie a due opportunità decisive, concretizzatesi nell’ambito dello stesso panorama politico transalpino. La prima è data dall’aver costruito risolutamente una risposta all’ “esigenza di reinventare la sinistra”, poggiando sulla chiarezza dei contenuti e sul protagonismo popolare: “Creando il Front de Gauche, i militanti dei partiti e delle formazioni che lo compongono – ce ne sono ormai sei (Gauche Unitaire, Parti comuniste Français, Parti de Gauche, Convergences et Alternative, Fédération pour une Alternative sociale et écologique, République et Socialisme) – hanno scosso le loro abitudini e si sono uniti per mettersi all’altezza di questo momento eccezionale”. Penso che Il ProgrammaFdG sia lì a testimoniare la scelta di classe e la conseguente idea di un’altra società, profondamente diversa dal capitalismo vigente, quali elementi distintivi del profilo identitario e programmatico assunto dal suddetto raggruppamento politico.
La seconda opportunità è stata offerta dal prevalere di un candidato socialista alla massima carica della Repubblica francese che, nel suo programma, promette tra l’altro di: opporsi “in Europa a quei nostri dirigenti che si sono rassegnati all’austerità e sono stati incapaci di dominare la finanza”, di “riorientare l’Europa rinegoziando il trattato d’austerità” (o Fiscal compact), di costituire in Francia “una banca pubblica di investimento per lo sviluppo delle nostre imprese”, di “modulare l’imposta sulle società a seconda che il beneficio sia reinvestito oppure distribuito agli azionisti”, di “mettere le banche al servizio dell’economia” separando “le attività di credito da quelle legate alla speculazione”, di “riformare la fiscalità, tassando le remunerazioni indecenti del 75% oltre il milione di euro l’anno e ristabilendo l’imposta sulla ricchezza”, di promuovere “una nuova riforma previdenziale, dando a coloro che avranno contribuito per la totalità dei loro anni di servizio il diritto di andare in pensione a 60 anni”, di “lottare contro le discriminazioni e il razzismo”, di “portare alta la voce della Francia nel mondo, rompendo in Africa con pratiche d’altri tempi, sviluppando relazioni con la riva Sud del Mediterraneo e agendo per la pace in Medio Oriente, ritirando le nostre truppe dall’Afghanistan entro il 2012” (citazioni riprese dal programma di François Holland). Certo, non è il programma del Front de Gauche; e non sempre le promesse elettorali si traducono in fatti concreti, una volta poste alla prova del governo e delle presumibili mediazioni che il suo esercizio comporta. Cionondimeno, le suddette opzioni programmatiche sono comprensibilmente bastate per consentire al Front de Gauche di far arrivare a Hollande l’appoggio elettorale al secondo turno delle presidenziali e fornire in questo modo un contributo determinante per il suo successo. Sarà ora compito del Front de Gauche medesimo di vigilare e provare ad ancorare a sinistra l’azione dell’attuale premier.
Chiudo notando che ad oggi nessuna delle due opportunità si è ancora profilata nel nostro Paese. La sinistra di alternativa (comunista, di sinistra, di movimento) non riesce a trovare il bandolo dell’unità (e gli appelli in tal senso, senza un serio approfondimento programmatico proposto e condiviso, temo che siano destinati a lasciare il tempo che trovano). Per altro verso, un Partito Democratico senz’anima e, nonostante la parziale tenuta elettorale, in evidente crisi di identità appoggia un governo di destra, la cui filosofia appare non a caso agli antipodi di quella appena richiamata e contenuta negli obiettivi programmatici del socialista François Hollande. Nel frattempo, il 2013 si avvicina: e forse non siamo ancora fuori tempo massimo.
Questa constatazione acquista una particolare pregnanza se si considera il pericoloso impasse in cui versa il contesto europeo. Si è visto che i provvedimenti proposti dal Front de Gauche configurano un drastico rimaneggiamento del progetto europeo e, sul piano interno, prescrivono una radicale opposizione agli orientamenti sin qui ossessivamente seguiti in sede Ue. Ciò viene senza mezze misure dichiarato, senza che tuttavia vi sia il minimo dubbio circa la necessità di confermare la prospettiva europea, la quale resta per le compagne e i compagni francesi urgente ed essenziale.
Si tratta certamente di una strada assai stretta, politicamente difficile e tuttavia inderogabile. A guardar bene, è il medesimo difficile cammino ribadito dalla sinistra più consapevole nel Paese oggi più a rischio di implosione: e cioè da Syriza in Grecia. Anche qui, in una congiuntura assolutamente eccezionale, l’opposizione più dura nei confronti delle politiche-capestro sciaguratamente imposte da Bruxelles (e Berlino) si accompagna alla dichiarazione di una mai dismessa volontà di appartenenza al consesso europeo. Ciò significa una cosa molto semplice: non è vero che appartenere all’Europa debba significare adeguarsi ai diktat liberisti (della Commissione europea, della Bce, del Fondo monetario) e accettare supinamente le politiche di austerità. Al contrario, è il dogma dell’attuale establishment – e gli interessi di classe da esso protetti – a imporre il ricatto dell’equazione ‘progetto europeo=dramma sociale’. Una strada alternativa esiste, è l’unica che possa traguardare una prospettiva di dimensione continentale (ancorchè all’insegna di “un’altra Europa”) e occorre far di tutto affinchè sia percorsa. Per questo, occorre a quel livello operare per capovolgere i rapporti di forza.
Il Front de Gauche prova a farlo – nel suo Paese, nella sinistra europea, nel Gue – a partire dai suoi contenuti programmatici. Ciò può avvenire grazie a due opportunità decisive, concretizzatesi nell’ambito dello stesso panorama politico transalpino. La prima è data dall’aver costruito risolutamente una risposta all’ “esigenza di reinventare la sinistra”, poggiando sulla chiarezza dei contenuti e sul protagonismo popolare: “Creando il Front de Gauche, i militanti dei partiti e delle formazioni che lo compongono – ce ne sono ormai sei (Gauche Unitaire, Parti comuniste Français, Parti de Gauche, Convergences et Alternative, Fédération pour une Alternative sociale et écologique, République et Socialisme) – hanno scosso le loro abitudini e si sono uniti per mettersi all’altezza di questo momento eccezionale”. Penso che Il ProgrammaFdG sia lì a testimoniare la scelta di classe e la conseguente idea di un’altra società, profondamente diversa dal capitalismo vigente, quali elementi distintivi del profilo identitario e programmatico assunto dal suddetto raggruppamento politico.
La seconda opportunità è stata offerta dal prevalere di un candidato socialista alla massima carica della Repubblica francese che, nel suo programma, promette tra l’altro di: opporsi “in Europa a quei nostri dirigenti che si sono rassegnati all’austerità e sono stati incapaci di dominare la finanza”, di “riorientare l’Europa rinegoziando il trattato d’austerità” (o Fiscal compact), di costituire in Francia “una banca pubblica di investimento per lo sviluppo delle nostre imprese”, di “modulare l’imposta sulle società a seconda che il beneficio sia reinvestito oppure distribuito agli azionisti”, di “mettere le banche al servizio dell’economia” separando “le attività di credito da quelle legate alla speculazione”, di “riformare la fiscalità, tassando le remunerazioni indecenti del 75% oltre il milione di euro l’anno e ristabilendo l’imposta sulla ricchezza”, di promuovere “una nuova riforma previdenziale, dando a coloro che avranno contribuito per la totalità dei loro anni di servizio il diritto di andare in pensione a 60 anni”, di “lottare contro le discriminazioni e il razzismo”, di “portare alta la voce della Francia nel mondo, rompendo in Africa con pratiche d’altri tempi, sviluppando relazioni con la riva Sud del Mediterraneo e agendo per la pace in Medio Oriente, ritirando le nostre truppe dall’Afghanistan entro il 2012” (citazioni riprese dal programma di François Holland). Certo, non è il programma del Front de Gauche; e non sempre le promesse elettorali si traducono in fatti concreti, una volta poste alla prova del governo e delle presumibili mediazioni che il suo esercizio comporta. Cionondimeno, le suddette opzioni programmatiche sono comprensibilmente bastate per consentire al Front de Gauche di far arrivare a Hollande l’appoggio elettorale al secondo turno delle presidenziali e fornire in questo modo un contributo determinante per il suo successo. Sarà ora compito del Front de Gauche medesimo di vigilare e provare ad ancorare a sinistra l’azione dell’attuale premier.
Chiudo notando che ad oggi nessuna delle due opportunità si è ancora profilata nel nostro Paese. La sinistra di alternativa (comunista, di sinistra, di movimento) non riesce a trovare il bandolo dell’unità (e gli appelli in tal senso, senza un serio approfondimento programmatico proposto e condiviso, temo che siano destinati a lasciare il tempo che trovano). Per altro verso, un Partito Democratico senz’anima e, nonostante la parziale tenuta elettorale, in evidente crisi di identità appoggia un governo di destra, la cui filosofia appare non a caso agli antipodi di quella appena richiamata e contenuta negli obiettivi programmatici del socialista François Hollande. Nel frattempo, il 2013 si avvicina: e forse non siamo ancora fuori tempo massimo.
(Bruno Steri è responsabile dell’Ufficio di Programma di Rifondazione Comunista – FdS)