Auferstanden aus Ruinen: riflessione semiseria su crisi, antispecismo e strategie di marketing
di Alberto Rotondo
Se siete vegani, avete voglia di lasagne e vivete a Catania, dovete prepararvi a un’ impresa ancora più ardua di quella che dovette animare i cavalieri erranti alla ricerca del Santo Graal.
Vi sfinirete in innumerevoli visite ai reparti della pasta delle più gettonate catene della grande distribuzione alimentare, vi concederete una ricerca più minuziosa e “costosa” ai negozietti di generi alimentari “alternativi”, ma il vostro desiderio non verrà esaudito.
Persino il “putiaro” di fiducia, a cui avete chiesto, vi risponderà che il prodotto non è richiesto e che in passato aveva trattato “la tal marca che produceva lasagne senza uova” ma che ci aveva rimesso con i resi; a questo punto, quando pensate ormai di arrendervi, interviene il consiglio dell’amica sapiente: “ Vuoi fare le lasagne? Perché non me l’hai chiesto ? Le uniche lasagne vegan a Catania le vende il Discount tal dei tali (per non fare pubblicità), scatola blu. Mi raccomando, quella rossa contiene lasagne all’uovo”.
Si tratta di una scoperta notevole e non soltanto per il palato.
Condivido il punto di vista dell’attivista e filosofo asiatico-americano John Sambonmatsu nell’interessante intervista rilasciata al blog antispecista Asinus Novus , perché so bene che “il capitalismo è più che felice di vivere con venti milioni di vegani e cinque miliardi di mangiatori di carne”, così come conosco la critica ai pericoli di certe forme di attivismo vegan vittima di quel “pensiero magico”, che pensa di salvare il mondo cambiando la propria dieta. Soltanto con una critica dello specismo come “modo di produzione esistenziale”, una critica che sveli le pesanti conseguenze ambientali, sanitarie e sociali del sistema della zootecnica e dell’agroindustria e della dominante ideologia “carnista” che la sostiene, potremo realmente realizzare degli avanzamenti nella lotta per la liberazione umana e del vivente non umano.
Tuttavia fa un certo effetto constatare come le potenti antenne degli uffici marketing dell’industria della grande distribuzione abbiano captato un mutamento in atto nelle scelte di consumo di larghe fasce di popolazione, e che tale mutamento sia stato colto soprattutto nella filiera distributiva del segmento low cost, l’unica con un volume di affari in forte crescita, nonostante il crollo dei consumi anche alimentari determinato dalla crisi.
Vi sono larghe fasce della popolazione, soprattutto giovanile, che non si rassegnano a un destino no future, ma che, in un percorso non privo di contraddizioni e compromessi, esprimono, spesso inconsapevolmente, una soggettività conflittuale contro il pensiero unico neo-liberista che li invita a non essere choosy, ad adattarsi, a subire una brutale repressione dei loro desideri vitali, attraverso un regolamento sociale della propria esistenza segnato dall’insicurezza e dalla precarietà.
Così le scelte alimentari improntate a un’etica di responsabile empatia con il vivente si fanno largo in una società attraversata da una vera e propria crisi di civiltà, come affermazione sensibile di un’identità accogliente, l’espressione riconoscibile dell’esserci di una generazione che afferma il proprio diritto e il diritto di tutt*, umani e non umani, a vivere una vita libera e dignitosa.
Sembrerebbe che tra le fasce sociali che più subiscono il peso della crisi sia più avvertita l’esigenza di un consumo critico, attento non soltanto ovviamente ai vincoli di spesa di budget sempre più ridotti, ma impegnato orgogliosamente a recuperare spazi di libertà, sottratti ai miraggi di una società dei consumi entrata in una fase di irreversibile crisi.
Il bellissimo inno della DDR, un inno alla pace e alla fratellanza fra i popoli sul testo del poeta comunista e pacifista Johannes Becker, composto negli anni dell’esilio dal proprio paese caduto in preda della tragica follia nazista, si apre con la solenne affermazione Auferstanden aus Ruinen Und der Zufunkt zugewandt, “Risorti dalle rovine e rivolti al futuro”.
Le rovine dell’inno sono le macerie umane e politiche della Germania del secondo dopoguerra, le rovine da cui noi vogliamo risorgere, anche con una serata scherzosamente all’insegna dell’ostalgia nello spirito della famosa commedia Goodbye Lenin e presentando un libro sul “favoloso” mondo dei discount, sono quelle del capitalismo. Il miraggio dei super-store e degli ipermercati, che alla caduta del muro attraeva i giovani tedesco-orientali, che si riversarono ebbri di felicità nella parte occidentale in un’inaudita orgia consumistica, oggi non esiste più, non soltanto per noi comunisti abituati al severo esercizio della critica dell’economia politica, ma per il senso comune del 99% della popolazione, secondo la metafora numerica di OccupyTheWorld.