domenica 10 febbraio 2013
“Se non lavoro non ho dignità”. In memoria di Giuseppe Burgarella
di Domenico Stimolo
Era un gran bel “pezzo” d’uomo Giuseppe Burgarella. A vedere la sua foto colpisce subito il suo volto aperto, lo sguardo fiero, limpido e sincero. Di combattente civile, pervaso dalle fatiche accumulate. Un viso “antico”, di manovratore di mani nel lavoro, guidate dall’arguzia dell’intelletto.
A scorrere l’album del tempo molti identici tratti si ravvisano in altri visi che hanno caratterizzato tanti luoghi simboli della Sicilia, e di tant’ altri siti universali. Del contadino che, sfidando l’ira padronale e dello stato, occupò le terre abbandonate ed incolte dei feudi, in tanti uccisi dalla mafia per lavare l’onta perpetrata. Dell’operaio, delle ferriere, dei cantieri, delle nuove fabbriche ( oggi sparite) che, riballatosi alla frusta del più bieco sfruttamento, si organizzarono per fare comune fronte. Dei minatori, delle miniere di zolfo ormai scomparse, che pativano a mille metri di profondità, assieme agli infanti che venivano utilizzati per infiltrassi negli anfratti più stretti e bui. Degli uomini utilizzati a costruire i nuovi palazzi, specie nelle fasi dei grandi sacchi dell’edilizia isolana; issati, sui ponteggi, a grandi altezze senza sostegni, sfidando le leggi della gravità. Gli uomini dei treni, le enormi torme dei migranti che, per sfuggire alla fame e alla disperazione, abbandonavano famiglie ed affetti per andare in terre assai lontane. Sempre più a nord. Le donne piangevano, si strappavano i capelli, poi si rassegnavano, rinchiudendosi nel dolore di sempre.
Richiedevano tutti, pane, lavoro, diritti e libertà.
Oggi nell’isola la disoccupazione è molto alta, quasi stratosferica. I giovani, come già avvenne allora, partono di nuovo, a frotte. La povertà e le sofferenze prevalgono. Ognuno vive isolato la sofferenza e la sua fame. Le lotte, ormai poche e disarticolate, sbattono contro un enorme muro. Sopra, assiso a gambe larghe, sghignazza l’indifferenza del riccastro e dei laidi manovratori. Se va bene, il licenziato, il disoccupato, si prende il limitato soldo dell’assistenza statale, poi scatta la totale disperazione.
Giuseppe Burgarella – muratore e marmista, fin dalla giovane età, 61 anni, di Guarrato (Trapani), disoccupato da tempo - impiccatosi alcuni giorni addietro, distrutto dal dolore d’essere “ cancellato” dalla società, impegnato nel sindacato della cgil e quindi ancor più “cosciente”, nel suo atto estremo, li rappresenta tutti.
Ha lasciato scritto: “ se non lavoro non ho più dignità”:
La dignità dell’onesto, riguardoso degli altri e degli ultimi senza confine, del lavoratore cosciente di confidare nella sua perizia e nel suo impegno, della scala dei diritti e dei doveri, rispettoso dei principi della legalità e della democrazia, dei valori della Costituzione, duramente conquistati.
Umiliato, nella sua essenza di essere umano, dalle destrezze dei rapaci che hanno fatto piombare il Paese e tanti cittadini nel tetro dell’angoscia, privandoli del minimo essenziale per la sopravvivenza.
Aveva ben chiaro il grave tradimento perpetrato a danno della Costituzione, e di tanti italiani. Dell’art. 1, in specie, ove si sancisce che “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
A fianco al suo corpo, ormai represso, ha lasciato un foglio. Trascritto un lungo elenco. I nominativi dei senza speranza, privi di lavoro, sacrificatosi togliendosi la vita, negli ultimi due anni.
Il foglio era deposto dentro una copia della Costituzione.
“Vola”, messaggero di giustizia, estremo cantore di morte delle bieche diseguaglianze. Amico e compagno dei tanti che, non domi, lottano per un’Italia migliore, a sostegno delle linfe vitali.
Che la terra ti sia dolce e lieve.