martedì 4 giugno 2013

OGM, tra Europa e Monsanto: appunti per una mobilitazione















La clausola di salvaguardia contenuta nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (art.23) ha permesso all’Italia di sospendere l’autorizzazione di messa a coltura di sementi transgeniche.
Su questa base, era stato sospeso anche l’utilizzo di sementi di mais Mon810, su cui pendeva il ricorso di un agricoltore friulano che nel 2001 aveva seminato mais geneticamente modificato; l’Italia aveva inviato a Bruxelles la richiesta di una nuova valutazione del mais OGM della Monsanto sulla base della recente normativa UE sull’autorizzazione degli alimenti e dei mangimi transgenici.
La clausola di salvaguardia permetteva a un Paese membro dell’Unione Europea di limitare o vietare temporaneamente l’uso o la vendita di un prodotto Ogm ritenuto rischioso per la salute o per l’ambiente, ma le regole permettono anche alle aziende biotech di sperimentare i nuovi prodotti per novanta giorni, prima di chiederne la commercializzazione nel mercato unico comunitario, secondo un protocollo predisposto dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
Alcuni giorni fa la Corte di Giustizia Europea ha emesso la sentenza sul caso Mon810, stabilendo che gli agricoltori italiani sono liberi di seminare mais OGM. Nessuna autorizzazione alla semina di OGM iscritti al catalogo comune europeo può essere infatti assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea recita esplicitamente che “la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53”.
Per riassumere, dall’inizio degli anni ’90 l’Europa accetta la circolazione dei risultati delle biotecnologie, emana diverse direttive e decisioni che regolamentano l’immissione sul mercato degli organismi geneticamente modificati, regolamentando anche l’etichettatura dei prodotti contenenti OGM. Nel 1998 Parlamento europeo e Consiglio emanano una direttiva per la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; nel 2003 una Raccomandazione della Commissione tende a garantire la coesistenza delle colture transgeniche, convenzionali e biologiche.
Nessuno invece si occupa di fare rispettare un principio importantissimo contenuto in varie convenzioni sottoscritte a livello mondiale; principio che viene recepito dalla normativa europea e da quella italiana e che quindi ha la stessa valenza di altre regolamentazioni: il principio della partecipazione alle decisioni.
Già nella Direttiva 90/219/CEE del Consiglio del 23 aprile 1990, che stabilisce misure comuni al fine di tutelare la salute e l’ambiente dall’impiego di OGM, l’art. 13 stabilisce che: “ove gli Stati membri lo ritengano appropriato, essi possono prevedere la consultazione di gruppi o del pubblico su ogni aspetto dell’impiego confinato progettato (per impiego confinato si intende ogni operazione nella quale i microrganismi sono modificati geneticamente o nella quale tali microrganismi geneticamente modificati sono messi in coltura, stoccati, utilizzati, trasportati, distrutti o smaltiti e per la quale vengono usate barriere fisiche o una combinazione di barriere fisiche e barriere chimiche e/o biologiche, al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione e con l’ambiente). Ritroviamo questo principio nella dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, scaturita dalla conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo del giugno del 1992; il principio 10 afferma che “il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l'ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nella comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo”.
Sei anni dopo, nel 1998, viene firmata in Danimarca la convenzione di Aarhus, strumento internazionale di fondamentale rilevanza per la sensibilizzazione e il coinvolgimento della società civile sulle tematiche ambientali. Vi aderiscono 39 Stati membri della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e l'Unione Europea: “Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle  informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformità delle disposizioni della presente convenzione (art. 1); Ciascuna Parte stabilisce le disposizioni pratiche e/o le altre disposizioni atte a consentire al pubblico di partecipare all'elaborazione di piani e programmi in materia ambientale in un quadro trasparente ed equo, dopo avergli fornito le informazioni necessarie. L'autorità pubblica competente individua il pubblico ammesso a partecipare, tenendo conto degli obiettivi della presente convenzione. Nella misura opportuna, ciascuna Parte si adopera per consentire al pubblico di partecipare all'elaborazione delle politiche in materia ambientale (art. 7)”. L’Italia è stata uno dei primi paesi a ratificare la Convenzione di Aarhus, il secondo dell'Unione Europea dopo la Danimarca,  con la legge n.108 del 16 marzo 2001.
Il Protocollo di Cartagena, adottato a Montreal il 29 gennaio 2000 ed entrato in vigore nel 2003, ratificato dall’Italia con la Legge 27 del 15 gennaio 2004, è uno strumento normativo internazionale che regolamenta il trasporto e il commercio degli organismi geneticamente modificati. All’ art. 23, sulla sensibilizzazione del pubblico e partecipazione, si stabilisce che le parti:
“1. a) promuovono e favoriscono la sensibilizzazione, l'istruzione e la partecipazione dei cittadini per quanto riguarda il trasferimento, la manipolazione e l'uso sicuri di organismi viventi modificati in relazione alla conservazione e all'uso sostenibile della diversità biologica, tenuto conto anche dei rischi per la salute umana. A tal fine le parti cooperano, come opportuno, con altri Stati ed organismi internazionali;
b) si impegnano a far sì che la sensibilizzazione e l'istruzione dei cittadini includano l'accesso alle informazioni sugli organismi viventi modificati individuati in conformità del presente protocollo e che potrebbero costituire oggetto di importazione.
2. Le parti contraenti, in conformità delle rispettive regole e norme, consultano i cittadini nell'ambito del processo decisionale relativo ad organismi viventi modificati e ne rendono noti i risultati, tutelando la riservatezza delle informazioni in conformità dell'articolo 21.
3. Ciascuna parte contraente si impegna ad informare i rispettivi cittadini circa le modalità di accesso al centro di scambio di informazioni sulla biosicurezza”.
Infine, il Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, e all’art. 9 stabilisce che “i cittadini sono consultati in maniera aperta e trasparente, direttamente o attraverso organi rappresentativi, nel corso dell'elaborazione, della valutazione e della revisione della legislazione alimentare, a meno che l'urgenza della questione non lo permetta”.
Nel 2003 viene emanata la Direttiva 2003/35/CE che prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia
Nella direttiva vengono anche aggiunte le definizioni di “pubblico” (una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone) e di “pubblico interessato”, che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale di cui all'articolo 2, paragrafo 2, o che ha un interesse in tali procedure; nel settembre del 2006 in applicazione di questa direttiva viene emanato il Regolamento 1367/2006;
nel  dicembre 2006, il Consiglio Europeo approva un emendamento alla Convenzione di Aarhus che estende la partecipazione del pubblico alle decisioni riguardanti la diffusione volontaria degli OGM nell'ambiente.
Questa sintesi è un invito a mobilitarci perché siano applicate le disposizioni che impongono di ascoltare i cittadini su piani e programmi in materia ambientale; un passo fondamentale nella battaglia contro gli OGM e per un’agricoltura sana e naturale.

Cinzia Colajanni

testo per il dibattito svoltosi al circolo città futura in occasione del no monsanto day, dopo il videointervento di Vandana Shiva