martedì 31 dicembre 2013

il dominio delle multinazionali del farmaco e l'antropocentrismo capitalista















SULL'ANTROPOCENTRISMO DOGMATICO DI CERTI CRITICI DELL'"ANIMALISMO"

Annamaria Rivera

Come premessa, occorre dire che il caso di “Caterina e la vivisezione” appare come uno scandalo montato ad arte. Si potrebbe sospettare sia una sorta di ritorsione per la vittoria ottenuta con la chiusura di Green Hill, dopo anni di lotte, repressione e manifestazioni, anche di massa. Ricordiamo che a metà luglio il mostruoso allevamento di cani beagle, destinati a esperimenti di ogni genere in tutta Europa, con sede a Montichiari e di proprietà della multinazionale statunitense Marshall Farms Inc., è stato sequestrato e chiuso per decisione della magistratura, che ha incriminato i vertici dell’azienda.
Anche per influenza, come sembra, d’interessi assai corposi, il caso della studentessa gravemente malata, insultata in rete dagli immancabili mentecatti per aver difeso la sperimentazione su animali, è stato artificiosamente gonfiato dai media di ogni tendenza, che ne hanno stravolto il senso e le proporzioni reali, riducendolo a gossip da vacanze di Natale. Nel corso di questa blaterazione scandalistica, che parte da un presupposto indimostrabile – gli autori degli insulti virtuali sarebbero rappresentativi dell’”animalismo” – si sono perse densità e profondità dei dilemmi e della stessa elaborazione teorica dell’antispecismo. La quale ha antecedenti assai illustri: fra tutti basta citare la Scuola di Francoforte.
Pochi sono stati finora i commenti, da parte non antispecista, che si siano misurati con la complessità della questione. Si sa, è tipicamente italiano prendere la parola pubblicamente su qualsiasi tema – e su questo più che su altri – pur non avendone alcuna competenza.
Come prototipo del genere di articoli che si pretendono colti ed equidistanti, ma che scontano una conoscenza approssimativa del dibattito antispecista in partricolare, assumiamo quello del teologo Vito Mancuso: Sull’”antinaturalismo” degli animalisti, apparso il 29 dicembre scorso su La Repubblica e ripreso nella prima pagina di MicroMega online.
Per cominciare: Mancuso dà per scontato che a insultare Caterina Simonsen siano stati “gli animalisti”, mentre la sola cosa certa è che appartengono alla vasta categoria d’ imbecilli che, grazie alla volgarità dilagante e alla caduta dei freni inibitori indotta dalla rete, vomitano insulti contro chicchessia.
Il teologo si rivela alquanto ignaro degli orientamenti, teorie, dibattiti che attraversano il mondo, assai eterogeneo, degli interessati alla sorte dei non umani. Così che, non distinguendo tra zoofili, animalisti, antispecisti, infila tutti nel medesimo calderone. Dà per scontato, per esempio, che ad accomunare gli “animalisti” sia il fatto di “volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo”. E invece vi è una corrente antispecista, perlopiù d’ispirazione anticapitalista, marxista e/o libertaria, che rifiuta di parlare di diritti animali e pone l’accento sui processi di liberazione, riguardanti umani e non umani.
Inoltre, Mancuso attribuisce abusivamente agli “animalisti”, quale tema etico fondamentale che li caratterizzerebbe, la questione violenza/nonviolenza: dilemma serio, ma che, almeno in questo articolo, è trattato in modo discutibile, proiettando sugli altri –gli “animalisti” – una questione che è sì centrale, ma anzitutto nel suo pensiero. Di conseguenza, egli assimila, quali vittime della violenza umana, patate, cipolle, batteri, topi e primati (gli ultimi due non nominati esplicitamente, ma la sperimentazione animale, si sa, ha loro tra le vittime principali).
In realtà, se egli si fosse confrontato con qualche buon saggio, non necessariamente antispecista in senso stretto – per esempio, con L’animale che dunque sono di Jacques Derrida –, saprebbe quali siano le domande principali: gli altri animali sono capaci di gioire, soffrire, comprendere? Non sono forse essi delle singolarità irriducibili?
Altrettanto convenzionale è la concezione mancusiana dei non umani. Non per caso, tra tutti i filosofi che, almeno a partire da Montaigne, si sono posti la questione, egli cita proprio e solo Kant: ovvero colui del quale Theodor W. Adorno ha criticato l’odio e l’avversione per gli animali, e la morale priva di compassione o commiserazione.
Tra i tanti passaggi di questo articolo improntati al senso comune, la frase “A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata” lo è particolarmente. Da lungo tempo studiosi in vari campi, compresi gli etologi, hanno messo in discussione la nozione di istinto, ammettendo che numerose specie animali possiedano intelligenza, sensibilità, intenzionalità, singolarità, capacità di simbolizzazione e di empatia, nonché cultura: intendendo come elemento minimo basilare di quest’ultima l’attitudine a elaborare soluzioni differenziate per risolvere uno stesso problema nel medesimo ambiente.
Inoltre, l’affermazione di Mancuso “L’uomo al contrario [degli altri animali] ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa” è contraddittoria oppure è il frutto di un lapsus grave. Egli, infatti, colloca questa frase dopo un passaggio nel quale scrive: “nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso”. Forse che gli esseri umani “dalla pelle diversa” (diversa da chi?) appartengono a una famiglia altra da quella di Homo Sapiens? En passant, aggiungiamo che il teologo sembra ignorare che certi primati – si pensi   ai bonobo studiati da Frans de Waal – conoscono sentimenti e comportamenti quali altruismo, compassione, empatia, gentilezza, pazienza, sensibilità, perfino moralità, estesi anche al di là della loro specie.
In sostanza, Mancuso ripropone come universale la vecchia dicotomia natura/cultura, tipicamente occidentalocentrica, sconosciuta a tanta parte dell’umanità, che ha elaborato, invece, ontologie e cosmologie fondate sul paradigma della continuità. Questa dicotomia è stata abitualmente articolata in funzione di una serie di antitesi complementari quali innato/acquisito, eredità/ambiente, istinto/intelligenza, spontaneo/artificiale: opposizioni arbitrarie, che discendono da un’ideologia legata a una forma peculiare di razionalità – quella strumentale – che raramente si è interrogata o ha messo in questione il proprio arbitrio o la propria parzialità.
E’ proprio la razionalità strumentale – figlia del cogito cartesiano, a sua volta erede della “filiazione giudaico-cristiana, dunque sacrificalista” – che ha oggi come esito un livello tale di assoggettamento e mercificazione dei non umani che, per citare ancora Derrida,  “qualcuno potrebbe paragonarli ai peggiori genocidi”.
(il manifesto)

ANIMALISTI FANATICI E VIOLENTI - ANALISI TESTUALE DELL'ARTICOLO DI SERRA

Mario Bonica

Già dall'incipit tutto è chiaro. Dichiarazione di principio visibilmente schematica e preconcetta: Caterina è stata massacrata dai “sedicenti” animalisti, secondo quanto “pubblicizzato” a suon di fanfare su tutti i media. Sposto le virgolette dal termine animalisti a quello di sedicenti non a caso: Serra premette l’attributo sedicenti alla fatidica parola animalisti virgolettata, quasi a sottolineare la motivazione della sua solidarietà immediata a santa Caterina martire della cattiveria e della violenza dei sedicenti animalisti, che, come scopriremo con chiarezza qualche rigo dopo, sono tutti fanatici e violenti, fatta eccezione di quei pochi animalisti non estremisti… che sarebbero ovviamente quelli che amano i cani e i gatti, mangiano i maiali e indossano le mucche (come direbbe Melanie Joy)… Chi siano costoro, a scanso d’equivoci, Serra ce lo dice chiaramente quasi alla fine dell’articolo (sia pur tra parentesi, per attutire lo spessore ideologico dell’inciso): sono gli amici di slow-food, quelli dei prosciutti doc e degli allevamenti biologici, i sostenitori dell’uccisione etica e della reificazione degli esseri senzienti in merce “carne”, in quanto da fanatici moderati dello specismo negano senza ombra di dubbio che gli animali siano soggetti portatori di individualità e di diritti. Ovviamente per Serra Michele fanatico moderato dello specismo non esiste alcun dubbio che di Caterine malate come la studentessa veterinaria bolognese ce ne stanno decine e decine in giro per l’Italia, magari ricercatrici pronte a testimoniare l’esistenza di metodi di ricerca alternativi, alle quali nessun media ha dato voce fino a farlo diventare un caso nazionale. E qui davvero non si sa se ridere o se piangere: il termine “veterinaria” diviene una testimonianza di verità (non un dettaglio!), sufficiente a dimostrare che Caterina santa e martire ha ragione ad affermare che la sperimentazione sugli animali è indispensabile a salvare gli umani malati di immunodeficienza… in parole povere, mors tua vita mea!
L’unica domanda che Serra Michele riesce a porre (a se stesso) in questo contesto di miseria intellettuale è una affermazione di principio travestita ipocritamente da domanda retorica: ma perché tra i fanatici incapaci di affrontare qualunque discussione, i sedicenti animalisti occupino un posto così rilevante? Ovvero, tra tutti i fanatici del mondo, gli animalisti (sedicenti o non sedicenti) sono i più fanatici pericolosi, anche perché nella loro brutalità non sono in grado di comprendere la complessità della natura, che non è schematica né ideologica. E a questo punto si può tranquillamente sfoderare il manganello ideologico finale contro i portavoce più fanatici (ancora!) e sprovveduti del sedicente (ancora!) animalismo: quando Serra Michele li sente parlare non può fare a meno di pensare che costoro stiano creando nient’altro che un orribile tabù retrogrado e irrazionale, evidentemente da combattere e ostacolare in tutti i modi possibili, anche scrivendo articoli in cui domande retoriche e dichiarazioni di principio senza costrutto facciano entrare nella zucca del lettore già ben manipolata dai media che gli attributi da associare al termine animalismo sono, secondo il senso comune, fanatico, schematico, estremista. Un plauso al Serra Michele per il servizio reso ai sostenitori della vivisezione e delle multinazionali del farmaco e della carne, ovvero quegli “allevamenti intensivi” che lui sostiene di voler boicottare… ma senza esagerare!


sabato 14 dicembre 2013

rassegna cinemArte, speciale Derek Jarman










dopo cineletterario, una nuova rassegna dedicata all'arte e accompagnata da té, tisane e dolci, per una domenica pomeriggio di cultura e convivialità

domenica 15 dicembre ore 17,30
CARAVAGGIO
capolavoro del poliedrico cineasta
e artista Derek Jarman

domenica 22 dicembre ore 17,30
CARRINGTON
Emma Thompson interpreta l’artista Dora
nel fermento del circolo di Bloomsbury

venerdì 10 gennaio ore 18,30
THE GARDEN
a grande richiesta un altro capolavoro di Derek Jarman
insieme all'AperiCena!

i forconi, l'Europa e "il colpo di stato di banche e governi"






















La settimana dei forconi e` finita.  Abbiamo visto e udito abbastanza per poter dire che le nostre preoccupazioni espresse due anni fa , in occasione del blocco che a gennaio del 2012 causo` gravissimi disagi in tutta la Sicilia, hanno trovato una triste conferma  negli eventi di questi giorni.

Nel gennaio 2012, all`epoca del primo blocco dei forconi in Sicilia,  al governo si era da poco insediato con la benedizione del colle, un commissario della Troika, Mario Monti,  ed era iniziato un rapido processo  di modifica dell`assetto costituzionale  della repubblica italiana. Con l`introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e l`adesione ai trattati internazionali come il Fiscal Compact e il Two Pack che attribuiscono alla Commissione un ruolo di guida nelle politiche di bilancio dei singoli stati membri, il governo e il parlamento  avrebbero accettato di fatto il commissariamento della democrazia. Stava avvenendo quello che Luciano Gallino nel titolo del suo ultimo saggio ha definito il colpo di stato di banche e governi 

In questa settimana, mentre la pronuncia della Corte Costituzionale sull`illegittimita` della legge elettorale e l`elezione del rampante sindaco di Firenze a segretario del PD  introducevano elementi potenzialmente destabilizzatori  dell`attuale quadro politico, il governo Letta – Alfano nella nuova versione deberlusconizzata era atteso al voto di fiducia in parlamento.

E` questo il contesto in cui da Torino, a Milano, dalla Puglia al Veneto e` stato consentito  a pochi gruppi organizzati di ultras e di neofascisti  - che hanno trovato qui e la` il sostegno di comitati di protesta locali, come quello degli ambulanti di Torino  portatori di istanze di carattere sostanzialmente corporativo - di intimidire piccoli commercianti, bruciare libri, assaltare camere del lavoro...

Questa volta la Sicilia e` stata solo lambita dalla protesta . Non poteva  essere altrimenti, il 6 dicembre Giuseppe Castiglione da Bronte  poteva esprimere la sua piu` viva “soddisfazione per l`atteggiamento costruttivo di Aias e Forza d`Urto”, le inquietanti sigle degli autotrasportatori siciliani, che avevano annunciato la revoca dell`adesione ai blocchi . Tranquilli, Richichi e Ercolano non sarebbero stati della partita. Ma questo fatto non fa che accrescere i dubbi sulle modalita` con cui il ministro dell`interno Alfano ha gestito questa crisi: non poteva certo permettersi di perdere consenso nel suo feudo elettorale, la Sicilia che era stata letteralmente messa in ginocchio dalla protesta di due anni fa. Cosi` mentre in Sicilia le prefetture annunciavano la linea della tolleranza zero ai blocchi, a Torino avrebbero aspettato tre lunghissimi giorni prima di attuare gli sgomberi.

Nel frattempo Letta ha  potuto proporsi all`opinione pubblica come unico argine contro il caos, mentre il capo del principale partito d`opposizione lanciava appelli ai limiti dell`eversione ai capi delle forze armate, perche` si unissero alla “protesta del popolo”.

Mentre davanti ai nostri occhi si svolgevano questi fatti ,  tra oscure incursioni mediatiche di noti e meno noti personaggi del neofascismo italiano e dei servizi piu` o meno deviati e simpatizzanti quanto surreali cronache della stampa e delle televisioni , si e` notata drammaticamente in Italia un` assenza. L`assenza  di una sinistra forte, autorevole e unita che,  nel rivendicare le ragioni della democrazia e dell`antifascismo, ponesse un argine alle pericolose derive populiste e ai segnali successivi del governo, che ha gia` annunciato  una  svolta nei meccanismi di gestione e  repressione del conflitto sociale.

Da una parte  Vendola, con  interventi al congresso socialista e ammiccamenti al nuovo leader democratico Matteo Renzi, sta conducendo il suo partito, Sinistra Ecologia e Liberta`,  verso un`ipotesi di accordo con il centrosinistra di governo, dall`altra il Partito della Rifondazione Comunista, a  dieci mesi dalla sconfitta elettorale di Rivoluzione Civile,  ha addirittura per la prima volta concluso un congresso senza che fosse eletto un segretario/segretaria  e una segreteria all`altezza del nuovo mutato scenario e delle drammatiche sfide che comporta. Ha prevalso, ancora una volta, la deleteria tendenza all`autoconservazione e all`autoreferenzialita` di un partito, che rischia di morire di settarismo e incapacita` di promuovere un autentico rinnovamento, nelle pratiche e nella composizione dei suoi gruppi dirigenti.

Oggi si tiene a Madrid la giornata conclusiva del congresso del Partito della Sinistra Europea, con la prevista candidatura comune di Alexis Tsipras alla guida della Commissione Europea. Oggi nasce in Europa un fronte comune di forze politiche e sociali, un fronte di opposizione alla Troika e alle politiche di austerita` e di strenuo contrasto alla retorica qualunquista che sta ingrossando dappertutto le fila del neofascimo.

Protagonisti  di questo congresso  sono soprattutto i/le compagni/e spagnoli/e di Izquierda Unida, del Front de Gauche francese, della Linke tedesca e soprattutto i/le compagni/e di Syriza, una forza autenticamente popolare e anticapitalista. In italia siamo ai balbettii di una sinistra incapace di leggere il presente e di organizzarsi per il futuro.

Come ha drammaticamente scritto Marco Revelli, “troppo vol­gare è stato l’esodo della sini­stra, di tutte le sini­stre, dai luo­ghi della vita. E forse, come nella Ger­ma­nia dei primi anni Trenta, saranno solo i lin­guaggi gut­tu­rali di nuovi bar­bari a incon­trare l’ascolto di que­sta nuova plebe”. Speriamo davvero che questa lugubre profezia non si avveri.

mercoledì 11 dicembre 2013

Prosciutti falsi e maiali veri. Il lato perverso della difesa del made in Italy, di Annamaria Rivera


















Ora che si è spenta la protesta della Coldiretti contro “i falsi prosciutti”, provo a proporre un punto di vista che non sia ottusamente specista come quello che è prevalso, unanime, in occasione delle due manifestazioni di coltivatori e allevatori: il 4 dicembre al valico del Brennero e il giorno dopo davanti a Montecitorio.

Per la Coldiretti, per gran parte dei giornali, per lo stesso Carlo Petrini di Slow Food (v. intervista sul manifesto del 5 dicembre), non v’è dubbio che i maiali siano materia prima al pari dei minerali, dei metalli, del legname o, se vogliamo, delle spighe di grano. Che appartengano, insomma, alla categoria del grezzo originario, per usare una formula sinonimica.

Continuano a esserlo anche allorché, nel corso della manifestazione in piazza Montecitorio, compaiono, vivi e vegeti, otto “porcellini” portati dagli allevatori per offrirli “provocatoriamente” in adozione alle istituzioni. Qui la materia prima diviene degna non solo del vezzeggiativo, ma anche di carezze –si tratta pur sempre di cuccioli- da parte degli stessi della Coldiretti. Perfino d’essere adottata, sebbene, dobbiamo ammetterlo, sia raro che si adotti un essere vivente al fine di massacrarlo.

La schizofrenia si materializza oscenamente quando, a poca distanza dagli otto lattonzoli -disorientati, intirizziti, forse terrorizzati- dal palco vengono mostrate cosce di maiale “contraffatte” in quanto made in Germany. Come a consolare i maialini: sì, è il destino che vi attende, ma siate orgogliosi, voi che diventerete invece autentici prosciutti made in Italy.

E’ questo il solo scandalo: che non si sappia da dove venga la merce e dove sia prodotta. Scandaloso non è che, in Italia come altrove, animali tra i più intelligenti, sensibili, evoluti, con competenze nel gioco superiori a quelle di un bambino di tre anni, siano spesso allevati in condizioni da lager, sottoposti a sevizie e torture, infine appesi a testa in giù e sgozzati: in alcuni casi ancora coscienti non solo durante il dissanguamento, ma anche allorché vengono immersi in vasche di acqua bollente per essere spellati più facilmente. Di che indignarsi? E’ la logica della catena di smontaggio, bellezza: il ritmo è talmente frenetico che non si può certo andare per il sottile.

Lo stesso giorno in cui riferiva della manifestazione davanti a Montecitorio, Repubblica.it ospitava un servizio dai toni patetici, corredato con foto commoventi, sulla tragica sorte del maialino Ettore: sfuggito alla donna che si prendeva cura di lui come di altri pets (Ettore coabitava con dei cani), le viene restituito, tagliato a pezzi, da una squadra di vigili del fuoco che intendeva farne banchetto, dopo averlo, si dice, anche catturato e ucciso.

Se si prova a ragionare secondo logica ed etica, la domanda sorge ovvia: forse che il misfatto dei pompieri è più grave di quello di un qualsiasi allevatore di suini o produttore di salumi? In realtà, se si esercita senso critico, apparirà paradossale che individui appartenenti alla famiglia del Sus domesticus possano essere oggetto di attenzione, finanche di affetto –e allora sono “maialini” o “porcellini”- ma solo fino a che non sono catturati dal meccanismo della produzione e del mercato, che li trasforma in materia prima e in merce. E’ la conferma della teoria marxiana del feticismo delle merci, il quale non è solo personificazione delle cose, ma anche reificazione dei viventi.

Come mai questa riflessione è estranea anche alle penne meno grezze? Come mai Slow Food, interessata per vocazione alla prospettiva del bioetico, del sinergico, della sostenibilità, non se ne lascia sfiorare? E come mai neanche un cenno alle dure condizioni di lavoro e sfruttamento degli operai, in molti casi immigrati, che lavorano nel settore dell’allevamento o alla catena di smontaggio degli animali da macello oppure alla trasformazione della “materia prima” in salumi? Per fare un solo esempio, il 30 agosto di quest’anno, Mario Orlando, operaio nel salumificio Scarlino di Taurisano (Lecce), finì i suoi giorni stritolato da un’impastatrice.

Come un qualsiasi maiale.

E’ vero, l’agroalimentare è un settore che risente pesantemente della crisi economica. Secondo una ricerca della Coldiretti, in Italia sono state chiuse quasi 140mila fra stalle e aziende, anche a causa della concorrenza sleale “dei prodotti importati dall’estero e spacciati per made in Italy”.

Ma non sarà che le difficoltà a fronteggiare la crisi siano dovute anche a scarsa capacità d’innovazione?

Com’è noto, nei paesi occidentali, perfino negli Stati Uniti, il consumo di carne è in netta regressione. Cambiano gli stili alimentari, non solo a causa della crisi, e progressivamente si afferma il costume di mangiare vegetariano o vegano. Anche per questo il mercato va restringendosi. E spesso per ridurre i costi di produzione s’intensifica lo sfruttamento dei lavoratori, fino all’instaurazione di rapporti di tipo servile, se non schiavile.

E allora a risolvere il problema non basta la richiesta di un’efficace normativa sulla tracciabilità dei prodotti alimentari. Si dovrebbe guardare lontano, essere capaci di un radicale cambiamento di prospettiva così da concepire produzioni che salvaguardino la vita di umani e non umani.

Si sa: per mantenere gli allevamenti industriali, si utilizza più della metà dei cereali e della soia che si producono nel mondo, sottraendola a popolazioni sottoalimentate o ridotte alla fame (almeno un miliardo di persone). Ammettere che gli animali non umani non sono materie prime o merci, bensì soggetti di vita senziente, emotiva e cognitiva, significa anche porsi nella direzione di un progetto economico, sociale e culturale che abbia come cardini la sobrietà, la redistribuzione delle risorse su scala mondiale, l’uguaglianza economica e sociale, in definitiva il superamento dell’ordine capitalistico.

Annamaria Rivera, da il manifesto

domenica 1 dicembre 2013

PUA Catania come la TAV, inutile e pericolosa speculazione
















Il 25 novembre  il  consiglio comunale di Catania con 23 voti a favore e 1 solo astenuto,  ha approvato le variazioni al Piano Urbanistico Attuativo Catania Sud (PUA), compiendo un ulteriore passo verso  il definitivo via libera al progetto della società Stella Polare, che prevede la cementificazione selvaggia di una consistente fascia costiera del territorio comunale.
A nulla sono servite le deduzioni presentate da Legambiente e dal Comitato No Pua, che segnalavano il forte impatto ambientale del progetto che, se attuato, comporterà la realizzazione di campi da tennis, centri commerciali,  un mega centro congressuale da 5000 posti e addirittura un acquario ancora più grande di quello di Genova in un`area a forte rischio idrogeologico e sismico, come segnalato dall`Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

Una propaganda martellante degli organi di informazione, con in prima fila il principale quotidiano cittadino, che si distingue sempre per il sostegno a questo tipo di operazioni, ci mette di fronte all’ennesimo tentativo di mistificazione della realtà, visto all`opera mille volte quando si tratta di far approvare progetti di opere faraoniche che, mentre devastano e sottraggono all`utilità comune ettari ed ettari di territorio non apportano alcun beneficio di ordine economico e occupazionale alle comunità che li abitano.

Abbiamo già visto all`opera i mistificatori di professione in Val di Susa  con la TAV , “un'opera concepita e progettata in un altro tempo (gli anni '90 del turbo-capitalismo trionfante) e in un altro mondo (quello della globalizzazione mercantile e dell'interconnessione sistemica di un pianeta votato al benessere). Sulla base di previsioni di crescita dei flussi di traffico fuori misura e tendenzialmente illimitate, frutto dell'estrapolazione di un trend contingente ed eccezionale (i tardi anni '80 e i primi anni '90, quando effettivamente la circolazione internazionale e a medio-lungo raggio delle merci subì una brusca accelerazione), rivelatesi poi fallaci” . Sulla base di quelle previsioni , come ha denunciato Marco Revelli in un intervento di pochi anni fa, nel 1997 si ipotizzava un raddoppio delle 10 milioni di tonnellate di merci transitate sulla Torino – Modane in quell`anno, rendendo necessario quindi un aumento della capacità delle linee ferroviarie attualmente in funzione. La realtà è profondamente diversa e ci mostra, come conseguenza della crisi economica, un drastico ridimensionamento dei traffici commerciali tra l`Italia e la Francia, con linee ferroviarie utilizzate al 30% della loro capacità e l`inequivocabile inutilità della TAV.

La stessa cosa si può dire del mega progetto del PUA.  Si prendano per esempio le conclusioni del Rapporto sul Turismo 2012, presentato dall`Osservatorio Nazionale sul Turismo e dalla Banca d`Italia elaborando le statistiche ufficiali dell`ISTAT. Secondo il citato rapporto, in un contesto globale che vede, anche nel settore turistico, la prepotente ascesa dei paesi c.d. emergenti “tra il 2009 e il 2012 si è assistito ad una forte flessione della domanda turistica degli italiani sia in termini di viaggi effettuati che di pernottamenti.”. Tali dati sono ancora meno lusinghieri  per quanto riguarda il turismo d`affari, segmento  a cui sembrerebbe rivolto il mega progetto del Pua con il suo megacentro congressi, come rileva l`Osservatorio sul Business Travel secondo cui il 2012 èstato un anno di fortissime perdite con 1,1 milioni di viaggi in meno nel territorio nazionale.

Stando così le cose  difficilmente si troverebbero privati interessati all`investimento da 500 milioni di euro che rischia di stravolgere il volto delle nostre coste, a meno che non vi siano oscuri interessi che facciano passare in secondo piano le sicure perdite in conto economico che da tale investimento sballato indubbiamente deriverebbero. Ai lavoratori edili colpiti dalla crisi gioverebbe molto di più un piano straordinario per la messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici esistenti, pubblici e privati,  a grave rischio sismico e idrogeologico, mentre per il rilancio turistico della città occorrerebbe una strategia che intensifichi le sinergie fra i piccoli operatori economici, come i titolari dei tanti Bed&Breakfast cittadini, e un`amministrazione attenta alla valorizzazione dell`immenso patrimonio artistico della città e ad un`offerta culturale all`altezza della sua storia bimillenaria.
Ma per questo ci vorrebbero amministratori lungimiranti, non una politica compiacente e complice degli interessi  degli speculatori immobiliari.

circolo città futura

giovedì 28 novembre 2013

violenza sessista: né rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità
















di Annamaria Rivera

Ora che il femicidio e il femminicidio hanno guadagnato l’attenzione dei media e delle istituzioni, il rischio è che, costituendo un tema in voga, la violenza di genere sia usata per vendere, fare notizia, sollecitare il voyeurismo del pubblico maschile. Un secondo rischio, già ben visibile, è che la denuncia e l’analisi siano assorbite, quindi depotenziate e banalizzate, da un discorso pubblico – mediatico, istituzionale, ma anche ad opera di “esperti/e” –, costellato di cliché, stereotipi, luoghi comuni, più o meno grossolani. Proviamo a smontarne alcuni, adesso che, spentisi i riflettori sulla Giornata internazionale contro la violenza di genere, anche la logorrea si è un po’ smorzata.

Anzitutto: la violenza di genere non è un rigurgito dell’arcaico o un’anomalia della modernità. Sebbene erediti credenze, pregiudizi, strutture, mitologie proprie di sistemi patriarcali, è un fenomeno intrinseco al nostro tempo e al nostro ordine sociale ed economico. E comunque è del tutto trasversale, presente com’è in paesi detti avanzati e in altri detti arretrati, fra classi sociali le più disparate, in ambienti colti e incolti.

Del tutto infondato è il dogma secondo il quale la modernità occidentale sarebbe caratterizzata da un progresso assoluto e indiscutibile nelle relazioni tra i generi, mentre a essere immersi/e nelle tenebre del patriarcato sarebbero gli altri/le altre. Per riferire dati ben noti, nell’ultimo rapporto (2013) sul Gender Gap del World Economic Forum, su 136 paesi di tutti i continenti, le Filippine figurano al 5° posto su scala mondiale per parità tra i generi (dopo Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia), mentre l’Italia è solo al 71°, dopo la Cina e la Romania e in controtendenza rispetto alla maggior parte dei paesi europei.

Eppure non sempre c’è un rapporto inversamente proporzionale tra la conquista della parità di genere e la violenza sessista. Esemplare è il caso della Svezia (ma anche, in diversa misura, della Danimarca, Finlandia, Norvegia). Questo paese, da sempre in prima linea nel garantire la parità fra i generi, tanto da occupare, come si è detto, il 4° posto su 136 paesi, registra un numero crescente di stupri: negli ultimi vent’anni si sono quadruplicati, al punto da interessare una donna svedese su quattro. Ciò dipende non solo dal fatto che il numero di denunce sia aumentato rapidamente quale effetto di una crescente consapevolezza femminile, ma anche da un reale incremento dei casi.

Ancora a proposito dell’Europa e volendo fare un riferimento ormai storico, si può ricordare che un paese come la Jugoslavia, il quale all’epoca si distingueva per un livello alto di emancipazione femminile, di sicuro più elevato che nell’Italia di allora, ha conosciuto nel corso della guerra civile l’orrore degli stupri etnici. Il pene usato come arma per colpire i nemici attraverso i corpi femminili mostra, fra l’altro, la continuità tra l’odio e la violenza “etnici” e la violazione delle donne, finalizzata al loro annientamento: lo stupro nasconde sempre un desiderio o una volontà di colpire l’identità e l’integrità della persona-donna.

Ci sono ragioni varie e complesse che possono spiegare come mai in società “avanzate”, avanzi pure il numero di stupri e femicidi. Per citarne una: non tutti gli uomini sono in grado o disposti ad accettare i cambiamenti che investono i ruoli e la condizione femminile, che anzi spesso sono vissuti come minaccia alla propria virilità o al proprio “diritto” al possesso se non al dominio. La narrazione della virilità è divenuta oggi meno credibile che in passato. E molti uomini appaiono spaventati dalle rappresentazioni e dalle immagini dell’intraprendenza, anche sessuale, delle donne (più che dalla realtà di una loro autonomia effettiva, almeno in Italia, dove è alquanto debole). Questa inadeguatezza della società (maschile) si riflette anche nelle prassi delle istituzioni rispetto alla violenza di genere, spesso tardive e/o inadeguate. Per esempio, in molti casi che hanno come esito il femicidio, le vittime avevano denunciato più volte i loro persecutori.

Tutto questo per dire che il sadismo, la volontà di reificare e/o annientare le donne e gli altri sono all’opera dentro le nostre stesse società, in forme più o meno latenti, finché certe condizioni non ne rendono possibili le manifestazioni palesi. Il sistema di dominazione e appropriazione delle donne (per usare il concetto-chiave della sociologa femminista Colette Guillaumin) tende a colpire – con lo stupro o il femicidio – non solo le estranee o quelle che, come in Jugoslavia, sono state alterizzate e nemicizzate, ma anche le donne con le quali s’intrattengono relazioni d’intimità o prossimità. Basta dire che, su scala globale, il 40% delle donne uccise lo sono state da un uomo a loro vicino. E, per riferirci ancora all’Europa, secondo le Nazioni Unite la metà delle donne assassinate tra il 2008 e il 2010 lo sono state da persone cui erano legate da qualche relazione stretta (per gli uomini lo stesso dato scende al 15%).

Per tutto ciò che abbiamo detto finora, conviene diffidare degli schemi evoluzionisti e dei facili ottimismi progressisti: il pregiudizio, la dominazione e/o la discriminazione in base al genere – come quelli in base alla “razza”, alla classe, all’orientamento sessuale – non sono necessariamente residuo arcaico del passato, segno di arretratezza o di modernità incompiuta, destinato a dissolversi presto. Sono piuttosto tratti che appartengono intrinsecamente e strutturalmente anche alla tarda modernità; o forse dovremmo precisare alla modernità decadente. Per dirla nei termini delle curatrici de “Il lato oscuro degli uomini”, un libro prezioso, appena pubblicato nella collana “sessismoerazzismo” dell’Ediesse, la violenza maschile contro le donne è sia “prodotto dell’ordine patriarcale”, sia “frutto delle moderne trasformazioni delle relazioni fra donne e uomini” (p. 33).

Secondo un altro luogo comune corrente, per contrastare e superare la violenza di genere sarebbe sufficiente un cambiamento culturale, tale da archiviare finalmente i residui della cultura patriarcale e di tradizioni retrive. Una pia illusione: la Svezia può dirsi forse un paese dominato da cultura patriarcale? Insomma, se è vero che la violenza di genere è un fenomeno strutturale, come si ammette, essa è incardinata in dimensioni molteplici. Per dirla in modo succinto, il dominio maschile ha una matrice culturale e simbolica, certamente, ma anche assai materiale. Se ci limitiamo al caso italiano, il neoliberismo, la crisi del Welfare State, l’esaltazione del modello del libero mercato, le privatizzazioni, poi la crisi economica e le politiche di austerità hanno significato per le donne arretramento in molti campi. E arretramento significa perdita di autonomia, dunque incertezza di sé, maggiore subalternità e vulnerabilità.

Certo, in Italia, un contributo rilevante alla reificazione-mercificazione dei corpi femminili lo ha dato la televisione, in particolare quella berlusconiana. Per lo più volgare, sessista, razzista, è stata ed è elemento cruciale dell’offensiva contro le donne e le loro pretese di uguaglianza, autonomia, liberazione. Essa ha finito per condizionare non solo il linguaggio dei politici, sempre più apertamente sessista, ma la stessa struttura del potere politico e delle istituzioni. Per non dire dell’uso dei corpi femminili come tangenti: merci di scambio di un sistema di corruzione ampio e profondo a tal punto da essere divenuto sistema di governo. Ed è innegabile che oggi in Italia vi sia una notevole complicità della società, delle istituzioni, dell’opinione pubblica, perfino di una parte della popolazione femminile rispetto a un tale immaginario e a un simile utilizzo dei corpi femminili.

E allora non c’è niente da fare? Tutt’altro. Ma la questione va declinata anzitutto in termini politici. A salvarci non sarà il recente provvedimento – tipica misura da larghe intese – che affronta il tema della violenza maschile in termini tutti emergenziali (e accanto a misure repressive contro il “terrorismo” dei NoTav, i furti di rame e cose simili). E neppure possiamo illuderci che l’attenzione riservata a questo tema dalle istituzioni e dai media mainstream rappresenti un avanzamento certo e irreversibile. Né compete principalmente alle donne la cura (ancora una volta!) del “lato oscuro degli uomini”. A noi tutte spetta, invece, contribuire a ricostruire una soggettività collettiva libera, combattiva, consapevole della propria autonomia e determinazione. E tale da sabotare l’esercizio del dominio maschile, su qualunque scala e in qualunque ambito si manifesti.


lunedì 18 novembre 2013

italo calvino: l'arte, la musica, l'impegno - incontro, concerto e cena veg letteraria










SABATO 7 DICEMBRE, dalle 20, al circolo città futura (via Gargano 37 Catania), a conclusione del ciclo di eventi dedicati ad Italo Calvino, per il suo 90° anniversario:
-PERCORSI TRA ARTE, MUSICA E IMPEGNO nell'opera del grande intellettuale, interventi di Anna Di Salvo (Città Felice Catania) e Alberto Rotondo (circolo città futura).
-CANTACRONACHE SPERIMENTALE, Gregorio Lui interpreta le canzoni di Calvino.
-LE CITTA' INVISIBILI E ALTRE STORIE, personale fotografica di Alberta Dionisi.
-CENA VEG LETTERARIA "I LUOGHI DI CALVINO, DA CUBA ALLA TOSCANA".