sabato 29 ottobre 2011

continua la mobilitazione contro il MUOS!



















La manifestazione di oggi rappresenta un’importante risposta contro l’assurdo progetto della costruzione del MUOS.
Siamo determinati, da domani, a continuare e intensificare la mobilitazione.
La lotta contro il MUOS deve divenire un impegno centrale per tutte le forze che si battono per la pace e per uno sviluppo sostenibile.
La Sicilia ha già pagato un prezzo altissimo alla subordinazione delle classi dirigenti del paese alle strategie delle gerarchie militari degli Stati Uniti.
E’ ora, quindi, di porre termine a un processo di militarizzazione che ha trasformato la nostra isola in una piattaforma armata a guardia degli interessi degli USA nel Mediterraneo, devastando il territorio ed esponendo la salute e la sicurezza d’intere popolazioni a rischi gravissimi.
La costruzione del MUOS deve essere fermata per garantire i diritti degli abitanti di Niscemi e dei centri vicini ma anche per iniziare a costruire un nuovo ruolo di pace e cooperazione per la nostra terra.

Luca Cangemi,  coordinamento nazionale della federazione della sinistra.

"non si può smantellare la casa del padrone con gli stessi attrezzi del padrone"

















Le grandi mobilitazioni globali degli ultimi mesi hanno messo in campo una critica radicale del dominio neoliberista opponendo, alla dittatura dei mercati e alla violenza della crisi del “capitalismo in crisi”, i temi rivoluzionari della cancellazione del debito e della costruzione di nuove forme di democrazia.

L’occupazione delle piazze con i propri corpi e le proprie storie, di precarietà ed “indignazione”, ma anche di gioia della condivisione e desiderio di trasformazione sociale, è il germoglio da cui può irrompere un’enorme forza anticapitalista, capace di ricostruire strumenti critici con cui decostruire il pensiero unico e di mettere in campo pratiche politiche radicalmente alternative a quelle delle classi dominanti.

Non è possibile “smantellare la casa del padrone, utilizzando gli stessi attrezzi del padrone”, scriveva Audre Lorde, militante femminista afroamericana. Non è possibile smantellare, con sua stessa violenza, il dominio violento del capitalismo, che esprime la sua logica brutale nella riduzione a merce di ogni cosa e di ogni essere vivente umano e non umano, come accade a migliaia di donne e uomini migranti, deportati e privati di ogni dignità, e a milioni di animali sfruttati e condannati da un sistema perverso, che priva di risorse alimentari ed impoverisce sempre più i popoli del Sud del mondo per imbandire le tavole dei ricchi e fomentare il consumo compulsivo negli ipermercati e nei fast food.

Impedire di occupare il proprio spazio politico, come è accaduto il 15 ottobre a Roma, a centinaia di migliaia di corpi – tra cui bambini/e, disabili, anziani/e, giovanissimi/e – portatori sani dell’inestirpabile germe di una radicale istanza trasformatrice, ha il segno di quella stessa reificazione, della riduzione di ogni soggettività a merce, di valore persino inferiore a quello di un’auto bruciata.

Nelle violenze dei riots leggiamo il segno indelebile della colonizzazione dell’immaginario di un segmento generazionale da parte della pervasiva e strisciante ideologia capitalistica che, attraverso la socializzazione mediatica globale – dai reality ai videogames alla pubblicità come istigazione al consumo compulsivo – si radica nel senso comune producendo nuove forme di fascismo, a partire dalla costruzione dell’identità come rifiuto di ogni alterità.

I sampietrini di Roma – insieme alle mazze, le bombe, le divise nere e il resto dell’armamentario squadrista – sono l’esatto opposto dei sassi scagliati dai ragazzini palestinesi dell’Intifada contro i carri armati israeliani, per tentare disperatamente di impedire la demolizione delle proprie case e le deportazioni, e per difendere gli scioperi e le iniziative di disobbedienza civile.

Nell’immaginario colonizzato dei riots non c’è traccia della memoria dei movimenti di liberazione dei popoli, della Resistenza Partigiana e delle lotte popolari: le mobilitazioni dei braccianti, nel dopoguerra, ci hanno insegnato che al potere economico e mafioso fa più paura la coraggiosa pratica politica dell’occupazione pacifica delle terre per lavorarle, strappandole all’oligarchia latifondista, e che le manifestazioni sono la conquista di uno spazio politico da parte di donne, uomini, bambini e anche dei muli, compagni nella fatica dei campi.

L’esperienza del movimento delle donne ci ha insegnato a sperimentare pratiche politiche dirompenti attraverso la forza dei nostri corpi e delle nostre soggettività, basti ricordare le mobilitazioni a Comiso, negli anni ottanta, in cui donne di tutta Europa, forti di una riflessione radicale sul patriarcato e la sua violenza, bloccavano con azioni nonviolente l’impianto dei missili nucleari Nato.

Negli ultimi venti anni, il percorso di rifondazione comunista ha intrecciato queste pratiche, ha tessuto un filo che tiene insieme le lotte operaie e i movimenti delle donne e lgbt, le occupazioni studentesche e le istanze dei migranti. In questo percorso, da comuniste e comunisti, siamo, e vogliamo continuare ad essere, soggettività visibili che costruiscono movimenti, lotte e radicamento, che mettono in campo pratiche concrete di resistenza alla crisi e di trasformazione sociale.

Nella situazione attuale, le scelte violente favoriscono il sistema capitalistico. Ci opponiamo ad ogni tentativo di ridurre le enormi potenzialità trasformatrici del movimento ad una messa in scena squadrista; riteniamo la violenza nemica del movimento e funzionale agli interessi del sistema e alle sue logiche repressive. Una presa di posizione che condivida o giustifichi la violenza dei riots è incompatibile con la militanza, e quindi con l’assunzione di incarichi dirigenti, nel partito della rifondazione comunista.

Circolo Città Futura PRC/FdS

venerdì 28 ottobre 2011

tutti uniti contro il Muos: domani manifestazione a Niscemi


















Dichiarazione di Luca Cangemi, del coordinamento nazionale della federazione della sinistra

La manifestazione di sabato 29 ottobre è una necessaria risposta alla drammatica prospettiva dell’installazione del MUOS nel territorio di Niscemi. Deve divenire una questione nazionale la lotta contro questa megastruttura militare, che mette a rischio la salute della popolazione con le sue altissime emissioni elettromagnetiche e devasta l’ambiente.

I diritti dei cittadini di una vasta area della Sicilia sono, infatti, sacrificati da servili governanti, a Roma e Palermo, sull’altare dei piani delle gerarchie militari degli USA.

Noi ci battiamo per un ruolo diverso della Sicilia nel Mediterraneo: un ruolo di pace, cooperazione, accoglienza, unica via per garantire alla nostra isola uno sviluppo giusto ed equilibrato. Per questo si deve impedire l’ulteriore militarizzazione della nostra isola e anzi bisogna recuperare i territori svenduti agli eserciti USA e Nato, da Sigonella a Birgi.

Lavoriamo allo sviluppo di una forte solidarietà intorno alla lotta contro il MUOS come battaglia che riguarda il futuro di tutti.

mercoledì 26 ottobre 2011

intollerabile la situazione dello IACP di Catania






















La città non deve rimanere inerte sull’ormai incancrenita situazione dello IACP. Com’è noto a novembre si deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio del direttore generale sulla cui opera, da anni, sono avanzati, da più parti, rilievi gravissimi. Nonostante tutto ciò, a questa gestione è assicurata un’ingiustificabile continuità. La vicenda non può essere lasciata solo all’accertamento dei fatti in via giudiziaria, che auspichiamo sia rapido ed efficace. I cittadini devono fare sentire la propria voce; deve emergere una forte richiesta di verità e di rinnovamento da parte di una città in cui il problema casa ha dimensioni drammatiche. Il circolo città futura avvia una campagna d’informazione e mobilitazione per chiedere che finalmente possano affermarsi i diritti di quei settori della popolazione che da anni aspettano risposte da un Istituto che invece da anni è asservito a interessi che non sono quelli pubblici.


martedì 25 ottobre 2011

il collettivo LGBTQ IbrideVoci promuove l'HELP LINE TRANS



Per far fronte ad una richiesta di aiuto sempre più diffusa e reale di ragazzi e ragazze transessuali, il collettivo LGBTQ IbrideVoci lancia il servizio di HELP LINE TRANS.
L'obiettivo della linea telefono amico è quello di realizzare uno spazio di ascolto ed informazione con l'intento di aiutare le persone transessuali nell'affrontare le difficili questioni legate alla transizione e all'identità di genere.
Chiama tramite Skype, tutti i lunedì dalle 15,30 alle 16,30: ibridevoci.helpline

giovedì 20 ottobre 2011

la rabbia non è violenza, di Monica Lanfranco












Dieci anni fa, dopo il G 8 di Genova,  si temevano scontri e incidenti  in occasione del Social forum di Firenze (settembre 2001), ma non ci fu violenza.
Sembrava che il dibattito sulle pratiche di piazza potesse evolvere, dentro ai movimenti, elaborando il lutto per la morte di Carlo e per l’occasione perduta di denunciare a mani nude e a volto scoperto la violenza del sistema, rispondendo con la costruttività dell’alternativa, con la fermezza composta dei genitori di Carlo e delle vittime della polizia nel continuare a chiedere verità e giustizia.
Dieci anni nei quali alcune di noi hanno continuato a produrre materiali, a costruire eventi collettivi (ultimo in ordine di tempo Punto G 2011) e a lavorare nella formazione alle pratiche sociali che costruiscono, che curano e non distruggono.
Donne disarmanti, (così chiamammo il testo che ho curato assieme a Maria Di Rienzo), è stato nel 2002 uno dei contributi in questa impresa, assieme al quotidiano agire attraverso le nostre riviste di donne, i blog, i siti, le radio.
Questo lavoro, attento a non cadere nella trappola militarizzante che scatta quando per ‘smantellare la casa del padrone si usano gli stessi attrezzi del padrone’ (per citare Audre Lorde), fatto da studiose e attiviste donne e da pochi uomini in Italia è sempre stato guardato con sospetto, sufficienza, noncuranza (a seconda di chi osservava) anche e soprattutto dentro i movimenti altermondialisti.
La tendenza è stata, (ed è), quella di galleggiare ambiguamente nella nebbia del ‘non mi sento di giudicare’, ‘non mi sento di condannare’, ‘ci sono pratiche diverse e linguaggi diversi’, ‘non bisogna dividere tra buoni e cattivi’, quando si era messi di fronte ad atti  violenti, sia quelli dei blocchi neri o degli antagonisti in varie occasioni.
Come se ci fosse una violenza buona e giusta (quella dei movimenti, che reagiscono) e una cattiva (quello dello stato e della polizia).
La violenza è violenza.
Lo sanno bene le donne, che fino al 1996 in Italia erano vittime di stupro ma ad essere violata era la morale, prima della modifica legislativa che si attendeva da oltre 20 anni: che accadrebbe se la rabbia delle violentate, delle mobbizzate, delle vittime di stalking si mutasse in violenza verso gli uomini? So bene di proporre un paradosso, ma quello che oggi viene celebrato, nei fatti di Roma (e annunciato per domenica in Val Susa) come giusta reazione all’ingiustizia è, nei fatti, un farsi giustizia da soli che non solo non sortisce effetti se non buttare discredito sui movimenti pacifici e fare alzare il livello di repressione e di militarizzazione, ma è anche e soprattutto una non risposta.
E’ l’attivazione della solita tragica vecchia spirale.
Basta con le giustificazioni per  chi viola lo spazio pubblico con  la logica testosteronica militare, organizzata e non. Occorre ammettere che sono state sottovalutate, a sinistra come dentro i movimenti che non si riconoscono nelle politica tradizionale, alcune derive violente nei linguaggio, come nelle forme, così come nei contenuti di frange sempre più numerose di giovani (e non). Ricordo bene le discussioni a proposito dei ‘compagni’ delle tifoserie ultras; se si ascoltano gli slogan di oggi moltissimi sono mutuati, nel ritmo come nei contenuti, (poverissimi) ,proprio da questi ambienti. Come scrive Peacereporter “Gli Indignados italiani hanno perso una grande occasione e ne sono responsabili perché da domani non si parlerà del futuro delle nuove generazioni, della disperazione delle vecchie, ma di una manifestazione con centinaia di migliaia di persone rovinata da un gruppo di criminali vestiti di nero”. Pensiamoci.

Monica Lanfranco - Marea, Genova

mercoledì 19 ottobre 2011

15 ottobre, riflessioni di Annamaria Rivera

foto di Cristiano Pluchino























Dopo quelle dei caroselli in piazza San Giovanni, una delle immagini più impressionanti dell’esito  infelice  del 15 ottobre a Roma è la statua infranta della Madonna che “siede” sullo sfondo di fuochi che ardono lontano. E’ l’emblema perfetto della “guerriglia” (il termine mediatico è abusato, improprio, in fondo nobilitante) che ha devastato non solo la città, ma soprattutto l’imponente manifestazione popolare e le sue sacrosante ragioni, di fatto conculcando il diritto di manifestare a centinaia di migliaia di persone.
Per chi è credente è un atto sacrilego. Per chi non lo è, come chi scrive, quel gesto iconoclasta, in senso letterale, è intollerabile perché inconsapevolmente ripropone la semantica profanatoria – e razzista – del nazismo e del neonazismo, oggi replicata dal leghismo: quella che prende di mira i simboli religiosi degli “altri”, che siano ebrei o musulmani, in tal caso cattolici.
E’ un gesto che racconta molte cose di quel fenomeno multiforme che i media si ostinano a chiamare black bloc e altri liquidano col termine di infiltrati. Racconta anzitutto di un certo analfabetismo, politico e non solo, tale da impedire perfino di scegliere bersagli simbolicamente adeguati a quel che si vuol esprimere col proprio gesto violento. Il 15 ottobre, infatti, sono stati assaltati non solo sportelli bancari o agenzie interinali, ma anche qualche utilitaria pagata a rate, una bottega di prodotti per pets, con gli animali dentro, un negozio che, non avendo meritoriamente aderito alla serrata, aveva dentro dei commessi, oltre tutto lavoratori precari.
Alcuni (Luciano Muhlbauer, per esempio) hanno scritto che gli incappucciati da corteo non sono apolitici, hanno bensì una visione politica che somiglia molto al no future di altre fasi della storia recente. E’ una lettura che descrive solo una parte del mélange, mutevole secondo le occasioni, fra realtà diverse: nel caso del 15 ottobre, alcune centinaia di ultrà da stadio, un buon numero di giovani o giovanissimi – fra i quali una frangia di “disagio sociale”, come si dice –, alcuni frammenti di antagonismo organizzato, perfino una piccola setta ambigua d’incappucciati che si definisce partito.
Politici o no che siano, a me sembra che uno dei tratti che caratterizza buona parte di loro, oltre alla cultura da stadio e alla consuetudine con i videogiochi, è una certa afasia. Che porta a sostituire agli slogan i petardi e i fumogeni, alla comunicazione verbale o gestuale il gusto dell’azione eclatante, non importa se mirata, comprensibile o commisurata agli obiettivi. L’unico davvero centrato, questa volta, è stato lo sbaragliamento di un corteo grandioso che, chissà, forse avrebbe potuto segnare il punto di svolta verso una vera rivolta popolare.
Mentre la battaglia in piazza San Giovanni andava spegnendosi, abbiamo provato a parlare con alcuni di loro, neppure tanto giovani. Non è stato facile, poiché manca il minimo di lessico comune per intendersi. La replica a qualche proposta di ragionamento era un balbettio che andava dal “signora, se ne torni a casa, lei che ha il lavoro e l’appartamento” al “siamo precari per colpa della vostra generazione”, mentre un anziano manifestante protestava che lui sopravvive con novecento euro al mese di pensione, dopo quarant’anni di lavoro e altrettanti, ininterrotti, di lotte.
Certo, sappiamo bene – l’abbiamo imparato dai riots inglesi e dalle rivolte nelle cités francesi – che la messa in scena della violenza è anche uno strumento per rompere il muro della segregazione, rendersi visibili nello spazio pubblico, attirare l’attenzione della politica e dei media: in definitiva, un’auto-attestazione d’identità. E non c’è da scandalizzarsi se l’uccisione del Padre – oggi, in verità, sempre più evanescente – che ha sempre caratterizzato lo stato nascente di ogni rivolta giovanile, ora si esprime  in forme più grezze, e conformi al tempo presente, dominato dalla società dello spettacolo.
La “guerriglia” del 15 ottobre è, infatti, già merce-spettacolo al servizio del mercato dei network, dei media e della politica mainstream, in definitiva del potere. Che ne ha subito approfittato per ridurre ulteriormente gli spazi di democrazia: Alemanno, che non aspettava altro, ha vietato i cortei a Roma nell’area del centro, così che la manifestazione della Fiom del prossimo 21 ottobre sarà confinata, sembra, nella sola piazza della Repubblica; mentre il fiero oppositore Di Pietro, per spararla più grossa, propone addirittura una nuova legge Reale. E Maroni, entusiasta, si accoda.
Se di sicuro non possiamo cavarcela con le invettive e il paternalismo, ancor più dannosa è la retorica della “rabbia giovanile”, della “ribellione indomabile”, della “pulsione sovversiva della gioventù precaria”, retorica che impazza nel web, insieme con le filippiche contro i violenti.  Quel che temiamo è che, non essendo disposti a tornare a casa, come l’anziano pensionato militante, saremo costretti d’ora in poi a scendere in piazza – Alemanno, Maroni e Di Pietro permettendo –  separati per criterio anagrafico: vecchi, adulti, donne e bambini con i giovani che non odiano i vecchi; e i giovani che odiano i vecchi e la Politica a coltivare la loro “pulsione sovversiva”, d’ora in poi ignudi, malgrado le bardature, di fronte alla polizia e al potere. Privi dello scudo delle moltitudini di manifestanti – che finora hanno usato, diciamolo, in modo più che strumentale – potranno dimostrare se la “rabbia giovanile” è davvero indomabile e se è capace di trasformarsi in vera rivolta.

Annamaria Rivera – da il manifesto, 18 ottobre 2010 (versione aggiornata)

la classifica di Legambiente rileva il disastroso governo di Catania

















dichiarazione di Luca Cangemi, del coordinamento nazionale della federazione della sinistra

La bocciatura di Catania nel rapporto annuale di Legambiente sull’ecosistema urbano rileva una realtà disastrosa, assai nota ai cittadini catanesi. Una realtà figlia di scelte caratterizzate dalla prevalenza d’interessi particolari e dall’assenza di ogni progetto coerente di sviluppo sostenibile della città.
In ogni settore, dai rifiuti al traffico, si sono affermate negli anni politiche che non hanno perseguito l’interesse generale e che hanno dissipato risorse economiche e qualità ambientale. Anche i pochi dati apparentemente positivi nascondono una realtà che non lo è per niente. Rileviamo, ad esempio, la grave questione, già da noi denunciata, dei pannelli solari installati sugli edifici comunali in gran numero e poi abbandonati senza manutenzione, con uno spreco vergognoso di risorse.
Ancora una volta viene segnalata ai cittadini catanesi la necessità di una svolta radicale nel governo della città, per fermare un degrado ambientale e civile che si aggrava di giorno in giorno.

domenica 16 ottobre 2011

15 ottobre, alcune ibride riflessioni...

















di Alberto Rotondo

Ho vissuto la giornata di ieri con una drammatica intensità. Frequento da un po’ di tempo Piazza san Giovanni e il quartiere di Piazza Vittorio. E’ un quartiere attraversato dalle storie degli abitanti che vi risiedono, storie che ho sentito, volti che ho imparato a riconoscere fra mille altri.
Quando ho visto le macchine andare a fuoco, ho pensato alla mia amica M. e alla sua abitudine di lasciare la sua sotto casa , che si trova giusto al centro del teatro degli scontri .
Ho pensato all’ “indianino” e al suo negozietto di generi alimentari di via Emanuele Filiberto, alla “tedesca” che da vent’anni vive “accampata” di fronte la basilica di santa Maria Maggiore, un’indignata ante litteram.
Ho pensato anche ai tanti compagni che si trovavano a Roma ed a me stesso, che sarei dovuto partire e non ho potuto, per sopraggiunti impegni personali.
Ho vissuto in maniera forte il senso della profanazione.
Profanazione dei corpi, feriti e oltraggiati dalla logica cieca della violenza, sacrificati sull’altare dello sterile protagonismo di ragazzi frustrati e “annoiati” , che hanno vissuto ieri il loro momento di gloria, e di quei pochi manifestanti che hanno preferito seguire il loro istinto gregario, solidarizzando con la violenza, piuttosto che entrare in connessione con la stragrande maggioranza del corteo, pacifico, non violento e autenticamente alternativo alla violenza del capitalismo finanziario contemporaneo.
Profanazione di luoghi come Piazza San Giovanni, Via Tasso, Piazza Vittorio.
Si tratta di luoghi su cui la storia violenta del secolo passato ha impresso i suoi indelebili segni.
A Palazzo Massimo e alle prigioni di via Tasso vennero deportati e torturati i martiri delle Fosse Ardeatine, il chiostro rinascimentale che li separa è stato tra i primi ad essere occupato dalla gente di Roma, nei giorni festosi della sua liberazione.
Luoghi che hanno saputo preservare la propria tragica recente memoria, per diventare simbolo e testimonianza di una società diversa. Chi ha fatto la spesa al mercato di piazza Vittorio o ha letto Spelix di Annamaria Rivera, sa di cosa sto parlando.
Verrà il tempo della denuncia della regia autoritaria, con cui le forze dell’ordine hanno gestito il “disordine pubblico” di ieri - la polizia ha deliberatamente deciso di portare gli scontri a piazza San Giovanni impedendo la conclusione di una manifestazione immensa e pacifica - ma mi sembra al momento prevalente l’esigenza di riprendere l’iniziativa politica su un terreno diverso, da quello che ha prodotto gli orridi germogli di ieri.
Con una consapevolezza. Da ieri sappiamo che è possibile in questo paese costruire un’opposizione sociale di massa alla globalizzazione neoliberista, la partecipazione alla manifestazione è stata straordinaria.
Vi è la coscienza diffusa che un grande cambiamento è necessario. E su questo punto le nostre idee tornano ad essere egemoni.
La violenza della crisi del “capitalismo in crisi” è in grado di sovvertire gli ordini sociali e politici costituiti.
Gli ultimi trent’anni, gli anni della globalizzazione neo-liberista, hanno visto all’opera un grande tentativo di restaurazione conservatrice: potenti agenti di socializzazione hanno permesso il radicarsi nel senso comune di principi e ideologie, che hanno segnato l’immaginario, e costruito una vasta area di consenso attorno alle istituzioni e al potere dei ceti dominanti.
Oggi sentiamo che un grande cambiamento è in corso: dalla lotta per i beni comuni alla rinascita civile e politica di molte città , fino ad arrivare alla grande mobilitazione di ieri, sembrerebbe confusamente che si stia formando un nuovo senso collettivo,capace di mettere in radicale discussione l’intero impianto ideologico neoliberista.
Ma per fare ciò dovremmo partire da una critica serrata ad ogni forma di lotta violenta. Lasciamo la violenza ai nostri “avversari di classe”e riprendiamo rapidamente la strada della costruzione dell’alternativa!

venerdì 14 ottobre 2011

contro la crisi, GAP città futura: domenica 23 ottobre ricomincia il gruppo di acquisto popolare



domenica 23 ottobre, dalle 10,30 alle 13, in via Gargano, 37 (trav. piazza Iolanda - viale Libertà) Catania, inaugurazione del GAP Città Futura.
 

quest'anno, a partire da domenica 6 novembre, il gruppo d'acquisto popolare si terrà la prima e la terza domenica di ogni mese, con tante novità, come gli ortaggi biologici della cooperativa Archiflora, a chilometro zero e a prezzi popolari, e le confetture di Itinerari di gusto... e, come sempre, pane, vino, olio, formaggi, liquori, mandorle, miele e tanto altro!!


ARCHIFLORA COOPERATIVA SOCIALE
propone al GAP tanti prodotti, tra cui:

aromi da 0,50 centesimi al mazzetto: RUCOLA, PREZZEMOLO, BASILICO, SALVIA, ROSMARINO...

ORTAGGI BIOLOGICI da 1 euro: CAVOLO CAPPUCCIO, MELANZANE, PEPERONI, RAVANELLI, ZUCCHINA SICILIANA, TENERUMI, VERZA, ZUCCA...   
  
POMODORO CONSERVE BIOLOGICHE da 2 euro: PASSATA DI POMODORO (VASO 750CC), PASSATA DI CILIEGINO (BOTTIGLIA 500 CC), PEZZETTONI CILIEGINO (VASETTO 350 CC)   

subito mobilitazione contro il MUOS










Dichiarazione di Luca Cangemi, del coordinamento nazionale della federazione della sinistra

L’esito negativo, presso la prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia del ricorso del comune di Niscemi contro i lavori per l’installazione del MUOS accelera, drammaticamente, la prospettiva della costruzione del mostruoso impianto militare USA, altamente nocivo per la salute della popolazione e devastante per l’ambiente.
Il territorio siciliano sempre di più è trasformato in una gigantesca piattaforma al servizio dei piani di guerra e dominio delle forze statunitensi. Inequivocabile è l’assoluto servilismo dei governi nazionale e regionale rispetto agli ordini dei padroni americani.
La risposta non può che essere quella di un’immediata e forte mobilitazione da tutta la Sicilia e da tutto il paese per impedire la costruzione del MUOS, per salvaguardare il territorio, per affermare una politica di pace e cooperazione.

giovedì 13 ottobre 2011

tarsu: iva illegittima. come chiedere il rimborso






























Una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che la tassa sui rifiuti solidi urbani è di fatto una tassa e non una tariffa; di conseguenza l'IVA finora applicata è illegittima.
Pertanto tutti i cittadini hanno diritto al rimborso del 10% per i 10 anni retroattivi; ma è necessario richiedere il rimborso, anche per bloccare l'iva sulle successive richieste di pagamento, presentando al Comune il modulo qui allegato:

modulo per rimborso iva TARSU

E' solo un piccolo passo nella battaglia contro una tassa che, in particolare a Catania, continua ad essere sempre più iniqua e a cui non corrispondono i dovuti servizi, a cominciare da una reale e diffusa raccolta differenziata dei rifiuti.
Il circolo città futura del PRC/FdS continua ad impegnarsi su questo tema e proporrà nelle prossime settimane una nuova iniziativa sulla TARSU a Catania!

per ricevere altre informazioni o richiedere il modulo in formato word,
contattaci circolocittafutura@gmail.com

martedì 11 ottobre 2011

sabato 15 ottobre giornata internazionale di mobilitazione


Un uomo con la cravatta si presentò in un piccolo paese. Si issò su una panchina e gridò a tutta la popolazione che avrebbe comprato in contanti, per 100 euro l'uno, ogni asino che gli fosse stato presentato. I contadini lo trovarono un po' strano ma il prezzo era molto interessante e quelli che facevano l'affare se ne tornavano a casa con il borsello pieno e la faccia gioiosa. L'uomo con la cravatta tornò l'indomani e offrì 150 euro ad asino, così gran parte degli abitanti vendette le proprie bestie. I giorni seguenti ne offri 300, e quelli che non avevano ancora venduto, cedettero gli ultimi asini del paese. Qunado non ne rimasero più, l'uomo con la cravatta dichiarò a tutti che sarebbe tornato dopo una settimana per comprare ogni asino pagando 500 euro a testa e se ne andò.

L'indomani affidò al suo socio il branco di asini che aveva aquistato e lo mandò nello stesso paese con l'ordine di rivendere le bestie al prezzo di 400 euro l'uno. I contadini, vedendo la possibilità di avere un beneficio di 100 euro la settimana successiva, ricomprarono i loro asini ad un prezzo 4 volte superiore di quanto avevano ricevuto nella vendita e, per farlo, dovettero chiedere un credito alla banca.
Come immaginate, i due affaristi se ne andarono a fare una vacanza in un paradiso fiscale, mentre i contadini si ritrovarono con i loro stessi asini ma indebitati sino al collo e rovinati.
Quei poveri diavoli di contadini tentarono invano di rivenderli per rimborsare il debito. Il valore dell'asino crollò. Le bestie furono sequestrate e poi affidate dalla banca dei loro precedenti proprietari. Però il banchiere andò dal sindaco spiegando che se non avesse recuperato i fondi si sarebbe rovinato anche lui e di conseguenza avrebbe dovuto chiedere il rimborso immediato di tutti i crediti concessi al comune.
Per evitare il disastro, il sindaco, invece di dare denaro agli abitanti per pagare i debiti, dette denaro al banchiere, amico intimo ed assessore... Purtroppo questi, dopo aver ripristinato i suoi fondi, non annullò i debiti dei contadini, né quelli del comune, che si ritrovarono vicino alla bancarotta.
Vedendo suoi debiti crescere e preso alla gola dai tassi d'interesse, il comune chiese aiuto ai comuni vicini, ma questi risposero che era impossibile, avendo subito anche loro gli stessi problemi.
Il banchiere consigliò, in modo "disinteressato", di ridurre le spese: meno soldi alle scuole, meno ai programmi sociali, le strade, la polizia municipale... Si prolungò l'età pensionabile, si licenziarono gli impiegati municipali, si abassarono gli stipendi e si aumentarono le tasse. Era, si diceva, inevitabile, ma si promise di moralizzare quello scandaloso commercio degli asini.
Poi si seppe che il banchiere e i due affaristi vivono insieme in un'isola delle Bermuda... si chiamano i Fratelli Mercato. Con tanta generosità hanno promesso di sovvenzionare la campagna elettorale dei sindaci uscenti. In ogni caso questa storia non è finita, perchè non si sa che fine faranno i contadini. E tu, cosa avresti fatto al loro posto? Che farai tu?

SABATO 15 OTTOBRE TUTTI IN PIAZZA!!

(Tradotto dal testo originale francese)


domenica 9 ottobre 2011

martedì 18 ottobre il Salotto Live di Città Felice




















martedì 18 ottobre, ore 20,30, piazza Federico di Svevia, 13 Catania
performance teatrale "Cassandra o della sconfitta vincente" e cena
sottoscrizione 10 euro tutto compreso

9 ottobre 1967, hasta siempre comandante Che Guevara




















“Quando saprai che sono morto
non pronunciare il mio nome
perché si fermerebbe
la morte e il riposo.
Quando saprai che sono morto
dì sillabe strane.
Pronuncia fiore, ape,
lagrima, pane, tempesta.
Non lasciare che le tue labbra trovino le mie dieci lettere.
Ho sonno, ho amato,
ho raggiunto il silenzio”.

Ernesto “Che” Guevara de la Serna


biografia del Che


venerdì 7 ottobre 2011

oggi in piazza contro i tagli alla scuola, manifestazione anche a Catania

foto di alberta dionisi - dicembre 2010, catania






Appello per la mobilitazione studentesca del 7 ottobre

Nell’epoca della crisi finanziaria globale, del neoliberismo senza confini geografici e dell’individualismo sfrenato contare è privilegio riservato a pochi. A contare sono i potentati economici e le multinazionali del pianeta che decidono i ritmi di consumo e inquinamento del pianeta, che impongono, come in Grecia e in Spagna, all’Italia una finanziaria di lacrime e sangue lasciando libere le speculazioni sui mercati. A contare è il ministro Tremonti. In questi anni abbiamo contato tutti i miliardi di euro che ha tolto a scuole e università pubbliche, al diritto allo studio, ai trasporti per gli studenti e all’edilizia scolastica.
Durante l’anno scorso abbiamo costruito un grande Autunno di lotta e di partecipazione, trasformando le nostre scuole dal basso con l’AltraRiforma. Democrazia e diritti non sono state semplici parole d’ordine nelle scuole e nelle piazze. Abbiamo dimostrato che cambiare si può e si deve riprendendo a contare con piccole pratiche e grandi vittorie.
Queste ingiustizie pesano sulla testa dei popoli, in particolare degli studenti destinati alla precarietà. Come sta avvenendo in tutto il mondo, dal Cile al Maghreb, dalla Grecia alla Spagna anche in Italia è venuto il momento di ricominciare a mobilitarci nelle scuole. Il 7 Ottobre costruiremo nelle città di tutta Italia mobilitazioni per riprenderci la possibilità di decidere, di cambiare le cose, di contare davvero.

“Ora i conti li fate con noi!” è il grido di lotta con cui vogliamo lanciare un autunno di mobilitazioni, rimettendo al centro il protagonismo e la partecipazione degli studenti e dei soggetti sociali.
“Ora i conti li fate con noi!” perché non accettiamo che per pareggiare i bilanci, risolvere la crisi delle banche, bisogni calpestare e speculare sui nostri diritti.
“Ora i conti li fate con noi!” perché noi, studenti e studentesse, non accetteremo alcun governo che sperpera risorse in guerre, grandi opere inutili e corruzione mentre le nostre scuole cadono a pezzi,
“Ora i conti li fate con noi” è la nostra ribellione a una scuola vecchia di cent’anni in cui non possiamo contare, ma che cambieremo fino in fondo.
“Ora i conti li fate con noi” è una promessa. Siamo stanchi di anni di false riforme e tagli, siamo stanchi della precarietà a cui vogliono destinarci.
“Ora i conti li fate con noi” perché siamo noi quelli capaci di riprenderci questo tempo che ci è stato rubato, capaci di lottare ancora, convinti che è possibile cambiare e che saremo noi a determinare questo cambiamento.

Non ci fermeranno i palazzi vuoti del governo, ormai pieni solo di corruzione e autoritarismo: vogliamo aprire una stagione non solo di lotte, ma di vittorie. In questo tempo di crisi noi possiamo vincere e riprenderci tutto. Vinceremo le nostre lotte nei territori e nelle città, contando ogni passo fino all’infinito.


Corteo da Piazza Roma, ore 9

giovedì 6 ottobre 2011

la vergognosa gestione dell'università di Catania liquida i dottorati di ricerca














La decisione del vertice accademico di non finanziare alcuna borsa di dottorato rappresenta un altro duro colpo alla credibilità e alla funzione dell’Università di Catania.
L’istituto del dottorato di ricerca è già stato, in questi anni, duramente colpito dagli alti livelli delle tasse d’iscrizione e, soprattutto, dalla violenta riduzione dell’offerta formativa, risultato di tagli e accorpamenti gravemente penalizzanti sotto il profilo delle opportunità offerte ai giovani e della stessa dignità scientifica dei corsi.
Con la decisione di non attivare alcuna borsa si pone in sostanziale liquidazione il terzo livello formativo degli studi universitari e il più importante canale di accesso dei giovani alla ricerca. L’ateneo catanese si sintonizza, ancora una volta, sulla devastante linea di distruzione dell’università pubblica che caratterizza le scelte del governo.
Le conseguenze per un’intera generazione di laureati sono gravissime, così come lo sono per un intero territorio che vede svanire una delle poche strade di valorizzazione delle proprie risorse intellettuali, decisive in ogni progetto di sviluppo.
Il silenzio delle istituzioni locali su una questione così rilevante è il segno di un degrado ormai inaccettabile.

Luca Cangemi, segretario del circolo Prc Olga Benario

mercoledì 5 ottobre 2011

autunno 2011: tanti appuntamenti al circolo città futura

cento anni dopo, un’altra guerra coloniale in Libia












Dichiarazione di Luca Cangemi, del coordinamento nazionale della Federazione della Sinistra

Nei primi giorni dell’ottobre di cento anni fa, le forze armate italiane sbarcavano sulle coste libiche, il 4 ottobre a Tobruk, il 5 a Tripoli. Cominciava così una vergognosa avventura coloniale che sarebbe durata decenni. Sin dall’inizio la presenza italiana in Libia si caratterizza per la brutale di repressione della popolazione civile: rappresaglie, massacri, deportazione di migliaia di libici tra cui donne e bambini. Nei deserti della Libia l’Italia liberale dimostra quanto  covi  dentro di sé i germi del fascismo. Dopo la guerra, la dittatura di Mussolini scatena una nuova ondata di violenze per fronteggiare una resistenza popolare che non si spegne: uso di gas e bombe incendiarie contro i civili, campi di concentramento, trasferimenti coatti d’intere popolazioni. La Libia colonizzata diveniva, inoltre, la residenza dei più loschi figuri del regime come l’assassino di Matteotti, Dumini.
Nonostante questa incontestabile realtà storica per molti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale e della presenza italiana in Libia, il colonialismo tricolore fu dipinto con inverosimili tinte di mitezza e umanità. Solo il tenace lavoro di alcuni storici ha incrinato il mito dei colonizzatori italiani come “brava gente”.
Questa incapacità di fare i conti con una pagina così oscura del proprio passato è l’humus culturale in cui prosperano atteggiamenti dell’oggi. Cent’anni dopo si muove ancora guerra al territorio libico dalle coste italiane, ancora una volta la bandiera del progresso civile è sventolata per coprire il perseguimento con le armi d’interessi economici e strategici, ancora una volta l’Italia sceglie di sgomitare alla ricerca di un posto in seconda fila negli equilibri tra le potenze, ancora una volta i popoli dell’Africa pagano un prezzo inaccettabile.
C’è oggi come allora anche un’altra Italia. L’Italia dei lavoratori che nel 1911 sfidarono le autorità regie con grandi manifestazioni contro l’intervento in Libia, represse duramente (quattro manifestanti morti e sette feriti solo a Langhirano in Emilia).L’Italia che oggi si batte per i diritti dei migranti e per un mediterraneo di pace e di cooperazione.

domenica 2 ottobre 2011

collettivo lgbtq città futura ibridevoci





















Città Futura Ibridevoci è un collettivo di compagne e compagni che, a partire da sé, dalla politicità della propria scelta di orientamento sessuale e dalle proprie esperienze di militanza nel movimento lgbtq e nel prc, desiderano costruire confronto ed iniziativa sui temi di identità e differenza, alterità ed ibridità, innovazione e trasformazione del linguaggio e delle pratiche politiche.

Viviamo in una società attraversata da una paura strisciante di ogni altro essere vivente, di ogni forma di alterità e differenza, ed in cui le perverse strategie del dominio capitalista si intrecciano drammaticamente con razzismo e xenofobia, sessismo, omo/transfobia, specismo e violenza diffusa.

Mentre il precipitare della crisi economica e politica dovrebbe rafforzare una presa di coscienza collettiva sulla necessità di un’alternativa sociale, ci sembra particolarmente urgente contribuire, da comuniste e comunisti, alla costruzione di un pensiero e di una pratica differenti, fondati sulla relazione con l’altro da sé e sul rifiuto di ogni forma di violenza.

Con la consapevolezza del “potere della parola”, intendiamo contribuire a costruire linguaggi differenti, voci ibride che mettano in discussione la parola del potere; un “potere malato”, come diceva Danilo Dolci, un potere omologante, intrinsecamente violento nella sua continua opera di semplificazione e di reductio ad unum della complessità e delle differenze del reale; un potere patriarcale fondato, come fa notare la critica afroamaericana bell hooks, sulla “capacità maschile di stabilire un dominio politico equivalente al dominio sessuale”.

Alla violenza della parola e delle pratiche dominanti vogliamo opporre l’alterità delle nostre soggettività desideranti e l’irriducibilità dei nostri corpi, contro le logiche perverse di un capitalismo che trasforma ogni corpo in merce, come accade a centinaia di donne e uomini migranti, deportati e privati di ogni dignità umana, e come accade con i corpi degli animali non umani, sfruttati, deanimalizzati e reificati, trasformati dal mercato globale in prodotto di consumo senza identità.

A partire da queste brevi considerazioni, consapevoli di come “il sistema capitalistico abbia portato la reificazione alle conseguenze estreme della mercificazione dei viventi”, come scrive Annamaria Rivera, vogliamo confrontarci e costruire nuove pratiche che mettano radicalmente in discussione tutte le forme di violenza e sfruttamento, poiché su di esse si fondano le perverse logiche di dominio del capitale.