domenica 30 gennaio 2011

samuel ruiz, il vescovo rosso del chiapas

Alcuni giorni fa è scomparso Samuel Ruiz, obispo rojo, difensore dei diritti delle comunità indigene del Chiapas.


Samuel Ruiz , il vescovo dei maya, se ne è andato. Almeno sul punto di morte gli è stato evitato l’esilio della città di Queretaro a cui era stato destinato dalla gerarchia ecclesiastica messicana. E’ morto tra mura amiche all’età di 87 anni ,nella sua  San Cristobal de Las Casas. Quando vi arrivò, 52 anni fa , era il più giovane vescovo del Messico. Fu scelto dalla gerarchia ecclesiastica per il suo orientamento conservatore.
Figlio di una famiglia agiata della borghesia messicana a Samuel Ruiz Garcia era stato affidato un compito semplice: mantenere lo status quo. Tutto appariva inamovibile in una terra ricca di foreste, pascoli, corsi di acqua e giacimenti di preziosi minerali.
Quelli che stavano di "sopra"- i terratenientes ed i grandi allevatori - avrebbero continuato a starci in eterno con la benedizione divina.
Quelli che stavano di "sotto", la moltitudine degli indios e dei campesinos, avrebbero continuato a lavorare come schiavi, morendo stremati nei campi con la zappa tra le mani ed il santino della Madonna di "Guadalupe" nella tasca sdrucita dei pantaloni.
Il matrimonio perverso tra la spada e la croce qui, come ai tempi della conquista, si rinnovava ogni giorno contro ogni tentativo di emancipazione e di riscatto delle popolazioni indigene.
Samuel Ruiz Garcia passa i primi mesi del suo mandato pastorale da un pranzo all'altro, invitato a rendere gli onori di casa nelle dimore dei potenti, servito a tavola da colorate indigene silenziose, quasi non avessero il dono divino della parola.
Il giovane Samuel aveva però occhi per vedere l'immane miseria dei molti sulla quale si fondava l'invereconda ricchezza dei pochi.
Aveva orecchie per ascoltare quelle donne mute ma che in verità erano in grado di parlare una babele di lingue.
Vedendo ed ascoltando don Samuel venne convertito dai poveri.
Scelse di stare con quelli di "sotto".All'improvviso.
Con naturalezza ruppe il perverso legame tra la Chiesa e la spada.
Era la Chiesa che doveva genuflettersi ad una miriade di culture sagge ed antiche, rispettose della terra e dell'uomo, che parlavano al cuore indigeno della montagna e che resistevano alla cruda assimilazione al pensiero unico dell'uomo bianco. Vietò ai suoi catechisti di insegnare lo spagnolo, la lingua degli oppressori, se prima non avessero loro imparato la lingua di quei villaggi.
Recitò messe nei pueblos della selva imparando umilmente idiomi, riti e tradizioni di quei popoli.
Il Concilio Vaticano II lui lo fece così, incarnandolo nella grande dignità di civiltà millenarie, attualizzandolo nel dolore e nella speranza di una moltitudine di senza volto e voce.
Il messaggio evangelico - portato di casa in casa da un esercito di 5mila catechisti - scavava nella coscienza, liberava l'anima dall'idea dell'ineluttabilità dell'essere schiavi.
Si gettava il seme della disubbidienza alle ingiustizie.
Quando il 1 Gennaio 1994 , migliaia di volti coperti da un passamontagna, invasero armati decine di municipi nel sud/est messicano, passata la sorpresa per le "bestie indios" che insorgevano contro una secolare cancellazione, vide gerarchie ed opulente élite levare l'indice contro don Samuel, l'obispo rojo (il vescovo rosso).
Era lui il corruttore delle primitive e "buone" menti degli indigeni, che - sempre secondo costoro - stavano bene nella loro condizione di apartheid che li preservava dal male del mondo.
Ruiz il capo della rivolta.
Questa ossessione dei vari Salinas e Zedillo di turno, dei vertici militari e degli autenticos coletos (i discendenti dei conquistatori) era una accusa che puntava a decapitarne la testa, come quella di Giovanni Battista sul vassoio della figlia di Erode.
Non avevano capito o non volevano capire che gli zapatisti avevano un "capo" collettivo, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno.
Il nucleo di una società liberata, un comitato multietnico che sfidava le divisioni arricchendosi delle differenze.
Il Presidente Zedillo voleva Samuel Ruiz in galera.
Nel febbraio del '95 lo convocò per questo a Los Pinos , la residenza presidenziale.
Gli sventolò sotto gli occhi il mandato di cattura, mentre i suoi uomini armati di tutto punto invadevano la Selva nel tentativo di uccidere Marcos e gli altri comandanti dell'Ezln.
Ma l'esercito federale ed i consiglieri del Pentagono non potevano conoscere il grande orecchio della foresta Lacandona, il tam tam millenario che avvisò gli zapatisti di non presentarsi all'incontro con il mediatore governativo.
Zeddillo ripose furioso il telefono che gli comunicava del fallimento dell'imboscata e lasciò andare via Ruiz.
Ad aspettarlo trovò la furia dei paramilitari che tentarono l'assalto alla cattedrale.
Un muro umano, uomini, donne, bambini indios, impedì che i priististi ubriachi di sangue compiessero il loro delitto.
Per giorni e notti stettero a centinaia lì davanti alla Chiesa, a vigilare sul loro "Tatic" (Padre).
La forza della moltitudine contro l'arroganza dei più sofisticati sistemi d'arma.
Una guerra impari.
Ma di fronte a tanto eroismo anche "L'Osservatore romano" fu costretto a scendere in campo a sostegno di don Samuel rompendo l'omertoso silenzio che aveva contraddistinto il Vaticano fino ad allora.
Ostinato uomo di pace don Samuel guidò con generoso impeto la Conai, la Commissione di intermediazione tra l'Ezln ed il Governo.
Fu la sua firma e quella del presidente della commissione parlamentare di concordia e pacificazione (Cocopa) ad aggiungersi come garanzia a quella del comandante David e del rappresentante del governo federale sugli accordi di pace di San Andres.
Ma gli accordi rimasero sulla carta. Mai tradotti in legge di riforma costituzionale.
Mille volte traditi nelle imboscate e nei massacri (quello di Acteal fu un delitto preordinato dal Pri, il partito di Stato).
La guerra a bassa intensità significa asfissia per la povera economia indigena. Eppure quei popoli indigeni continuano a non piegarsi.
Il Vaticano - nella sua posizione altalenante nei confronti della diocesi "ribelle"- tentò di commissariarla affiancando a Samuel Ruiz un grigio prelato dell'apparato ecclesiastico, Raul Vera Lopez.
Ma, come era successo con il giovane Samuel, non aveva fatto i conti con la capacità dei poveri di convertire.
Ed il "commissario" si trasformò così in un energico compagno di lotta di Samuel Ruiz.
Fu per questo che , al raggiungimento dei 75 anni di età di don Samuel, il vaticano scelse un altro vescovo al posto del candidato naturale  Raul Vera Lopez. Alla guida della diocesi fondata da Fra Bartolomeo de Las Casas, doveva tornare la restaurazione e porre fine  alla teologia india e allo scomodo impegno per la pace che l’aveva per decenni contraddistinta. Proprio Raul Vera, dalla “diocesi confino” di  Santillo a migliaia di chilometri dal Chiapas, ha per primo ricordato la figura del Tatic Samuel e il suo straordinario impegno per i poveri.
La voce profetica di Samuel Ruiz Garcia,  mancherà a tanti, specialmente agli indios.
Alla sua gente di cui - anche nei momenti più drammatici - ha sempre cercato di dare una parola di speranza.
Come durante l'omelia dei funerali delle 45 vittime di Acteal.
"Quando la notte si fa' più buia- affermò - è il nuovo giorno che si avvicina".
Alfio Nicotra, Liberazione del 26 gennaio 2011


















COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL'ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Al Popolo Del Messico:

Il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale esprime il suo cordoglio per la morte del Vescovo Emerito Don Samuel Ruiz García.

Nell'EZLN militano persone di diversi credi religiosi e non credenti, ma la statura umana di questo uomo (e di chi, come lui, cammina dalla parte degli oppressi, degli sfruttati, dei disprezzati) ci induce ad esprimere la nostra parola.

Anche se non sono state poche né superficiali le differenze, i disaccordi e le distanze, oggi vogliamo rimarcare l'impegno ed il percorso che non sono solo di un individuo, bensì di tutta una corrente all'interno della Chiesa Cattolica.

Don Samuel Ruiz García non si è distinto solo per un cattolicesimo praticato tra e con i diseredati, con la sua squadra ha formato anche una generazione di cristiani impegnati in questa pratica della religione cattolica. Non solo si è preoccupato per la grave situazione di miseria ed emarginazione dei popoli originari del Chiapas, ma ha anche lavorato, insieme all'eroica squadra pastorale, per migliorare quelle condizioni di vita e morte.

Quello che i governi di proposito hanno dimenticato per coltivare la morte, si è fatto memoria di vita nella diocesi da San Cristóbal de Las Casas.

Don Samuel Ruiz García e la sua squadra non solo si sono impegnati per raggiungere la pace con giustizia e dignità per gli indigeni del Chiapas, ma hanno inoltre rischiato e rischiano la loro vita, libertà e beni in questo cammino ostacolato dalla superbia del potere politico.

Già da molto prima della nostra sollevazione del 1994, la Diocesi di San Cristóbal ha subito la persecuzione, gli attacchi e le calunnie dell'Esercito Federale e dei governi statali di turno.

Almeno da Juan Sabines Gutiérrez (ricordato per il massacro di Wolonchan nel 1980) e passando per il Generale Absalón Castellanos Domínguez, Patrocinio González Garrido, Elmar Setzer M., Eduardo Robledo Rincón, Julio César Ruiz Ferro (uno degli autori del massacro di Acteal nel 1997) e Roberto Albores Guillén (già noto come "el croquetas"), i governatori del Chiapas hanno perseguitato chi nella diocesi di San Cristóbal si opponeva ai loro massacri ed alla gestione dello Stato come fosse una tenuta porfirista.

Dal 1994, durante il suo lavoro nella Commissione Nazionale di Intermediazione (CONAI) in compagnia delle donne e degli uomini che formavano quell'istanza di pace, Don Samuel ricevette pressioni, vessazioni e minacce, compreso attentati contro la sua vita da parte del gruppo paramilitare mal chiamato “Paz y Justicia”.

E come presidente della CONAI Don Samuel, nel febbraio del 1995, subì anche una minaccia di arresto.

Ernesto Zedillo Ponce de León, come parte di una strategia di distrazione (tale e quale come ora) per occultare la grave crisi economica nella quale lui e Carlos Salinas de Gortari avevano sprofondato il paese, riattivò la guerra contro le comunità indigene zapatiste.

Mentre lanciava una grande offensiva militare contro l'EZLN (peraltro fallita), Zedillo attaccava la Commissione Nazionale di Intermediazione.

Ossessionato dall'idea di distruggere Don Samuel, l'allora presidente del Messico, ed ora impiegato delle multinazionali, approfittò dell'alleanza che, sotto la tutela di Carlos Salinas de Gortari e Diego Fernández de Cevallos, si era stretta tra il PRI ed il PAN.

In quelle date, in una riunione con la cupola ecclesiale cattolica, l'allora Procuratore Generale della Repubblica, il panista e fanatico dello spiritismo e della stregoneria più volgare, Antonio Lozano Gracia, brandì di fronte a Don Samuel Ruiz García un documento con il mandato di cattura nei suoi confronti.

E si racconta che il procuratore laureato in Scienze Occulte fu affrontato dagli altri vescovi, tra loro Norberto Rivera, chi si alzarono in difesa del titolare della Diocesi di San Cristóbal.

L'alleanza PRI-PAN (alla quale si uniranno poi in Chiapas il PRD ed il PT) contro la Chiesa Cattolica progressista non si è fermata lì. Dai governi federale e statale si sono favoriti attacchi, calunnie ed attentati contro i membri della Diocesi.

L'Esercito Federale non è rimasto indietro. Mentre finanziava, addestrava ed equipaggiava i gruppi paramilitari, si diffondeva la tesi che la Diocesi seminava la violenza.

La tesi di allora (e che oggi è ripetuta da idioti della sinistra da scrivania) era che la Diocesi aveva formato le basi ed i quadri della direzione dell'EZLN.

Un segno dell'ampia dimostrazione di questi argomenti ridicoli si ebbe quando un generale mostrò un libro come prova del legame tra la Diocesi ed i “trasgressori della legge”.

Il titolo del libro incriminante è "Il Vangelo secondo San Marco".

Oggigiorno quegli attacchi non sono cessati.

Il Centro dei Diritti Umani “Fray Bartolomé de Las Casas” riceve continuamente minacce e persecuzioni.

Oltre ad essere stato fondato da Don Samuel Ruiz García e di essere di ispirazione cristiana, il “Frayba” ha come “aggravante” il credere nell'Integrità ed Indivisibilità dei Diritti Umani, nel rispetto della diversità culturale e nel diritto alla Libera Determinazione, nella giustizia integrale come requisito per la pace, e nello sviluppo di una cultura del dialogo, tolleranza e riconciliazione, nel rispetto della pluralità culturale e religiosa.

Niente di più fastidioso di questi principi.

E questa molestia arriva fino al Vaticano, dove si opera per dividere in due la diocesi di San Cristóbal de Las Casas, in modo da diluire l'opzione per, tra e con i poveri, nel conformismo che lava le coscienze col denaro. Approfittando del decesso di Don Samuel, si riattiva questo progetto di controllo e divisione.

Perché là in alto sanno che l'opzione per i poveri non muore con Don Samuel. Vive ed agisce in tutto quel settore dalla Chiesa Cattolica che ha deciso di essere coerente con quello che predica.

Nel frattempo, la squadra pastorale, e specialmente i diaconi, ministri e catechisti (indigeni cattolici delle comunità) subiscono le calunnie, gli insulti e gli attacchi dei neo-amanti della guerra. Il Potere rimpiange i suoi giorni di dominio e vede nel lavoro della Diocesi un ostacolo al ripristino del suo regime di forca e coltello.

La grottesca sfilata di personaggi della vita politica locale e nazionale davanti al feretro di Don Samuel non è per onorarlo, ma per verificare, con sollievo, che è morto; ed i mezzi di comunicazione locali esprimono falso cordoglio ma in realtà festeggiano.

Al di sopra di tutti gli attacchi e cospirazioni ecclesiali, Don Samuel Ruiz García e le/i cristian@ come lui, hanno avuto, hanno ed avranno un posto speciale nel cuore scuro delle comunità indigene zapatiste.

Ora che è di moda condannare tutta la Chiesa Cattolica per i crimini, gli eccessi, le commistioni ed omissioni di alcuni dei suoi prelati…

Ora che il settore che si autodefinisce “progressista” si sollazza a si fa scherno della Chiesa Cattolica tutta…

Ora che si incoraggia a vedere in ogni sacerdote un pederasta potenziale o attivo…

Ora sarebbe bene tornare a guardare in basso e trovare lì chi, come prima Don Samuel, ha sfidato e sfida il Potere.

Perché qust@ cristiani credono fermamente che la giustizia deve regnare anche in questo mondo.

E così lo vivono, e muoiono, in pensieri, parole ed opere.

Perché sebbene sia vero che nella Chiesa Cattolica ci sono i Marciales e gli Onésimos, c’erano e ci sono anche i Roncos, Ernestos, Samueles, Arturos, Raúles, Sergios, Bartolomés, Joeles, Heribertos, Raymundos, Salvadores, Santiagos, Diegos, Estelas, Victorias, e migliaia di religios@ e secolari che, stando dalla parte della giustizia e della libertà, stanno dalla parte della vita.

Nell'EZLN, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti, oggi non solo onoriamo la memoria di Don Samuel Ruiz García.

Salutiamo anche, e soprattutto, l'impegno conseguente de@ cristian@ e credenti che in Chiapas, in Messico e nel Mondo, non si rifugiano nel silenzio complice di fronte all'ingiustizia, né restano immobili di fronte alla guerra.

Don Samuel se ne va, ma rimangono molte altre, molti altri che, in e per la fede cattolica cristiana, lottano per un mondo terreno più giusto, più libero, più democratico, cioè, per un mondo migliore.

Salute a loro, perché anche dalle loro pene nascerà il domani.

LIBERTÀ!
GIUSTIZIA!
DEMOCRAZIA!

Dalle montagne del Sudest Messicano. Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'EZLN

Tenente Colonnello Insurgente Moisés         Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 26 gennaio 2011

venerdì 28 gennaio 2011

una grande giornata di mobilitazione


































Dichiarazione di Luca Cangemi (PRC): da Termini un forte segnale di lotta per il cambiamento

La manifestazione della Fiom a Termini Imerese, nel giorno dello sciopero generale, è stata un evento di grande valore politico e sociale. Vi è stata la chiara espressione della volontà operaia di resistere all’attacco che padronato e governo hanno sferrato alla democrazia, ai diritti, al contratto nazionale, alle condizioni di lavoro. Questa resistenza non è isolata: attorno ad essa si è consolidato un vasto fronte in ogni settore del mondo del lavoro, tra gli studenti, nell’associazionismo e nella cultura. Un fronte che rappresenta la vera speranza di un cambiamento reale, in questa fase buia della vita del paese.
Di questa speranza c’è bisogno soprattutto in Sicilia dove l’attacco all’occupazione è più forte e la disperazione sociale più diffusa. La determinazione alla lotta che oggi si è manifestata a Termini, offre la possibilità di costruire una nuova stagione di lotte per rinnovare profondamente la società siciliana sottraendola alla devastazione che le attuali politiche hanno preparato.

mercoledì 26 gennaio 2011

venerdì 28 gennaio, sciopero generale fiom, manifestazione a palermo

Dichiarazione di Luca Cangemi, Segretario Regionale del PRC-Federazione della Sinistra
Lo sciopero generale, proclamato dalla Fiom, del settore metalmeccanico del 28 gennaio è un appuntamento fondamentale per i lavoratori e le lavoratici, per tutti i cittadini e le cittadine che vogliono contrastare il terribile attacco scatenato da padronato e governo contro il al lavoro, i diritti e la democrazia.
La Sicilia è stata la prima ad essere colpita dalla strategia di Marchionne, con la decisione di chiudere Termini Imerese, assunta per dividere ed indebolire i lavoratori.
E’ quindi particolarmente importante che dalla Sicilia arrivi un segnale fortissimo di lotta, di unificazione delle lotte, attorno ad una piattaforma che mette al centro la difesa dei diritti, l’occupazione, la qualità del lavoro e una nuova politica industriale.
Il PRC sarà a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici nello sciopero e nella manifestazione regionale di Termini Imerese che può e deve segnare un importante momento di riscossa del mondo del lavoro.

martedì 25 gennaio 2011

campagna nazionale per l'agricoltura e la sovranità alimentare

domenica 30 gennaio: gruppo di acquisto popolare






















eccezionalmente domenica prossima, 30 gennaio, dalle 10,30 alle 13, in via Conte di Torino, 29/i,
si terrà nuovamente il gruppo d'acquisto popolare.
l'appuntamento successivo sarà domenica 13 febbraio.

sabato 22 gennaio 2011

le gravi responsabilità politiche degli sponsor del cuffarismo



















Il pronunciamento della Cassazione conferma la condanna dell’ex Presidente della Regione Cuffaro e un quadro gravissimo di rapporti tra politica ed organizzazioni mafiose, che ha inquinato la vita istituzionale, amministrativa e sociale della Sicilia.
Al di là delle responsabiltà penali, emerge la gravissima responsabilità politica di un intero ceto dirigente politico ma anche economico e professionale, che in Sicilia è stato interno o alleato del cuffarismo, a partire dall’attuale Presidente della Regione, così come di quei protaginosti della politica nazionale, da Casini a Berlusconi, che di Cuffaro sono stati sponsor.
La Federazione della Sinistra rilancia il proprio impegno per un’ampia mobiltazione contro ogni intreccio politico-affaristico-mafioso, per la costruzione di un’alternativa politica capace di determinare un reale rinnovamento della società e delle istituzioni in Sicilia.

Il coordinamento regionale della Federazione della Sinistra

Luca Cangemi (PRC)
Salvatore Petrucci (PdCI)
Concetto Scivoletto (Socialismo 2000)
Pietro Milazzo (Lavoro e Solidarietà)

giovedì 20 gennaio 2011

no agli accordi pd-lombardo

Dichiarazione di Luca Cangemi, segretario regionale del PRC-Federazione della Sinistra.

Irricevibile la "Grosse Koalition" di Lupo.

Il segretario del PD siciliano Lupo, in un’intervista a "la Sicilia", propone una grande coalizione che comprenda tutte le forze che appoggiano il governo Lombardo e anche idV, Sel e Federazione della Sinistra.
E' una proposta chiaramente irricevibile da parte della federazione della sinistra. E', inoltre, una proposta drammaticamente pericolosa per la Sicilia: l'alternativa al berlusconismo si può costruire sulla base di chiare discriminanti , non certo con ammucchiate in cui sono protagoniste forze che sono per le modalità in cui fanno politica e per gli interessi che rappresentano, nemiche di un autentico rinnovamento. Proprio il disastro sociale ma anche istituzionale e morale in cui versa la nostra terra richiede una rottura netta con un sisitema di potere ormai insostenibile.Non esiste possibilità di convergenza con il cosiddetto terzo polo in Sicilia, a nessun livello, non esiste alcuna alternativa se non a partire dall'opposizione all'impresentabile governo di Lombardo. Del resto sull'attuale linea del Pd Lupo non solo non riesce a trovare alleanze a sinistra, ma registra difficoltà crescenti a unificare lo stesso Pd.

domenica prossima gruppo di acquisto popolare

mercoledì 19 gennaio 2011

domani sera proiezione video "il nostro gramsci" e cena sociale al nievski







Questo articolo si riferisce agli avvenimenti della primavera 1921, quando a Torino, in seguito all'annunciato licenziamento di più di mille operai, le maestranze Fiat e Michelin entrano in sciopero. Gli industriali rispondono con la serrata degli stabilimenti e l'agitazione si conclude, agli inizi di maggio, con la sconfitta delle organizzazioni sindacali e il licenziamento di più di 3.500 lavoratori
Antonio Gramsci 
Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne e ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana. 
Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano ridotti e non erano più sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese. 
Erano completamente isolati dalla nazione, immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per un mese. 
Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c'è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare a una massa di uomini che è aggredita dalle più dure necessità dell'esistenza, che ha la responsabilità dell'esistenza di una popolazione di 40.000 persone, non si può domandare più di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere più oltre o di reagire. 
Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese. 
Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato; si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno fame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne. 
Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili a una visione più reale, a una pratica più congrua e più adeguata allo svolgersi degli avvenimenti. Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui; oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente. La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi. 
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti.
(da "L'Ordine Nuovo", 8 maggio 1921)

venerdì 28 gennaio in piazza con la fiom a palermo







venerdì 28 gennaio manifestazione regionale a palermo

pullmann da catania a cinque euro, info: citta_futura_prc@libero.it

lunedì 17 gennaio 2011

le lotte di ieri e di oggi. ricordiamo girolamo rosano

L’uccisione di Girolamo Rosano, giovanissimo bracciante, ad Adrano, il 17 gennaio del 1951, durante una mobilitazione per la pace, fa parte della storia straordinaria delle lotte popolari che hanno attraversato l’Italia del dopoguerra. Una storia che le classi dominanti cercano di cancellare con tutti i mezzi.
E’ la storia di straordinarie movimenti di massa per affermare scelte di pace, per la terra e il lavoro, per i diritti sociali. Mobilitazioni che furono contrastate violentemente dalle classi possidenti e dai governi centristi che ne tutelavano i privilegi: centinaia di morti e migliaia di feriti nelle manifestazioni, decine di migliaia di licenziati per il loro impegno politico e sindacale, l’attacco alle organizzazioni della sinistra e in particolar modo al Partito Comunista.
Quella storia rappresenta una preziosa risorsa di fronte ai problemi dell’epoca presente in cui ritornano, in forme diverse ma non meno pericolose, i pericoli di guerra, l’attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, l’arrogante affermazione di privilegi inaccettabili.
I comunisti siciliani ricordano il 60° anniversario del sacrificio di Girolamo Rosano rinnovando il proprio impegno per un mondo più giusto, quel mondo per cui si manifestava ad Adrano il 17 luglio del 1951, sfidando una brutale repressione.

Luca Cangemi, Segretario regionale PRC-Federazione della Sinistra

acqua e beni comuni per un nuovo modello di società

Il pronunciamento della Consulta, col via libera ai referendum su acqua e nucleare è già una prima vittoria dei movimenti per l'acqua e per chi intende costruire un'alternativa seria al nucleare puntando sulle energie rinnovabili. Il via libera è un primo passo per chi vuole provare ad imboccare la strada per un'uscita a sinistra dalla crisi e dal neoliberismo. E' una prima vittoria anche del Prc e della Federazione della Sinistra che hanno promosso e sostenuto i quesiti sul referendum per il ritorno ad una gestione pubblica del bene comune acqua e la raccolta firme per dire no al nucleare e sì alle energie rinnovabili.
La notizia del disco verde della Corte Costituzionale riempie tutte e tutti di grande soddisfazione. Il milione e 400mila protagonisti che hanno firmato i quesiti non vedono il cammino minato dal rigetto di uno dei tre quesiti, quello per abrogare le norme limitatrici della gestione pubblica del servizio idrico. L'impianto politico rimane integro perché gli altri due quesiti che hanno ricevuto l'ok sono quello che punta all'abrogazione delle norme sulla determinazione della tariffa del servizio idrico in base all'adeguata remunerazione del capitale investito (quindi in base alle logiche del profitto) e quello sulle norme per l'affidamento con gare a privati dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ecco lo stop alla privatizzazione se passerà il sì).
Soddisfazione anche per il fatto che il quesito promosso da Di Pietro e dall'Idv per motivi di visibilità e per conti elettoralistici, rompendo con la vasta coalizione che attorno all'acqua raccoglie movimenti, partiti e associazioni, è stato rigettato. Un quesito questo formulato in modo confuso anche dal punto di vista politico e che non risolveva la questione della privatizzazione.
Di Pietro ha invece ottenuto il via libera sul quesito contro il nucleare, promosso anche in questo caso con una cesura improvvisa e immotivata con i comitati antinuclearisti che hanno raccolto le 100mila firme sulle energie rinnovabili e con i quali stava ragionando per la definizione di un percorso comune.
La portata di entrambi i temi dovrebbero condurre Di Pietro a più miti consigli, perché non si possono trasformare referendum e beni comuni in un boomerang per provare a raccattare qualche voto in più in beata solitudine. Sono temi centrali sui quali nessuno può permettersi di scherzare.
A meno di elezioni anticipate quindi entro il 15 giugno si andrà al voto su questi due temi.
Ci sono alcune cose da fare subito perché non bisogna cullarsi negli allori di questo primo risultato. Innanzitutto perché è giusto e necessario bloccare gli effetti del decreto Ronchi. Serve quindi - come chiesto dal comitato promotore - un immediato provvedimento di moratoria sulle scadenze delle nuove norme.
Inoltre, ora ci aspetta il momento più difficile perché non si centra un quorum da sedici anni e quindi la mobilitazione dal basso, che abbiamo visto crescere negli ultimi mesi insieme alla consapevolezza della posta in palio, deve proseguire, perché l'acqua deve essere sottratta alle logiche mercantili in atto e perché dobbiamo dare un alt alle farneticazioni sul nucleare.
Fermare la privatizzazione dell'acqua, aprire la strada della ripubblicizzazione, eliminare i profitti sul bene comune acqua. Dare uno stop alla follia di un ritorno al nucleare, costoso, pericoloso, inutile e antidemocratico perché calpesta la scelta referendaria del 1987. Ecco le parole d'ordine che da oggi in poi devono intrecciarsi sempre più ed andare a braccetto verso l'appuntamento referendario primaverile.
E serve anche un salto di qualità, perché dobbiamo essere in grado di mostrare a tutti che le misure antipopolari del governo e la privatizzazione dell'acqua che favorisce le speculazioni e le multinazionali ed un ritorno al nucleare che favorisce sempre gli stessi settori a scapito della collettività, sono due aspetti della stessa politica fatta di profitti per pochi (i più ricchi, i più potenti) e di sacrifici per molti (i più deboli). Dobbiamo quindi continuare a stare nelle strade e nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio, intensificare le iniziative, far conoscere a tutti le nostre battaglie, anche perché una vittoria in queste grandi battaglie potrà servire ad invertire il ciclo nero degli ultimi anni, a motivare tanta gente e a ripartire. Parlare di acqua e di energia è anche parlare di partecipazione e democrazia. Parlare di beni comuni è anche parlare di un nuovo modello di società. Fermiamo lo scempio in atto e promuoviamo un'altra strada.

Maria Campese, segreteria nazionale PRC, responsabile nazionale Ambiente, territorio e beni comuni

sabato 15 gennaio 2011

luxemburg, una rosa che non appassirà mai


































"Quel che ora si deve fare è di dirigere con piena coscienza tutta la forza del proletariato contro le principali fortezze della società capitalistica. In basso, dove ciascun imprenditore ha di fronte a sé i suoi schiavi salariati, in basso dove tutti gli organi esecutivi del dominio politico di classe si trovano di fronte all'oggetto del loro dominio, alle masse, là dobbiamo passo passo strappare dalle mani dei nostri dominatori i loro strumenti di potere e porli nelle nostre mani. Disegnato in questo modo, il processo appare forse un tantino più lungo di quanto si sarebbe inclini a raffigurarselo in un primo momento. lo credo salutare per noi porci innanzi agli occhi con piena chiarezza tutte le difficoltà e complicazioni di questa rivoluzione. Giacché io spero che la descrizione delle grosse difficoltà e dei compiti che ci si ammassano dinanzi non operi su nessuno di voi, come non opera su di me, nel senso di raffreddare il vostro zelo e la vostra energia; al contrario, quanto più gravoso è il compito, tanto più raccoglieremo tutte le forze, e non dimentichiamolo: la rivoluzione sa attuare la propria opera con enorme celerità. lo non mi accingo a profetizzare quanto tempo occorre per questo processo. Chi di noi sta a fare i conti, che c'importa se la nostra vita basta appena allo scopo? Importa soltanto, che noi sappiamo con chiarezza e precisione quel che si deve fare; e che cosa ci sia da fare io spero di averlo in qualche modo detto nelle sue linee fondamentali con le mie deboli forze".

Rosa Luxemburg, discorso sul programma, gennaio 1919

mercoledì 12 gennaio 2011

appello della fiom per lo sciopero del 28 gennaio e dichiarazione di landini

La Fiom Siciliana, in preparazione della manifestazione regionale che si terrà a Palermo il 28 Gennaio, sciopero generale nazionale dei
metalmeccanici, chiede l’adesione all'appello nazionale a sostegno
della mobilitazione, contro il ricatto di Marchionne.
Aderiamo e diffondiamo in ogni luogo.
 







Abbiamo convocato lo sciopero generale dei metalmeccanici per il 28 gennaio; è una tappa
fondamentale per la riconquista del Contratto Nazionale e la salvaguardia dei diritti nei
luoghi di lavoro.
La scelta compiuta dalla Fiat alle Carrozzerie di Mirafiori e a Pomigliano D’Arco è un atto
antisindacale, autoritario e antidemocratico senza precedenti nella storia delle relazioni
sindacali del nostro paese dal dopoguerra.
È un attacco ai principi e ai valori della Costituzione Italiana e alla democrazia perché
calpesta la libertà dei lavoratori e delle lavoratrici di decidere a quale sindacato aderire per
difendere collettivamente i propri diritti e di eleggere i propri rappresentanti in azienda. Chi
non firma scompare e chi firma diventa un sindacato aziendale e corporativo guardiano
delle scelte imposte dalla Fiat. Si annullano il Contratto Nazionale di Lavoro e peggiorano
le condizioni di fabbrica, si aumenta lo sfruttamento e l’orario di lavoro, si lede ogni diritto
di sciopero e si riduce la retribuzione a chi si ammala cancellando così in colpo solo anni di
lotte e di conquiste.
Il ricatto di Marchionne è coerente con la distruzione della legislazione del lavoro in atto
che vuol rendere tutti soli e precari; è la stessa logica regressiva messa in pratica dal
Governo con l’attacco al diritto allo studio e alla ricerca attuato attraverso l’approvazione
del DDL Gelmini e il taglio ai fondi per l’informazione e la cultura. Si mettono così sotto
scacco principi democratici di convivenza civile fondamentali.
La Fiom considera il lavoro un bene comune e per questo il 16 ottobre dopo il
ricatto/referendum illegittimo imposto dalla Fiat a Pomigliano ha dato vita a una grande
manifestazione, aperta a tutti coloro che sono impegnati nella difesa di diritti e libertà
costituzionali inviolabili.
Lo sciopero generale proclamato per il 28 gennaio della categoria e le manifestazioni dopo
il ricatto/referendum di Mirafiori hanno lo stesso obiettivo: come ha dimostrato
l’introduzione delle deroghe nel Contratto Nazionale dei metalmeccanici firmato da
Federmeccanica e le altre organizzazioni sindacali, quando si ledono diritti fondamentali la
ferita non si circoscrive ma travolge progressivamente tutto il mondo del lavoro.
La Fiom è impegnata a sostenere il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro senza
deroghe, a difendere la legalità, la democrazia e la libertà di rappresentanza sindacale, a
combattere la precarietà e il dominio del mercato che divorano la vita delle persone e
compromettono la coesione sociale e il futuro del paese.
Chiediamo a tutte le persone, le associazioni e i movimenti che condividono queste ragioni
di sostenere la lotta dei metalmeccanici e di firmare questo nostro appello.

un anno fa il terremoto ad haiti: le macerie della globalizzazione neoliberista

















Il primo anniversario del terremoto dello scorso 12 Gennaio ha riportato in questi giorni la tragedia di Haiti agli “onori” della cronaca. Ma per moltissimi mesi, dopo il terremoto che ha distrutto la zona di Port-au-Prince e causato più di 300.000 morti, centinaia di migliaia di feriti e oltre un milione e mezzo di senza tetto (equivalenti a più del 10% della popolazione totale del paese), il disastro di Haiti era già stato derubricato dalla cronaca di quasi tutto il resto del mondo, Italia compresa, come se il tempo trascorso avesse da solo risolto gli enormi problemi creati da quella vera e propria catastrofe.
Già nelle ultime settimane una gravissima epidemia di colera, una tornata elettorale - caratterizzata da seri dubbi sulla sua effettiva democraticità e trasparenza – e diverse manifestazioni di piazza avevano riacceso i riflettori su questo paese.
Le cifre ufficiali sul colera parlano oggi di oltre 200.000 malati e di circa 3. 600 morti. Questi numeri, però, indicano solo i decessi in ospedale, mentre una significativa – e non censita - quantità di malati muore senza riuscire ad arrivare in ospedale o addirittura ancor prima di riuscire a riconoscere i sintomi di una malattia che da oltre un secolo era scomparsa dall’isola.
La rapida diffusione di quest’epidemia non lascia affatto stupiti quanti in questi mesi si sono attivati non solo nel portare aiuti umanitari, ma anche nel cercare di denunciare le drammatiche condizioni in cui continua a vivere, o meglio, a sopravvivere, la popolazione haitiana; infatti le condizioni di quello che già prima del terremoto era uno dei paesi più poveri del pianeta non sono cambiate molto dopo il terremoto. Passeggiando per le strade di Port-au-Prince si ha l’impressione di trovarsi ancora all’indomani del goudou goudou – il nome che gli haitiani hanno dato al terremoto del 12 gennaio. Il paesaggio é ancora caratterizzato da edifici distrutti, macerie ai lati delle strade. Molta gente é ritornata e tutte le attività sono ricominciate, accanto e in mezzo alle macerie, ma più di un milione di sfollati continuano a vivere nelle tendopoli, la maggior parte senza neanche i servizi più elementari - come acqua potabile, corrente elettrica e servizi igienici – moltissimi non hanno neanche delle vere e proprie tende, ma degli “assemblaggi” di lenzuola, pali di legno, cartone, lamiere o teloni di plastica. Non stupisce, dunque, che il colera si stia diffondendo sull’isola con tanta rapidità e gravità.
La Commissione Provvisoria per la Ricostruzione di Haiti – istituita dalla Conferenza Internazionale dei Donatori tenutasi a New York lo scorso 31 Marzo e co-presieduta dal primo ministro haitiano Bellerive e da Bill Clinton – lavora formalmente già da dieci mesi, ma si è riunita solo 3 volte e nessun risultato concreto si vede ancora.
Camille Chalmers, presidente della Piattaforma Haitiana per uno Sviluppo Alternativo (PAPDA) affermava qualche settimana fa che «è inaccettabile che soltanto il 4% delle macerie siano state rimosse, soltanto il 2 o 3 % per cento dei fondi promessi siano stati versati, che un organismo al quale sono state affidate delle responsabilità così importanti nell’ambito della crisi, come la CIRH (Commission Interimaire pour la Reconstruction d’Haiti), si sia riunito ancora solo 3 volte» e considera l’istituzione di questa Commissione come «un insulto al popolo haitiano».
 La ricostruzione o la ristrutturazione delle quasi 200.000 case dichiarate inagibili é lasciata quasi esclusivamente all’iniziativa privata. La Plateforme des organisations haïtiennes de droits humains ha già denunciato come questo significhi l’impossibilità per la maggior parte dei senza tetto di ristrutturare le proprie abitazioni, o – ancor più grave – sia un incentivo a continuare a costruire come prima del terremoto, senza alcuna regola e criterio antisismico. Non bisogna dimenticare che l’86% degli edifici che sono crollati erano stati costruiti dopo il 1990 in maniera assolutamente anarchica.
La Commissione aveva annunciato già a giugno anche un progetto per liberare le strade dalle macerie, ma del quale non si ha ancora alcuna notizia concreta. Fino ad oggi maggiore “urgenza” é stata attribuita ad altri progetti, come un investimento di 10 milioni di dollari della Clinton Foundation per la costruzione di grandi complessi turistici in due zone balneari a pochi km da Port-au-Prince, approvato in una delle prime riunioni della Commissione.
La persistenza di questa situazione ancora così precaria nelle zone terremotate, naturalmente, ha delle conseguenze significative in tutto il resto del paese. L’alto numero di sfollati che aveva trovato rifugio ed accoglienza negli altri dipartimenti, infatti, non vede ancora nessuna possibilità concreta di tornare nella capitale.
Alcuni vivono in centri di accoglienza, ma la maggior parte di essi è ospitata da altre famiglie. Si tratta dunque di persone che hanno perso tutto con il terremoto, che non sono ancora in condizione di decidere se e quando tornare nella propria città, e che da un anno vivono in casa di altre persone le cui condizioni economiche erano già precarie; ciò significa anche la persistenza di una situazione che rischia di esplodere in tensioni sociali molto forti. Decine di migliaia di persone che, nonostante la fine della situazione di emergenza sia stata dichiarata già alla fine di marzo, continuano ad avere bisogno di aiuti umanitari, inclusi gli aiuti alimentari. Le distribuzioni finanziate dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite si sono concluse un mese e mezzo dopo il terremoto, e i progetti di food/cash for work, che avrebbero dovuto rimpiazzarle, in molte zone del paese, come Cap-Haitien, non sono fino ad oggi mai iniziati. Moltissime volte, anche sei mesi dopo il sisma, nella distribuzione di aiuti umanitari ci è capitato di raggiungere persone che non avevano mai o quasi mai fino a quel momento usufruito degli aiuti internazionali.
Le ragioni della persistenza di questa situazione drammatica sono molte: lo scorso 31 Marzo, alla conferenza di New York, la comunità internazionale aveva annunciato l’invio di cifre enormi per la ricostruzione di Haiti, quasi 10.000 milioni di dollari.
A tutt’oggi, però, meno del 10% di quanto promesso è effettivamente arrivato nel paese; alcuni paesi hanno trasformato le cifre annunciate in una semplice cancellazione del debito, altri hanno successivamente annunciato dei tagli utilizzando come pretesto la crisi economica, altri ancora (come gli Stati Uniti) hanno “giustificato” il congelamento degli aiuti denunciando l’inaffidabilità delle istituzioni haitiane; una denuncia che, seppur non priva di fondamento, appare del tutto ridicola se pronunciata da chi, da oltre un secolo, non ha mai smesso di considerare Haiti come proprio “cortile di casa”, praticando una fortissima ingerenza sulle sue scelte politiche ed economiche.
Questa situazione catastrofica, ovviamente, ha anche creato un clima di grande malcontento tra la popolazione haitiana. Nella capitale, già da molti mesi prima che i media internazionali ne parlassero, sono all’ordine del giorno le manifestazioni contro un governo considerato corrotto ed incapace; e contro la MINUSTAH – la missione delle Nazioni Unite per la “stabilizzazione” di Haiti, presente dal 2004, all’indomani del colpo di stato, la cui regia degli Usa è evidente, con il quale è stato rovesciato il governo democraticamente eletto di Bertrand Aristide, e che costa alla comunità internazionale 520 milioni di dollari l’anno. Il mese scorso alcuni servizi televisivi hanno mostrato al mondo intero le manifestazioni contro i caschi blu provenienti dal Nepal, accusati di aver riportato sull’isola il virus del colera, che hanno risposto sparando sulla folla ed uccidendo due manifestanti. Ma in realtà tra la popolazione haitiana è ormai radicato il malcontento nei confronti di una missione formalmente di “peacekeeping, ma sempre più percepita come una vera e propria occupazione militare, oltre che come un enorme spreco di risorse che potrebbero invece essere utilizzate per lo sviluppo del paese. Ormai da tempo, infatti, le manifestazioni si concludono spesso con l’intervento dei caschi blu, con manifestanti arrestati o feriti, e già lo scorso ottobre un insegnante e sindacalista era stato ucciso da un candelotto di gas lacrimogeno mentre partecipava ad una manifestazione sotto il Ministero dell’Istruzione.
Haiti continua a pagare il prezzo di decenni di occupazione militare statunitense, dittature e colpi di stato con alle spalle la regia delle potenze occidentali e fallimentari ricette economiche dettate dagli organismi monetari internazionali. Perché a fare di Haiti uno dei paesi più poveri del mondo, così vulnerabile a disastri naturali ed epidemie, è stato un terremoto ben più devastante di quello del 12 Gennaio: la globalizzazione neoliberista che, come in tanti altri paesi del sud del mondo, ha imposto la privatizzazione selvaggia di tutti i servizi e le risorse e l’asservimento dell’economia agli interessi dei paesi ricchi.
Come in tanti altri paesi in via di sviluppo, a partire dagli anni ’80 anche ad Haiti sono state applicate le “ricette” economiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che, com’è noto, prevedevano la “liberalizzazione” di tutti i servizi e beni comuni e forti tagli alla spesa pubblica in settori come la sanità e l’educazione. L’applicazione di queste ricette ha avuto delle conseguenze sociali catastrofiche.
Le strutture sanitarie – come sta dimostrando anche l’incapacità di arginare la diffusione dell’epidemia - sono fatiscenti e inadeguate ai bisogni della popolazione, e buona parte delle cure vengono garantite solo grazie alla brigada médica cubana. Il governo di Fidel Castro, infatti, da parecchi anni invia ad Haiti, così come in molti altri paesi in via di sviluppo, centinaia di medici, oltre a formarne moltissimi nelle proprie università.
Altra conseguenza dei programmi di aggiustamento strutturale è che oggi solo il 10% delle scuole è pubblico, il restante 90% è lasciato all’impresa privata o a organizzazioni caritatevoli. Anche le poche scuole pubbliche, ricevendo pochissimi fondi dallo Stato, sono costrette a far pagare una retta e l’acquisto o il noleggio di quasi tutti i testi scolastici, e sono costrette ad ospitare gli alunni in strutture sovraffollate e spesso quasi fatiscenti, e a sperare nella solidarietà di singole organizzazioni o associazioni. I costi dell’educazione sono talmente alti che molte famiglie non possono permettersi di mandare i propri figli a scuola. Così non solo una parte della popolazione non gode del diritto all’educazione, ma continua a perpetuarsi il meccanismo perverso per cui solo una élite riesce a raggiungere un alto livello di educazione e ad affermarsi come classe dirigente del paese, mentre il resto della popolazione continua a sopravvivere ad un livello economico bassissimo e senza la capacità di analizzare criticamente ciò che avviene nel proprio paese e mobilitarsi per il cambiamento.
Ma la denuncia delle vere cause della miseria viene troppo spesso censurata o punita. E’ accaduto proprio in questi giorni al rappresentante ad Haiti dell’Organizzazione degli Stati Americani, il brasiliano Ricardo Seitenfus. In un’intervista rilasciata lo scorso 20 Dicembre al quotidiano svizzero Le Temps il diplomatico aveva definito l’occupazione militare imposta dall’ONU come <> e denunciato le responsabilità degli USA nell’aver reso deboli le istituzioni politiche haitiane e nell’aver compromesso lo sviluppo economico trasformando Haiti in un’area di esportazione dei propri prodotti. Questo atto di “lesa maestà” è stato punito, dopo soli cinque giorni, con la rimozione dal proprio incarico; nel silenzio pressoché totale dei media, più interessati a celebrazioni dell’anniversario del disastro che non ne denuncino le vere cause.






martedì 11 gennaio 2011

scuola: il vergognoso reclutamento etnico dei docenti spezza il paese

















Ritorna più forte il tentativo di imporre le proposte leghiste per la territorializzazione del reclutamento dei docenti. Lo strumento individuato è quello di albi regionali finalizzati a sbarrare la strada ai docenti del Sud.
Siamo di fronte a un tentativo di gravità inaudita che colpisce fondamentali diritti del lavoro e mira a spezzare il sistema dell’istruzione, cioè il principale elemento di unità del paese.
Il cosiddetto federalismo mostra definitivamente il suo vero volto: razzista e nemico dei lavoratori.
Le motivazioni proposte per giustificare un provvedimento contrario ai più elementari principi di civiltà sono del tutto fasulle. Il problema della continuità didattica, che non è presente solo al nord, può essere affrontato solo con un corpo docente stabile (e lo stesso discorso vale per il personale ATA). Ciò si può fare solo risolvendo il problema del precariato, con l’immissione in ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici usati come tappabuchi da anni.
Facciamo un forte appello perché già nei prossimi giorni si sviluppi una forte mobilitazione per fermare queste indecenti proposte e per difendere l’istruzione pubblica .

Luca  Cangemi
Segretario Regionale Rifondazione Comunista

domenica 9 gennaio 2011

Sì ai diritti, No ai ricatti. La società civile con la Fiom

Appello a sostegno della Fiom e dello sciopero generale,
firma anche tu
















Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.
Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack

Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella


firma on line l'appello

giovedì 6 gennaio 2011

graduatorie scuola: continuiamo a lottare

















Passo indietro del governo sul congelamento delle graduatorie, ma il pericolo resta.

Improvvisamente, modificando quanto deciso in precedenza, il governo ha tolto dal testo del decreto “milleproroghe” il congelamento delle graduatorie dei precari della scuola.
Oltre che dalla confusione normativa che sempre ha caratterizzato l’azione di questo governo sulla scuola, la manovra probabilmente nasce dall’esigenza di temporeggiare, di fronte alle incerte sorti del “milleproroghe” e alle complicazioni che potrebbero nascere considerato il vasto contenzioso giurisdizionale aperto sulle graduatorie.
Il pericolo però non è per nulla svanito, da più parti si annuncia, infatti, la riproposizione delle graduatorie congelate, forse già con un emendamento durante la conversione in legge del decreto.
C’è poi, da aggiungere che il governo non sa cosa fare sul cosiddetto salvaprecari, giacché gli effetti dei tagli, contrariamente a quanto affermato dalla propaganda gelminiana, perdurano e si aggravano. Ed anche questo sarà un capitolo assai complicato che può incrociarsi con la questione delle graduatorie.
E’ quindi necessaria una forte mobilitazione che tenga alta l’attenzione sul problema del precariato nella scuola e chieda non solo che non siano ulteriormente colpiti i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, ma che finalmente si persegua una soluzione generale di stabilità che è indispensabile per il sistema pubblico dell’istruzione.

Luca  Cangemi
Segretario Regionale Rifondazione Comunista

mercoledì 5 gennaio 2011