sabato 30 aprile 2011

ricordiamo i compagni pio la torre e rosario di salvo

















Il 30 aprile 1982 a Palermo venivano assassinati  dalla mafia i compagni  Pio La Torre, Segretario Regionale del Partito Comunista Italiano, e Rosario di Salvo.
Una violenza assassina scatenata per fermare una straordinaria stagione di lotte  per la pace, contro l'installazione dei missili americani a Comiso, per impedire lo sviluppo di una iniziativa contro il sistema di potere politico-affaristico-mafioso.
Venivano così spezzate le vite di un dirigente che dalle lotte nelle campagne  alle aule parlamentari aveva rappresentato un punto di riferimento essenziale  e di un miltante simbolo di quel grande patrimonio di dedizione e passione che caratterizzava il PCI.
La grandezza del loro impegno e l'attualità delle loro idee ci appare sempre più chiara: l'esempio della lotta contro i missili a Comiso ha tracciato la strada a tutte le grandi mobilitazioni per la smilitarizzazione della sicilia, fino alla lotta contro il MUOS


giovedì 28 aprile 2011

retorica nazionalista, difesa della costituzione e guerra di libia

















di Alberto Rotondo 

Molti di noi recentemente si sono trovati a manifestare in piazze insolite. Erano bandite le bandiere di partito, delle organizzazioni sindacali e delle multiformi realtà associative che compongono il campo della cosiddetta  sinistra diffusa,  la piazza era invasa dai tricolore, manco fossimo a un’adunata di Forza Nuova.
Non si ascoltavano i consueti canti di lotta e non vi era traccia dell’energia dei nostri giovani e di musica rivoluzionaria sparata a palla da un camioncino: ci si sentiva orgogliosamente rivoluzionari  intonando l’obsoleto inno di Mameli , reduce dalla consacrazione sanremese della performance di Benigni.
Ricordo ancora il senso di sbigottimento che condividevo con i compagni di tante lotte e di tanti cortei: ogni volta che incrociavo il loro sguardo o mi capitava di scambiare qualche battuta , si finiva per chiedersi cosa ci stessimo a fare in quella piazza.
Certo, ci avevano convocato a difesa della Costituzione e la grande alleanza costituzionale si rendeva necessaria per incalzare il despota di Arcore che sta distruggendo la legalità repubblicana, tuttavia tanta insistenza patriottica, ingigantita dalle imminenti celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità di Italia, ci sono apparsi da subito sospetti.
Come ha bene evidenziato Alberto Burgio in un interessante articolo su Liberazione, pubblicato prontamente sul blog del circolo città futura  (http://circolocittafutura.blogspot.com/2011/03/la-retorica-del-tricolore-e.html) , tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento gli stati capitalistisci hanno nazionalizzato le masse per competere fra di loro nelle guerre coloniali e per contendersi materie prime e mercati , ed è conseguenza diretta sul piano storico di quella che è stata definità l’eta degli imperialismi la disperata corsa agli armamenti che portò alle vergognose avventure coloniali italiane, alla barbarie fascista, alla tragedia delle due guerre mondiali.
A questi turpi aspetti della vicenda nazionale italiana non si è fatto cenno nelle celebrazioni unitarie che sono state accompagnate, invece, da un inedito attivismo in politica estera del Presidente della Repubblica .
Il  Presidente Napolitano non ha mancato di ricordare a ogni piè sospinto nelle sue esternazioni pubbliche il supremo interesse nazionale che ci spinge a partecipare alla coalizione dei volenterosi , responsabile dell’aggressione militare della Libia.
Di quale unità nazionale il Presidente della Repubblica  è supremo garante?
Di quella scaturita dalla lotta di liberazione, di quella “patria repubblicana” che ripudia la guerra come atto di risoluzione delle controversie internazionali  ?
Tanta retorica nazionalista serve a dissimulare la realtà.
Intorno alla vicenda libica girano vorticosamente una miriade di interessi economici e geopolitici di fondamentale importanza, e su questo penso che ci sia un sostanziale accordo nella comune opinione.
Quello che spesso si dimentica è che la pratica della guerra permanente, variamente presentata al le opinioni pubbliche nazionali con il ricorso a categorie come quella di “guerra al terrorismo” o quella particolarmente odiosa di “guerra umanitaria”, negli ultimi anni si è costituita come paradigma produttivo prevalente di un capitalismo in continua ricerca di nuove occasioni di valorizzazione.
Gli Stati Uniti d’America negli anni sciagurati dell’amministrazione Bush hanno finanziato in deficit le devastanti guerre del Golfo e la guerra in Afghanistan, attraverso il ricorso a un poderoso indebitamento pubblico , favorito dal signoraggio del  dollaro sui mercati internazionali,  generando così immensi profitti per le multinazionali degli armamenti e dei servizi per la ricostruzione postbellica.
Dopo la crisi finanziaria dei mutui subprime , le politiche di  alleggerimento monetario della Federal Reserve hanno inondato di liquidità nuova di zecca i mercati del capitale.
L’interrogativo inquietante che si impone è presto formulato: quali altre guerre e devastazioni questi capitali andranno a finanziare?
Siamo di fronte a un ‘ulteriore concretizzazione storica di quella “distruzione creatrice” che Schumpeter individuava come caratteristica principe dei sistemi capitalistici e modalità tipica con cui il capitalismo cerca di uscire dalle crisi che le sue stesse contraddizioni interne producono.
La Domenica del Corriere, giusto un secolo fa, all’inizio della campagna di Libia, domandava retoricamente agli italiani :
"Che fare? Rassegnarsi alla petulanza ottomana? Ripiegare una bandiera che da lunga teoria di secoli è simbolo di civiltà?"
Noi sappiamo che fare?
 Dobbiamo definitivamente ammainare le bandiere della civilizzazione colonialista occidentale e innalzare orgogliosamente le bandiere della pace, della solidarietà internazionalista e del lavoro.
Speriamo di ricordarcene alle prossime manifestazioni.

mercoledì 27 aprile 2011

sigonella, ancora base di guerra

 


Decollano da Sigonella i Predator contro la Libia

di Antonio Mazzeo (da "Liberazione")

Operano da Sigonella gli aerei senza pilota UAV MQ-1 Predator che il Pentagono ha destinato per le operazioni di bombardamento in Libia. La notizia, filtrata nei giorni scorsi su alcuni quotidiani statunitensi, ha trovato l’autorevole conferma dell’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra. Secondo l’ultimo rapporto del centro studi sulle unità alleate impegnate nell’operazione “Unified Protector”, meno di una settimana fa due squadroni dell’US Air Force con velivoli Predator sono stati schierati nella base siciliana. Un drone è stato utilizzato la prima volta sabato 23 aprile per distruggere una batteria di missili libici nei pressi del porto di Misurata; un secondo raid è stato sferrato invece a Tripoli nella tarda mattinata del 24 contro un sistema anti-aereo “SA-8”. Quest’ultimo attacco avrebbe subito un ritardo sulla tabella di marcia stabilita dagli operatori di terra del Predator. “Nei pressi della postazione missilistica sorge un campo di calcio dove era in corso un incontro di football tra numerosi civili”, riporta una nota del comando NATO per le operazioni di guerra in Libia. “L’attacco è stato eseguito solo dopo che tutte le persone si erano allontanate dall’area suddetta”.
“I velivoli senza pilota Predator accrescono l’abilità delle forze NATO a spiare 24 ore al giorno tra gli angoli più inaccessibili del campo di battaglia libico e a colpire con attenzione e precisione”, ha dichiarato l’ammiraglio Russ Harding, vice-comandante della coalizione alleata. “Questi bombardamenti continueranno e noi chiediamo ai civili che vivono nelle regioni interessate di tenersi il più possibile distanti dalle forze armate di Gheddafi e dalle loro installazioni, in modo di poter colpire con maggiore successo e con il minimo rischio per la popolazione”. Alla luce di quanto avvenuto in Afghanistan, Pakistan e Yemen dove gli UAV hanno prodotto una interminabile sequela di vittime “collaterali”, l’ammonimento USA assume connotati minacciosi e inquietanti. L’autorizzazione del presidente Obama all’impiego dei velivoli teleguidati contro la Libia è giunta poi qualche ora dopo la notizia che quattro missili sganciati da un Predator contro l’accampamento militare di Spinwam, in Pakistan, aveva causato la morte di 25 persone, tra cui cinque donne e quattro bambini.
Realizzato dalla General Atomics Aeronautical Systems Inc., il Predator è descritto come un “aereo senza pilota di medie altitudini e lunga durata”. Di appena 8,22 metri di lunghezza, gode di un’autonomia di volo di 40 ore e può volare sino ad un’altezza di 9.000 metri sul livello del mare. I sensori ottici e i sistemi di video-sorveglianza possono individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma più che un aereo spia, il Predator è un’arma letale da first strike, in grado d’individuare, inseguire ed eliminare l’obiettivo con estrema precisione grazie ai due missili aria-terra a guida laser AGM-114 “Helfire” di cui è armato. Un sistema operativo completo MQ-1 Predator consiste di quattro aerei, una stazione di controllo terrestre, un Predator Primary Satellite Link e del personale addetto alle operazioni di guida e di manutenzione (in forza al 15° e al 17° Squadrone “riconoscimento” della base aerea di Creech-Las Vegas, Nevada).
Per le operazioni d’intelligence e di guida degli attacchi, il Pentagono utilizza pure un altro tipo di velivolo senza pilota, l’RQ-4 Global Hawk (“falco globale”), prodotto dalla Northrop Grumman. Il viceammiraglio William Gortney, in una sua recente intervista alla stampa statunitense, ha confermato che il Global Hawk “sta fornendo una sorveglianza continua del territorio libico, eseguendo missioni di volo dalla base aerea di Sigonella”. Di dimensioni nettamente maggiori del Predator, il “falco globale” gode di un’autonomia di volo ci circa 30 ore e può volare a 60.000 piedi di altezza in qualsiasi condizione meteorologica. Dopo aver ingrandito con i propri visori di bordo le immagini captate e calcolate le coordinate geografiche dei potenziali obiettivi, il Global Hawk invia le informazioni ai centri di analisi terrestri e agli aerei-radar AWACS della NATO (questi ultimi operativi da Trapani-Birgi) che stabiliscono i target da bombardare con i cacciabombardieri, i missili da crociera e gli UAV.
Il ruolo strategico di Sigonella nelle operazioni in Libia è consacrato pure dai velivoli pattugliatori P-3C “Orion”, gioielli dell’intelligence navale convertiti in aerei d’attacco: la US Navy ha dotato infatti gli “Orion” dei missili aria-superficie AGM-65 “Maverick”, utilizzati per la prima volta a fine marzo a Misurata per distruggere l’unità della Guardia coste “Vittoria” e due piccole imbarcazioni militari libiche. La base siciliana funziona da vero e proprio hub per la movimentazione di uomini, mezzi e sistemi d’arma destinati allo scacchiere libico. Sigonella offre il supporto tecnico-logistico agli aerei a decollo verticale V-22 “Ospreys” (in dotazione all’unità anfibia USS Kearsarge, nave-comando del gruppo navale d’assalto dislocato nel Mediterraneo), agli elicotteri CH-46 “Sea Knight” e CH-53E “Super Stallion” del Corpo dei marines, e ai cacciabombardieri F-15 ed F-16 “Fighting Falcon” che l’US Air Force ha trasferito nel Canale di Sicilia. Da Sigonella partono inoltre i ricognitori Boeing RC-135 “Rivet Joint”, i velivoli di sorveglianza elettronica EP-3E “Aries II”, quelli per il rilevamento dei segnali radar EA-18G “Growlers” e gli aerei cisterna KC-130 e KC-135 utilizzati per il rifornimento dei velivoli impegnati nei raid, compresi i cacciabombardieri strategici B-2 (gli “aerei invisibili”).
Se l’amministrazione Obama farà sue le richieste del senatore repubblicano John McCain, fautore di un maggiore impegno statunitense nel conflitto contro Gheddafi, a Sigonella verranno schierati pure gli aerei A-10 “Thunderbolt” e AC 130 “Spectre”, infernali strumenti di morte dell’US Air Force. Il “Thunderbolt” è armato di un cannone lungo più di sei metri, il GAU-8/ “Avenger” (vendicatore), in grado di sparare fino a 4.200 colpi in un minuto. I proiettili di 30 centimetri contengono ognuno 300 grammi di uranio impoverito per perforare blindati e carri armati. Conti alla mano, ad ogni raffica “Avenger” disperde nell’ambiente più di 15 chili di microparticelle radioattive. Lo “Spectre”, invece, può essere dotato, alternativamente, di un cannone da 105 millimetri o da cannoncini da 40 e 25 millimetri con proiettili perforanti anti-carro.
Secondo l’International Institute for Strategic Studies di Londra a Sigonella sono infine schierati sei cacciabombardieri F-16AM dell’aeronautica danese (armati di bombe GBU-49 da 500 libbre); otto cacciaintercettori JAS-39 e un aereo cisterna Tp-84 dell’aeronautica militare svedese; due pattugliatori marittimi Lockheed CP-140 “Aurora” (con missili MK-46 Mod V), canadesi; sei caccia F-16C e un aereo cisterna Boeing KC-135 “Stratotanker”, turchi.

martedì 26 aprile 2011

festa della liberazione, solidarietà con i migranti
















Il 25 aprile a Mineo ho incontrato per la terza volta Bashir.
Bashir è un ragazzo pakistano di etnia pashtun che vive al villaggio degli aranci a Mineo.
 E’ in Italia da cinque mesi e, dopo essere stato ospite del CARA di Ancona, è stato deportato a Mineo.
So bene come ai benpensanti  possa apparire come un esercizio di retorica l’utilizzo del termine deportazione. Tale termine evoca negli animi e nelle menti di tutti noi la memoria dell’estrema barbarie nazista e l’orrore dei campi di sterminio. Mi vengono in mente le tante anime belle che affollano commossi ogni anno le  iniziative promosse, in occasione della giornata della memoria ,per ricordare la tragedia della Shoah e penso, con sconforto, come a volte, e al di là delle nobili intenzioni di chi le ha promosse,  le commemorazioni acquistino il significato di un rito laico, una liturgia sacrale che diventa complice della più grande rimozione degli ultimi anni. I campi di concentramento non erano solo ad Auschwitz o a Treblinka.
Un campo di concentramento, per esempio, sorgeva   almeno fino all’inizio della crisi libica a Sebha.  Sebha è una ridente località del deserto del Sahara, dove in condizioni di vita disumane, peggiorate dalla difficile situazione climatica, erano deportati dal governo libico i rifugiati politici etiopi, eritrei e somali, in virtù dell’accordo criminale che Gheddafi aveva stipulato con il governo italiano. La deportazione nel deserto  di centinaia di uomini e donne era il risultato della politica dei respingimenti collettivi. La deportazione a Mineo è frutto della stessa politica criminale.
La fenomenologia dell’esclusione sociale è assai varia, come sofisticate ci appaiono le moderne tecnologie con cui il potere riproduce la marginalizzazione e l’oppressione dei corpi e  dei loro desideri. Costringere un essere umano a seguire rigorosamente le ferree regole di condotta che disciplinano la vita in un campo, significa reprimere ogni e più profonda istanza di personale liberazione.
Ma l’indignazione è ancora più forte laddove si pensi che Mineo è un non-sense anche qualora volessimo applicare gli aridi schemi di un’analisi costi-benefici.  Lo spostamento di circa 1600 richiedenti asilo da tutta Italia a Mineo è un’operazione costosa: non è ancora certa la misura delle compensazioni economiche che andranno alla Pizzarotti, società che gestisce i servizi logistici per le basi americane in Italia, l’unico risultato certo sono l’allungamento delle procedure per la concessione del diritto di asilo e lo sprofondare in una terribile condizione esistenziale di Bashir e degli altri ospiti del campo di concentramento di Mineo.
Bashir è un ragazzo colto e gentile, parla perfettamente inglese e fugge da Peshawar e dal tentativo dei talebani di intrupparlo in uno dei tanti campi di addestramento paramilitare della regione.
Con lui e con tanti come lui ho passato la festa della Liberazione : non una sterile commemorazione ma un richiamo attuale e concreto alle necessità della lotta. 

Alberto Rotondo

l'ipocrisia della guerra umanitaria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tranquilli siamo in Guerra (ma solo per la pace, però)

di Francesco Caudullo

Il Presidente delle Repubblica è, finalmente, intervenuto in merito alla vera sorpresa pasquale donataci da Berlusconi, ovvero si è espresso a proposito dell’imminente partecipazione del nostro Paese ai prossimi bombardamenti in Libia. E tale intervento presidenziale, lo confesso, mi ha particolarmente deluso poiché da Giorgio Napolitano tutto mi sarei aspettato fuorché lo sta bene, il “placet”, a ciò che Egli ha definito "il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa e, quindi, confortata da ampio consenso in Parlamento". Certo da colui che è il “garante supremo” della nostra costituzione repubblicana sarebbe stato d’uopo un richiamo all’Articolo 11 della nostra carta costituzionale. 

Vi ricordate l’Articolo 11 della nostra costituzione?

Quello che testualmente dice:

 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Pensando a quanto fatto dai suoi predecessori, mi aspettavo il possibile “atteggiamento di coerenza” da parte di Napolitano, che vuol dire nessun accenno a tale articolo, ma almeno speravo in un invito alla calma, alla ponderazione. Forse anch’Egli gongola per il “grande apprezzamento” espresso da Barack Obama nei confronti dell’Italia prossima belligerante in Libia (ma in nome della “Pace”)?

Forse con quel “ampio consenso in Parlamento”, che al sottoscritto sfugge, il Presidente faceva riferimento all’acquiescenza anche su tali temi di un’opposizione inconsistente incapace di rispondere politicamente al governo Berlusconi ed incline alla sola indignazione nei confronti dall’immorale Premier?

Ma che opposizione è quella che, invece di alzare la voce sulla Guerra (perché di guerra si tratta!), assistendo all’ennesima divergenza intera-governativa con i leghisti, si limiti a urlare, come spesso le capita, che “la maggioranza non esiste più” mentre questa da parte sua opera come vuole. E gli unici che mettono in piedi un minimo di reazione coerente sono i cattolici!

La cosa non mi garba affatto, amici miei... e poi c’è un dettaglio che m’infastidisce ulteriormente, e cioè che questa ipocrisia della guerra umanitaria sia una guerra della Nato.

Bisognerebbe ricordare a qualcuno che la Nato non è l’Onu e che, nonostante quest’ultima sia assai discutibile come istituzione (e lo ha ampiamente dimostrato in questo ultimo ventennio), solo all’Organizzazione delle Nazioni unite può essere attribuito un ruolo formale d’intervento finalizzato alla risoluzione delle controversie internazionali. E’ chiaro che ciò lasci il tempo che trovi, ma ha comunque una sua rilevanza. La Nato è invece un potente residuato della Guerra fredda, una coalizione, speculare alla SEATO per il Sud-Est asiatico, che garantiva alla superpotenza statunitense il controllo della propria sfera d’influenza e che operava in funzione anti-sovietica. Nonostante siano passati tre decenni dal crollo del Muro di Berlino la Nato è ancora lì ed opera, senza alcuna legittimazione internazionale (che sarebbe a mio avviso ugualmente discutibile), nell’interesse esclusivo degli Stati Uniti e, in seconda battuta, dei paesi occidentali e dei nuovi membri (Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca nel 1997, Romania, Bulgaria, Lettonia, Estonia, Lituania e Slovacchia nel 2004 e di recente Albania e Croazia) che ne fanno parte.

Questa precisazione è rilevante, forse urgente, perché di fatto smonta ogni giustificazione del governo italiano rivelando che le recenti richieste di una legittimità Nato rispetto alla bilateralità iniziale dell’attacco sferrato da inglesi e francesi, così come le giustificazioni di oggi, non sono altro che la pretesa che ciò che resterà della Libia non sia un domani un affare esclusivo anglo-francese. In altre parole, prima attraverso il supporto logistico alle operazioni militari della prima ora, quelle che dovevano essere secondo la Farnesina dirette dalla Nato, si è iniziato a porre rimedio a ciò che dal  punto di vista del nostro governo pareva uno “scippo” (ci si riteneva al sicuro con gli accordi tra Italia e Libia della scorsa estate), poi con la recente affermazione di Berlusconi l’Italia ha iniziato a rivendicare la sua fetta di torta. In entrambi i casi non è mai stata pronunciata la parola “GUERRA” e questo perché da tempo, ossia da quando il governo D'Alema ha sacrificato in Kossovo la verginità del nostro Paese per la causa dei “diritti umani”, abbiamo imparato a recitare la nostra parte, ovviamente quella dei “buoni”, che oggi con un bel po’ di “missioni bontà” sul groppone recitiamo al meglio. E così ci sta che, fedeli al copione (o forse “fedeli alla linea”), La Russa (con il quale condivido solo la mia passione per l’Inter) e Frattini alleggeriscano la gravità di ciò che stiamo per fare. Del resto si tratterà solo di "missioni con missili di precisione su obiettivi specifici", ci rassicura il Ministro della Difesa, per capirci quello con il pizzetto e gli occhi spiritati, poiché  l’obiettivo sarà quello di "evitare ogni rischio di colpire la popolazione civile". E poi, come ha dichiarato quello degli Esteri (Ministro, s’intende!) ciò è "la naturale prosecuzione di una missione che non cambia", il venire incontro "ad una precisa richiesta arrivata dai ribelli di Bengasi". Del resto (perdonatemi tale ripetizione), a distanza di un mese non siamo più impossibilitati, come ebbe a rimarcare proprio Frattini, ad intervenire in ragione del nostro “passato coloniale” poiché nel frattempo siamo divenuti abbastanza maturi per poter contribuire serenamente, con amorevoli bombardamenti, alla causa dei ribelli ed alla costruzione di una nuova Libia democratica.

Chi ha ragione?

Chi ha torto?

Mentre tutti, tranne l’alleato leghista, si sfregano le mani e monta l’ansia che precede il nostro “esordio” nella missione pacifica in Libia, continuiamo a non sapere nulla su ciò che realmente sta succedendo a Tripoli bel suol d’amor e dintorni. Ci sono morti, non ci sono cadaveri, i ribelli soffrono a Misurata, i ribelli gioiscono a Misurata. In un bombardamento (missione compiuta, alleluya!) viene distrutto solo qualche quartiere generale di Gheddafi, ma secondo alcuni quell’edificio è il solo in piedi nel mezzo di un cumulo di macerie. E poi c’è Emergency che va via, che lascia la Libia e si rifugia a Malta.

E’ inutile chiedersi chi abbia ragione e quale sia la versione più fedele alla realtà poiché è scontato che nulla sia più soggettivo della realtà. Di certo c’è, però, l’insostenibile peso dell’ipocrisia umanitaria, la condivisione di una menzogna posta a giustificazione di ciò che, vigendo ancora nel nostro Paese la costituzione del 1946-48, Noi tutti dovremmo ripudiare: la GUERRA.

E signori miei, pensatela come volete, la guerra non è mai giusta. Non lo è neanche quella santa… figuriamoci quella ipocrita per la pace!

domenica 24 aprile 2011

un augurio di pace tra i popoli e verso tutte le specie viventi






















"Siamo membri di un’unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri  dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto è nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l’equilibrio  ecologico della Terra, nonche’ i diritti fondamentali e la  sopravvivenza delle altre specie e di tutta l’umanita’. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne’ di trattarli con crudelta’ e violenza". Vandana Shiva

"Gli animali che vivono una vita semplice e libera non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini. E tuttavia continuiamo a crederci superiori agli animali". Gandhi

"Credo che uccidere qualsiasi creatura vivente, sia un po' come uccidere noi stessi e non vedo differenze tra il dolore di un animale e quello di un essere umano." Margherita Hack

"Sono convinto che gli uomini arriveranno veramente a non uccidersi tra di loro,quando arriveranno a non uccidere più gli animali." Aldo Capitini

sabato 23 aprile 2011

vandana shiva: le guerre dell'acqua e l'ecologia della pace






















Nel 1995 Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca mondiale, fece una previsione sulle guerre del futuro che ha avuto grande risonanza: "Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua". Molti segnali fanno pensare che Serageldin abbia ragione. Le prime pagine di quotidiani, riviste e pubblicazioni accademiche parlano di insufficienza idrica in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana e Stati Uniti. Il 16 aprile 2001 il "New York Times" apriva con un articolo sulla scarsità idrica in Texas. Come Serageldin, il quotidiano annunciava: "Per il Texas, oggi, l’oro liquido è l’acqua, non il petrolio". Se è vero che il "New York Times" e Serageldin hanno ragione sull’importanza dell’acqua nei conflitti di domani, è anche vero che le guerre dell’acqua non sono un’eventualità futura. Ne siamo già circondati, anche se non sempre sono immediatamente riconoscibili come tali. Sono al tempo stesso guerre paradigmatiche – conflitti su come percepiamo e viviamo l’esperienza dell’acqua – e guerre tradizionali, combattute con armi da fuoco e granate. Lo scontro tra diverse culture dell’acqua è un fenomeno comune a tutte le società. [...] Guerre paradigmatiche sull’acqua sono in corso in ogni società, in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud. In questo senso quelle dell’acqua sono guerre globali, in cui culture ed ecosistemi diversi, accomunati dall’etica universale dell’acqua come necessità ecologica, sono contrapposti a una cultura imprenditoriale fatta di privatizzazione, avidità e appropriazione di quel bene comune. Su un fronte di queste contese ecologiche, di queste guerre paradigmatiche, si trovano milioni di specie e miliardi di persone che chiedono quel minimo di acqua necessaria al sostentamento. Sul fronte opposto c’è una manciata di imprese globali, dominate da Suez Lyonnaise des Eaux, Vivendi Environment e Bechtel, e sostenute da istituzioni globali quali la Banca mondiale, la World Trade Organization (Wto), il Fondo monetario internazionale (Fmi) e i governi del G7.
Accanto a queste guerre di paradigma ci sono le guerre vere e proprie, conflitti per l’acqua che si combattono a livello regionale, o all’interno dello stesso paese o della stessa comunità. Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla contesa sulle scarse ma vitali risorse idriche. In alcuni conflitti il ruolo dell’acqua è esplicito, come nel caso della Siria e della Turchia, dell’Egitto e dell’Etiopia.
Ma molti conflitti politici sulle risorse sono celati o repressi. Chi controlla il potere preferisce far passare le guerre dell’acqua per conflitti etnici e religiosi. Si tratta di coperture facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società pluralistiche che presentano una grande diversificazione di etnie, lingue e usanze. È sempre possibile trasformare i conflitti sull’acqua che scoppiano in queste zone in contrasti tra regioni, religioni ed etnie. Nel Punjab, una componente importante del conflitto che negli anni ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. Ma lo scontro, basato su un diverso modo di vedere lo sviluppo anche a proposito dell’uso e della distribuzione dei fiumi del Punjab, è stato presentato come un caso di separatismo sikh. Una guerra per l’acqua è diventata una guerra di religione. Queste rappresentazioni fuorvianti delle guerre svuotano di energia politica – un’energia di cui si sente un enorme bisogno – la ricerca di soluzioni eque e sostenibili al problema della spartizione dell’acqua. Qualcosa di simile è accaduto alla contesa per la terra e l’acqua tra palestinesi e israeliani. Uno scontro sulle risorse naturali viene presentato come un conflitto di carattere principalmente religioso tra musulmani ed ebrei.
Nel corso degli ultimi due decenni ho visto conflitti sullo sviluppo o sulle risorse naturali trasformarsi in conflitti della comunità e culminare in estremismo e terrorismo. Il mio libro Violence of the Green Revolution era un tentativo di comprendere l’ecologia del terrorismo. Le lezioni che ho tratto dalle crescenti e diversificate espressioni del fondamentalismo e del terrorismo sono le seguenti:
1. I sistemi economici non democratici che centralizzano il controllo sulle decisioni e sulle risorse e sottraggono alla popolazione occupazioni produttive e mezzi di sostentamento creano una cultura dell’insicurezza. Qualsiasi scelta strategica viene tradotta in una politica di "noi" e "loro". "Noi" siamo stati trattati ingiustamente, mentre "loro" hanno acquisito privilegi.
2. La distruzione del diritto alle risorse e l’erosione del controllo democratico sui beni naturali, sull’economia e sui mezzi di produzione minano l’identità culturale. Se l’identità non si forma più grazie all’esperienza positiva dell’essere un agricoltore, un artigiano, un insegnante o un infermiere, la cultura si riduce a un guscio negativo in cui la propria identità entra in competizione con "l’altro" per accaparrarsi le scarse risorse che definiscono il potere politico ed economico.
3. I sistemi economici centralizzati erodono anche la base democratica della politica. In una democrazia, l’agenda economica coincide con l’agenda politica. Quando della prima si appropriano la Banca mondiale, il Fmi e il Wto, la democrazia risulta decimata. Le sole carte che restano nelle mani dei politici desiderosi di raccogliere voti sono quelle della razza, della religione e dell’etnia, che hanno il fondamentalismo come conseguenza naturale. E il fondamentalismo riempie efficacemente il vuoto lasciato da una democrazia in disfacimento. La globalizzazione economica sta alimentando l’insicurezza economica, erodendo la diversità e l’identità culturale e aggredendo le libertà politiche dei cittadini. E fornisce terreno fertile al seme del fondamentalismo e del terrorismo. Anziché integrare le popolazioni, la globalizzazione d’impresa sta lacerando le comunità.
La sopravvivenza della popolazione e della democrazia dipenderà dalla risposta al duplice fascismo della globalizzazione – il fascismo economico che nega alle persone il diritto alle risorse, e il fascismo fondamentalista che si nutre di espulsioni, espropriazioni, insicurezza economica e paura.
Vandana Shiva (da Le guerre dell'acqua)

gaza, ultimo saluto a vittorio arrigoni: non ti dimentichiamo





venerdì 22 aprile 2011

oggi, la Madre Terra è ferita e il futuro dell’umanità è in pericolo






















"Il sistema capitalista ci ha imposto una logica di competizione, progresso e cresctia illimitata. Questo regime di produzione e consumo insegue profitti senza limiti, separando l’umanità dalla natura all’insegna di una logica di dominazione della natura, e mercificando ogni cosa: l’acqua, la terra, il genoma umano, le cultura ancestrali, la biodiversità, la giustizia, l’etica, i diritti dei popoli, la morte e perfino la vita stessa. Il capitalismo considera la Madre Terra solo in una fonte di materie prime, e gli esseri umani un mezzo di produzione un esercito di consumatori, persone che valgono in relazione a quello che possiedono, e non a quello che sono. Il capitalismo ha bisogno di una grande industria militare per supportare i suoi processi di accumulazione e di controllo di territorio e risorse naturali, con conseguente repressione della resistenza dei popoli. Si tratta di un sistema imperialista di colonizzazione del pianeta"

"L’umanità si trova di fronte ad un dilemma: continuare sulla strada di capitalismo, distruzione e morte, oppure intraprendera una strada diversa, la strada dell’armonia con la natura, del rispetto e della vita"

L'accordo tra i popoli propone di:
“riconoscere la Madre Terra come fonte di vita e creare un nuovo sistema basato sui principi di : armonia ed equilibro di tutti con il tutto; complementarietà, solidarietà ed equità; benessere collettivo e soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti, in armonia con la Madre Terra; rispetto dei Diritti della Madre Terra e dei Diritti Umani; riconoscimento dell’essere umano per ciò che è e non per ciò che ha; abolizione di ogni forma di colonialismo, imperialismo ed interventismo; pace tra i popoli e con la Madre Terra”.

(estratti dall'Accordo tra i popoli - Conferenza di Cochabamba sul clima e la Terra promossa da Evo Morales)

la battaglia per l'acqua bene comune


Anche in Italia siamo giunti a un punto cruciale per salvaguardare l’acqua  dai processi di appropriazione privata ed espropriazione delle risorse e affermarne la natura di bene comune, che ogni collettività deve gestire nell’interesse generale. L’acqua è un elemento essenziale per la vita e per la specie umana è necessaria non solo per sopravvivere ma anche per svolgere molte delle principali attività, da quelle igienico-sanitarie a quelle industriali e scientifiche. Per questo, essa è in realtà sempre stata oggetto di interesse e di governo da parte del potere politico così come di conflitti tra comunità o tra gruppi sociali. È facile richiamare alla mente il grande ruolo che le acque del fiume Nilo ebbero nella costruzione del grande impero egiziano, ben prima dell’ascesa di Roma, e nella ricchezza della civiltà egizia fino ad ora; così come si ricordano le grandi opere di idraulica del passato sapientemente realizzate, dagli antichi greci alle dinastie arabe e agli imperi mesopotamici.
Queste esperienze e le logiche di dominio o di semplice organizzazione sociale che esse testimoniano non sono estrinseche alla politica, che è proprio lo spazio della decisione e del controllo sulle risorse sociali. La politica è sempre stata prima di tutto geo-politica, perché l’egemonia e il controllo sociale si esercitano prevalentemente attraverso l’amministrazione della ricchezza collettiva, per cui la cosa pubblica (la res publica) è essenzialmente l’insieme delle risorse che costituiscono oggetto dell’interesse comune (interesse generale/interesse pubblico) dei cittadini di una collettività. Rispetto a questo scenario costante, è possibile individuare un processo che ha contrassegnato le decisioni pubbliche negli ultimi decenni e che ha marcato un mutamento di strategia da parte delle élite sociali dominanti. I ceti dominanti hanno cambiato visione del mondo mettendo in campo una rappresentazione della realtà di tipo individualistico e radicalmente economicistica e sulla base di questa hanno ridefinito le politiche concrete e, quindi, il rapporto tra singolo (individuo/cittadino) e Stato. Questo processo culturale, che in verità esalta l’antropologia individualistica del pensiero liberale classico su cui si è costruita l’intera esperienza della Modernità è il frutto di una vera e propria strategia di superamento degli approdi raggiunti dalle società europee e nordamericane nei cosiddetti “trent’anni gloriosi”, che hanno nell’esperienza del Welfare State il modello politico-sociale di riferimento.
Si tratta di una contromossa rispetto alla situazione che negli anni ’70 del Novecento si era determinata e in cui le masse popolari e salariate, attraverso le rappresentanze sindacali e partitiche, premevano per una ulteriore fase di redistribuzione della ricchezza e di democratizzazione delle istituzioni politiche. La contromossa, come affermano alcuni analisti, è consistita in un’offensiva prima di tutto culturale che puntava a ribaltare il senso comune secondo cui la collettività, le istituzioni pubbliche, lo Stato, avrebbero il compito di decidere delle risorse sociali per assicurare a tutti le condizioni di una vita decente. Inizia a diffondersi la dottrina (una vera e propria visione del mondo) incardinata sull’idea di bisogni individuali e sull’idea della capacità di ciascuno di procacciarsi i beni per soddisfare le proprie esigenze e/o i proprii desiderii. Questa impostazione culturale, filosofica, antropologica sta dietro l’affermazione dirompente, divenuta senso comune dei ceti dirigenti di tutto il globo, della piattaforma politica imperniata sui principi della privatizzazione, deregolamentazione, liberalizzazione e, in generale, sul principio che il modello di organizzazione della ricchezza costituito dall’economia di mercato sia il più efficace, anche per la  equa distribuzione tra i cittadini. Per tal via, i meccanismi dell’economia mercantile sono assurti a modello privilegiato dell’organizzazione sociale. Un cambiamento di paradigma che è clamorosamente visibile nella considerazione dell’acqua come bene primario.
Per la concezione tradizionale e per una visione comunitaria dello stare insieme l’acqua è sempre stato un bene naturale, parte dell’ecosistema e dono vitale, necessario per tutti i principali bisogni umani e, seppure tendenzialmente inesauribile perché parte del ciclo biologico e, perciò, elemento rinnovabile, patrimonio della collettività da preservare nell’interesse di tutti. Per la concezione mercantilistico/individualistica, che si afferma definitivamente nella prima metà degli ultimi anni ’90 come ideologia delle società uscite vincitrici dallo scontro della guerra fredda, l’acqua è una risorsa di grande valore, ovviamente, ma prima di tutto lo è perché bene scarso. Per cui, la sua essenzialità diventa valore e ne fa bene prezioso sotto il profilo della logica economica. Sulla base della esauribilità della risorsa idrica e della incertezza della sua reperibilità se ne afferma la scarsità e, quindi, la sua rilevanza economica. È questo un passaggio di grande rilevanza e lo è perché accade per l’acqua ciò che è accaduto per la totalità delle ricchezze sociali o dei beni di interesse generale che definiamo solitamente beni o servizi pubblici. La svolta culturale di cui stiamo parlando si incardina su alcune affermazioni della teoria economica dominante, capitalistica e individualistica. La prima di queste tesi è che le dinamiche dell’economia di mercato, basate primariamente sul meccanismo della domanda e dell’offerta, garantiscano la migliore allocazione delle risorse tra gli attori sociali e la migliore definizione del prezzo monetario di un determinato bene. Un bene diventa oggetto di mercato, cioè una merce, quando vi è una domanda (una richiesta, un bisogno) di esso che non può essere soddisfatta illimitatamente e senza alcuno sforzo. In tale prospettiva,  un bene è merce non se è oggetto di scambi mercantili ma se è un bene (una risorsa) scarso rispetto alla domanda di esso, in quanto tale è oggetto di dinamiche mercantili.
 L’applicazione del paradigma economico-mercantile a un bene come l’acqua realizza una vera e propria rivoluzione epistemologica, perché trasforma l’accesso di ogni singolo essere umano all’acqua nel risultato di un’operazione di acquisizione, nel mercato, della quantità che può permettersi di acquistare con i mezzi monetari di cui dispone, invece che considerare compito primario della collettività, attraverso le sue istituzioni, garantire l’accesso a ciascun singolo alla quantità d’acqua necessaria per vivere e svolgere tutte le essenziali attività igieniche. L’accesso all’acqua diventa un bisogno da soddisfare nella competizione mercantile per accaparrarsi le risorse, senza riguardo per un’equa distribuzione del bene, in considerazione della sua necessità vitale, perché ciascuno viene concepito come soggetto portatore di esigenze che può soddisfare sulla base del denaro che possiede. È rilevante notare come questa impostazione implichi una tendenziale indifferenza nei confronti delle esigenze altrui, perché ciascuno è legittimato ad appropriarsi della quantità del bene che vuole (per irrigare campi da golf, per curare il proprio prato) senza esser chiamato a tener conto di bisogni essenziali di altri; ad azionare questa logica è il criterio e presupposto della scarsità. Un concetto che in realtà presiede tutto il paradigma ‘mercatista’ che sostiene la maggiore efficacia delle imprese private e, tendenzialmente, in concorrenza nel gestire qualsiasi risorsa, anche quelle di interesse primario per le collettività.
È perché un bene è scarso, quindi conteso, che deve essere affidato alla razionalità del mercato. Questo assunto però dà per vere due implicazioni del tutto arbitrarie. Prima di tutto la stessa nozione di scarsità, che è una nozione molto sfuggente e in realtà culturalmente determinata. Nel caso dell’acqua, la scarsità di cui oggi si parla per giustificarne l’affidamento alle dinamiche imprenditoriali è strettamente legata all’accettazione dogmatica di un sistema di organizzazione sociale, quello industrialista, che è proprio dell’economia capitalistica dominante, per cui la gran parte del consumo mondiale d’acqua è oggi causata da impieghi industriali e agricoli, questi ultimi secondo un modello intensivo e commerciale che è poco rivolto al fabbisogno delle collettività e molto al commercio per il profitto, non dell’agricoltore, ma del commerciante. L’altro assunto è poi alla base della svolta culturale ed epistemologica (ma in realtà antropologica) che si è ricostruita. Si tratta dell’affermazione che gli esseri umani non siano in grado di amministrare comunemente collegialmente e nell’interesse comune le risorse essenziali alla loro esistenza, perché rispetto a esse non può non scatenarsi la razionalità egoistica e strumentale insita nella natura umana (intesa seguendo Hobbes e Locke), per cui il modo più razionale per gestire risorse come l’acqua è affidarne il governo al mercato. Questa tesi in realtà sta alla base  delle attuali analisi e proposte politiche egemoniche e ha conquistato l’intero pianeta, dopo lo sfaldamento del blocco dell’Europa comunista, soprattutto grazie alle pressioni istituzionali e alle elaborazioni politiche delle due uniche agenzie delle Nazioni Unite veramente efficaci: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che insieme all’Organizzazione Mondiale del Commercio appaiono i veri artefici della globalizzazione.
Negli ultimi anni queste concezioni privatizzatrici e mercificanti dell’acqua hanno subito un’accelerazione anche in Italia, con l’attuale governo che ha imposto che tutti i comuni affidino entro qualche anno il servizio idrico a imprese private. Contro questo processo e contro il generale paradigma di espropriazione della vita, anche in Italia si è raggiunta una consapevolezza nuova ed è in corso una battaglia che mira a respingere la definizione della risorsa idrica come merce e fonte di profitto. Vincere i due referendum sull’acqua non avrebbe solo l’effetto di eliminare due norme centrali in questo processo di mercificazione ma potrebbe essere un passo inatteso per affermare che le collettività umane, come luogo pubblico in cui si dibatte del proprio presente e del proprio futuro, sono in grado di governare, nell’interesse comune, le risorse che sono essenziali a una vita umana decente. Perché lo spazio (che, è bene sottolinearlo, è uno spazio tutto politico) in cui si decide dell’acqua è la dimensione nella quale può determinarsi o l’appropriazione da parte di pochi del bene comune o la riaffermazione di una decisionalità collettiva e democratica e, in definitiva, della sovranità popolare.

Giovanni Messina  (da rebus magazine)

giornata della terra: difendiamo l'acqua bene comune, fermiamo il nucleare


martedì 19 aprile 2011

25 aprile contro la guerra ed il razzismo: la Resistenza continua!























La Sicilia è la regione d’Italia maggiormente coinvolta dalle scellerate scelte governative di guerra. le basi militari USA, italiane e Nato di Trapani-Birgi, Sigonella, Augusta, Pantelleria e Niscemi stanno contribuendo direttamente ai bombardamenti; inoltre nella baia di Augusta approdano sommergibili con pericolosi ed insicuri reattori nucleari. In particolare da Sigonella operano i cacciabombardieri NATO e i micidiali Global Hawks dell’US Air Force, gli aerei senza pilota che decollano a pochi km dal terzo aeroporto italiano per traffico passeggeri (Catania-Fontanarossa. La risoluzione ONU n. 1973 ha portato altre sofferenze al popolo libico oltre quelle già inferte dal regime di Gheddafi. L’obiettivo delle potenze europee e degli USA non è la difesa dei diritti umani, ma le risorse energetiche (giacimenti di petrolio e gas), rese ancora più preziose di fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale e dalla inevitabile escalation dei prezzi.Di fronte agli aerei e alle navi militari che stanno bombardando la Libia, non ci si può che indignare ricordando come niente di tutto questo fu messo in campo mentre le forze armate israeliane bombardavano la popolazione palestinese rinchiusa a Gaza tra il 2008 e il 2009 (1.400 i morti, la metà civili inermi). Due pesi e due misure? No, complicità con i crimini di guerra e interessi strategici che prevalgono sistematicamente su ogni diritto umano e dei popoli.Intanto nella nostra isola si sperimentano le nuove politiche segregazioniste del ministro Maroni: il Villaggio degli aranci (abbandonato dai militari USA di stanza a Sigonella) a Mineo, di proprietà della Pizzarotti Spa di Parma, è stato trasformato in un lager dove recludere 2.000 tra richiedenti asilo (sradicati dai Cara del resto d’Italia e lì deportati) e migranti fuggiti dalla Tunisia.Il governo,dopo avere esasperato volutamente la situazione a Lampedusa per sperimentare nuove guerre fra poveri, sta esportando il modello securitario nel resto d’Italia e nel Mediterraneo, moltiplicando le tendopoli/lager, i conflitti interetnici e le deportazioni di massa. Dalla Sicilia, dove 30 anni fa nacque il movimento contro gli euromissili a Comiso, bisogna ricostruire la solidarietà internazionalista fra tutte le vittime della globalizzazione e le sue devastanti politiche di guerra, razzismo e morte, imparando dall’esempio delle rivolte popolari in Nordafrica.

La Sicilia non è zona di guerra, via le basi militari dalla nostra terra

Sì all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione della Sicilia

No al centro per richiedenti asilo di Mineo



Lunedì 25 aprile 
dalle 9,30, piazza Stesicoro, Catania, 
corteo per il 66° anniversario della Liberazione 
dalle 16, di fronte al villaggio degli aranci, Mineo, 
PRESIDIO INTERETNICO con musica, danze, interventi e distribuzione di dolci

Rete Antirazzista Catanese, Cobas, Usb, Gapa, Circolo Città futura PRC, Red Militant, Comitato di Mineo “Calatino davvero solidale”, Associazione Maura di Mineo, Rifondazione Comunista, Giovani Comunisti, Sinistra Critica, Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella, Città Felice, gas Tapallara, Rete dei Comunisti, PdCI-FDS-CT, LILA, Chiesa Battista e Valdese-Ct, CGIL

sabato 16 aprile 2011

ciao vittorio. l'ultimo articolo da gaza






















“Ho lasciato le mie cugine... che stavano lavando i panni nel cortile di casa, quindi mi sono avviato verso la moschea per la preghiera di mezzogiorno. Non avevo ancora camminato per 500 metri quando ho sentito il boato, e giratomi di scatto ho visto il fumo salire sopra la nostra casa”. Mentre ci offrono il caffè e i datteri rituali sotto la tenda della veglia funebre, Nidal continua il suo racconto. “Sono precipitato indietro con alcuni familiari e appena varcata la soglia di casa la scena raccapricciante: tutte 4 donne stavano stese a terra, Najah era già cadavere mentre sua figlia Nidal è spirata fra le mie braccia. Abbiamo caricato le altre 2 sorelle, Nida e Fida su 2 auto e siamo corsi incontro alle ambulanze.”

Ad Al-Farahin, est di Khan Younis, un drone UAV israeliano, uno di quegli velivoli senza pilota comandati a distanza che qui a Gaza chiamano "zannana", ha mirato e fatto centro su un gruppo di donne. Il missile è esploso a mezzo metro da Najah Harb Qdeah, 45 anni, uccidendola sul colpo. Nidal Ibrahim Qdeah di 20 anni, è morto poco dopo, Fida di anni 15 è rimasta seriamente ferita ad una gamba mentre Nida Qdeah, un'altra bambina di 12 anni, sta lottando in questo momento fra la vita e la morte all'ospedale Europa di Khan Younis.

La giornata di oggi era cominciata seguendo lo stesso copione di morte e terrore di quella di ieri: elicotteri Apache, caccia bombardieri f 16 e droni concentrati nel loro fuoco da nord a sud della Striscia. Questa mattina, prima dell'attacco alla famiglia Qdeah, sempre a est di Khan Younis, durante un bombardamento venivano uccisi due guerriglieri di Hamas e contemporaneamente a Rafah tre civili venivano feriti gravemente.

A Qarara , nel centro della Striscia di Gaza, moriva sotto le bombe Talal Abu Taha, un civile di 55 anni. Nel pomeriggio altri quattro guerriglieri della resistenza palestinese uccisi a est e a nord di Gaza city. Verso sera, le sofisticate apparecchiature israeliane tornavano a puntare sui civili e precisamente un gruppo di bambini che stava giocando a calcio nei pressi di Shujaiyeh: due bambini uccisi e feriti un'altra decina di minori di diciotto anni.

Uno dei corpi dei piccoli, non ancora identificati è arrivato all'ospedale al-Shifa decapitato. All'ora in cui sto scrivendo, le 22:30 locali, gli ospedali sono in stato di allerta, e molti letti sono già occupati da feriti gravi, per la maggioranza civili. Fra questi, due donne colpite da schegge di proiettile a Zeitoun, quartiere est di Gaza city e un paramedico palestinese, rimasto seriamente ferito mentre cercava di evacuarle dalla zona dei bombardamenti.

Gli sporadici lanci di razzi artigianali dei guerriglieri palestinesi, oggi non hanno provocato feriti in Israele, ne tantomeno sostanziali danni alle cose. Sotto la tenda funebre allestita per raccogliere il cordoglio per le donne assassinate ad Al Fahraeen, Nidal non trattiene la sua rabbia: "La comunità internazionale dovrebbe prendersi cura dei civili oppure no? Dov'è ora? Dove stanno? Tutti in Libia? Uccidono i nostri bambini, fanno a pezzi le nostre mogli e le nostre figlie e dove sta l'Onu?"

Maheer, un altro cugino delle vittime incalza: "Dopo l'attentato a Gerusalemme, l'opinione pubblica israeliana è assetata di sangue , e anche se noi gazawi non c'entriamo niente, ecco che il governo di Tel Aviv li tieni buoni compiendo questi massacri a Gaza. Tanto per dimostrare quanto polso hanno, che controllano la situazione".

Comunico loro che il portavoce dell'esercito israeliano dopo le molte vittime civili di questi due giorni ha espresso il suo dispiacimento, ma allo stesso tempo ha accusato Hamas di utilizzare i civili come scudi umani.

Nidal e Maheer quasi non si trattengono sulle sedie. Nidal: "hanno apparecchiature così sofisticate da riuscire dal cielo a leggere l'ora sul display del tuo orologio, e come è possibile che abbiano commesso un errore così marchiano da bombardare un cortile di una casa dove alcune donne stendevano dei panni?". Le ultime notizie parlano di bombardamenti via terra a Zaitoun e via area a Nord di Gaza city.

Mi immagino quel soldato che è al posto di comando del drone che ucciderà anche questa notte, come se stesse vivendo una realtà virtuale, e gli omicidi punti accumulati sullo schermo di una mortifera playstation. Il governo della Striscia è tornato anche oggi a chiedere una tregua, ma la sensazione è che siamo ancora distanti dal game over di terrore e omicidi.

Ahmed mi ha appena chiamato al telefono: "Victor, hai del pane in frigo? Dai usciamo, conviene fare scorte".

Restiamo Umani.

venerdì 15 aprile 2011

un articolo di vittorio arrigoni, con la palestina nel cuore


















"Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola" mi dice Jamal, chirurgo dell'ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. "Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l'ultimo miagolio soffocato." Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua "Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste..." il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. "Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi la schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati."
A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia,  più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito. Poco prima mi ero intrattenuto in una discussione con il dottor Abdel, oftalmologo, circa i rumors, le voci incontrollate che da giorni circolano lungo tutta la Striscia secondo le quali l'esercito israeliano ci starebbe tirando addosso una pioggia di armi non convenzionali, vietate dalla Convenzione di Ginevra. Cluster bombs e bombe al fosforo bianco. Esattamente le stesse che l'esercito di Tsahal utilizzò nell'ultima guerra in Libano, e l'aviazione USA a Falluja, in violazione delle le norme internazionali. Dinnanzi all'ospedale Al Auda siamo stati testimoni e abbiamo filmato dell'utilizzo di bombe al fosforo bianco, a circa cinquecento metri da dove ci trovavamo, troppo lontano per essere certi che sotto gli Apache israeliani ci fossero dei civili, ma troppo tremendamente vicino a noi. Il Trattato di Ginevra del 1980 prevede che il fosforo bianco non debba essere usato direttamente come arma di guerra nelle aree civili, ma solo come fumogeno o per l'illuminazione. Non c'è dubbio che utilizzare quest'arma sopra Gaza, una striscia di terra dove si concentra la più alta densità abitativa del mondo, è già un crimine a priori. Il dottor Abdel mi ha riferito che all'ospedale Al Shifa non hanno la competenza militare e medica, per comprendere se alcune ferite di cadaveri che hanno esaminato siano state prodotte effettivamente da proiettili al fosforo bianco. A detta sua però, in venti anni di mestiere, non ha mai visto casi di decessi come quelli portati all'ospedale nelle ultime ore. Mi ha spiegato di traumi al cranio, con fratture a  vomere, mandibola, osso zigomatico, osso lacrimale, osso nasale e osso palatino che indicherebbero l'impatto di una forza immensa con il volto della vittima. Quello che ha detta sua è totalmente inspiegabile, è la totale assenza di globi oculari, che anche in presenza di traumi di tale entità dovrebbe rimanere al loro posto, almeno in tracce, all'interno del cranio. Invece stanno arrivando negli ospedali palestinesi cadaveri senza più occhi, come se qualcuno li avesse rimossi chirurgicamente prima di consegnarli al coroner. Israele ci ha fatto sapere che da oggi ci è generosamente concessa una tregua ai suoi bombardamenti di 3 ore quotidiane, dalle 13 alle 16. Queste dichiarazioni dei vertici militari israeliani vengono apprese dalla popolazione di Gaza, con la stessa attendibilità dei leaders di Hamas quando dichiarano di aver fatto strage di soldati nemici. Sia chiaro, il peggior nemico dei soldati di Tel Aviv sono gli stessi combattenti sotto la stella di Davide. Ieri una nave da guerra al largo del porto di Gaza, ha individuato un nutrito gruppo di guerriglieri della resistenza palestinese muoversi compatto intorno a Jabalia e ha cannoneggiato. Erano invece dei loro commilitoni, risultato: 3 soldati israeliani uccisi, una ventina i feriti. Alle tregue sventolate da Israele qui non ci crede ormai nessuno, e infatti alle 14 di oggi Rafah era sotto l'attacco degli elicotteri israeliani, e a Jabalia l'ennesima strage di bambini: tre sorelline di 2, 4, e 6 della famiglia Abed Rabbu. Una mezz'ora prima sempre a Jabilia ancora una volta le ambulanze della mezzaluna rossa sotto attacco.Eva e Alberto, miei compagni dell'ISM, erano sull'ambulanza, e hanno videodocumentato l'accaduto, passando poi i video e le foto ai maggiori media. Hanno gambizzato Hassan, fresco di lutto per la morte del suo amico Araf, paramedico ucciso due giorni fa mentre soccorreva dei feriti  a Gaza city. Si erano fermati a raccogliere il corpo di un moribondo agonizzante in mezza alla strada, sono stati bersagliati da una decina di colpi sparati da un cecchino israeliano. Un proiettile ha colpito alla gamba Hassan, e ridotto un colabrodo l'ambulanza. Siamo arrivati a quota 688 vittime, 3070 i feriti, 158 i bambini uccisi, decine e decine i dispersi. Solo nella giornata di ieri si sono contati 83 morti, 80 dei quali civili. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Recandomi verso l'ospedale di Al Quds dove sarò di servizio sulle ambulanze tutta la notte, correndo su uno dei pochi taxi temerari che zigzagando ancora sfidano il tiro a segno delle bombe, ho visto fermi ad una angola di una strada un gruppo di ragazzini sporchi, coi vestiti rattoppati, tali e quali i nostri sciuscià del dopoguerra italiano, che con delle fionde lanciavano pietre verso il cielo, in direzione di un nemico lontanissimo e inavvicinabile che si fa gioco delle loro vite. La metafora impazzita che fotografa l'assurdità di questa di tempi e di questi luoghi.
Restiamo umani.
Vik

Vittorio Arrigoni

addio vittorio, restiamo sempre umani















Caro Vittorio,
di sicuro i tuoi assassini  conoscevano chi eri e cosa rappresentavi. Non è importante chi erano gli assassini e cosa rappresentano, ma alla fine dei conti, hanno commesso un delitto e un brutale odioso assassinio.
Hanno ucciso un uomo libero, un amante della libertà e della giustizia, un amico della pace e del popolo palestinese, che tu ha difeso, hai amato e che hai fatto della sua causa una ragione di esistenza e di vita.
Non so chi sono e cosa rappresentano, ma so che NON sono palestinesi, che sono un pericolo serio e costante per i palestinesi e che sono degli assassini della Palestina, della sua causa, del suo popolo e dei suoi veri e sinceri amici. Sono nemici dell’umanità che Vittorio ha sempre cercato di difendere  e fare vincere in Palestina.

Vittorio potevi rimanere in Italia a fare la bella vita e so che tu appartiene a una grande famiglia, benestante e ricca di grandi valori, hai  lasciato il tuo benessere per venire a vivere fra i più poveri e sfortunati  della terra, nell’inferno di Gaza e hai voluto sposare la giusta causa del popolo più disgraziato e sfortunato al mondo.
La morte drammatica tua, Vittorio non è diversa ed è simile con quella del grande artista palestinese ebreo, Juliano Mer Khamis, ucciso una settimana prima nel Campo profughi di Jenin.

Lo so che il destino dei liberi sognatori, dei veri rivoluzionari, degli onesti idealisti è in contrasto con ed in scontro continuo contro il mondo dell’ignoranza, dell’estremismo, della prepotenza, della pazzia e della repressione e della brutalità dell’occupazione israelo-sionista alla Palestina.  Lo so e lo sappiamo che l’arma dell’ignoranza e dell’estremismo è  la pallottola, la violenza e l’odio ed in pochi attimi può sterminare una vita buona ed innocente  dedicata
a favore e al  servizio della causa palestinese e del suo popolo.

Di sicuro chi ti ha ucciso, sa chi sei e cosa rappresenti, la carica ideale, i valori che porti e che difendi e di sicuro è riuscito a fare e realizzare ciò che non è riuscito a fare e realizzare da tempo  il nemico comune: l’occupante israeliano.
E’ l’occupazione israeliana è l’unica parte vantaggiato dalla tua scomparsa,  grande e caro amico Vittorio.

Vittorio ti sei innamorato della Palestina e di Gaza in particolare ma anche i palestinesi e particolarmente quelli di Gaza, si sono innamorati di te, Vittorio e della tua bella Italia.

Vittorio sarai sempre nei nostri cuori e viverai sempre nella nostre lotte, per una Palestina libera, laica e democratica.

ADDIO CARO FRATELLO E RESTIAMO ANCORA UMANI..

Dr. Yousef Salman (Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia)

domenica 17 aprile: gruppo di acquisto popolare

mercoledì 13 aprile 2011

sabato 16 aprile: "spelix" di annamaria rivera e cena sociale






















"i gatti hanno la capacità di riconoscere quando un'esperienza si è compiuta, che sia la nascita o la morte. perciò hanno il senso del limite. ed essendo vicini all'essenza della vita, sanno cogliere il senso ultimo delle cose".

"il confronto con altri viventi e con altri vissuti, quelli dei gatti in tal caso, potrebbe indurci a relativizzare i nostri e a renderci meno sicuri e arroganti. ma non perché i gatti siano guidati da quell'istinto che noi avremmo perduto [...] bensì perché la loro esperienza peculiare, la loro storia [...] non li ha alienati dalle ragioni dell'esistenza vitale".


recensione liberazione

recensione radio 3

recensione radio onda rossa


sabato 16 aprile, alle 19,30, al circolo città futura, via gargano, 37, catania, presentazione del libro di annamaria rivera "spelix. storie di gatti, di stranieri e di un delitto" (edizioni dedalo)

ne discutono con l'autrice: maria giovanna italia (presidente arci catania) e pina la villa (redazione girodivite e ddf - donne, discorsi, filosofe)
intervengono: emma baeri (storica), barbara crivelli (rete antirazzista), ivana ioppolo (redazione rebus magazine)...

segue CENA SOCIALE, cuscus, tante specialità mediterranee e buon vino locale a prezzi popolari

lunedì 11 aprile 2011

no al governo lombardo, sciogliere subito l'assemblea regionale siciliana

I risultati al termine delle indagini preliminari dell’inchiesta Iblis rendono - come era già chiaro da tempo - politicamente insostenibile la posizione del presidente della regione. Il pesante quadro di un complesso sistema politico-affaristico-mafioso grava sulla Sicilia come un’ipoteca terribile. Da tempo la federazione della Sinistra ritiene che elementari ragioni impongano di chiudere l’esperienza dei governi Lombardo, di porre termine a una legislatura dell’Ars che non ha più alcun requisito di legittimità e di riconsegnare la parola ai cittadini e alle cittadine. Ciò finora non è stato possibile innanzitutto per la gravissima responsabilità che si è assunto il Pd, tradendo la volontà degli elettori. Oggi di fronte a questa difficile fase che si apre, mentre la Sicilia è esposta a eventi di straordinaria gravità, rilanciamo questi obiettivi e una straordinaria mobilitazione per costruire una stagione di cambiamento.
Il coordinamento regionale della federazione della Sinistra - Sicilia

sabato 9 aprile 2011

migranti: oggi raccolta alimenti e altri prodotti, domani distribuzione a mineo

















Sì all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione della Sicilia

Contro la guerra ed il razzismo
No al centro per richiedenti asilo di Mineo
A Lampedusa si sperimentano le nuove politiche segregazioniste del ministro Maroni e gli ultimi naufragi dimostrano la volontà omicida dei governi della fortezza Europa. Il Villaggio degli aranci (abbandonato dai militari USA di stanza a Sigonella) a Mineo, di proprietà della Pizzarotti Spa di Parma, è stato trasformato in un lager dove recludere 2000 tra richiedenti asilo (sradicati dai Cara del resto d’Italia e lì deportati) e migranti fuggiti dalla Tunisia.
Dalla Sicilia bisogna ricostruire la solidarietà internazionalista fra tutte le vittime della globalizzazione e le sue devastanti politiche di guerra, razzismo e morte, imparando dall’esempio delle rivolte popolari in Nordafrica.
Domenica 10 aprile
dalle ore 10 alle 14  presidio di fronte al Villaggio degli Aranci -Mineo
con animazione, musica, giochi e distribuzione dei generi di prima necessità raccolti

venerdì 8 aprile 2011

sabato 16 aprile incontro con annamaria rivera e cena sociale



































sabato 16 aprile, alle 19,30, presentazione del libro di annamaria rivera "spelix. storie di gatti, di stranieri e di un delitto" (edizioni dedalo)

ne discutono con l'autrice: maria giovanna italia (presidente arci catania) e pina la villa (redazione girodivite e ddf - donne, discorsi, filosofe)
intervengono: emma baeri (storica), barbara crivelli (rete antirazzista), ivana ioppolo (redazione rebus magazine)...

segue CENA SOCIALE, cuscus, tante specialità mediterranee e buon vino locale a prezzi popolari

mercoledì 6 aprile 2011

continua la solidarietà con i migranti: raccolta alimenti e altro

domenica per la pace e di solidarietà con i migranti


















Continua l'iniziativa di solidarietà con i migranti; anche questo sabato, 9 aprile, dalle ore 17 alle 19, presso la sede del circolo città futura, via gargano, 37, catania, si effettua la raccolta di generi di prima necessità, che saranno consegnati domenica mattina, in coordinamento con le associazioni antirazziste catanesi, ai migranti che si trovano al villaggio degli aranci di mineo. Poiché sono presenti a mineo un gruppo di donne e bambini, per la raccolta di sabato sono richiesti:
indumenti leggeri per donne e bambini,
ciabatte e infradito (tutte le misure),
prodotti per l'igiene (bagnoschiuma, shampo, sapone tipo marsiglia, assorbenti igienici, ecc...)
acqua in bottiglie,
latte,
alimenti preconfezionati (biscotti, merendine, pane sottovuoto, crackers, ecc. tutto senza presenza di strutto).
Non si raccolgono altri generi oltre a quelli elencati, grazie a tutte e tutti.

martedì 5 aprile 2011

10 aprile, il té della domenica






















domenica 10 aprile, dalle 17, al circolo città futura, via gargano, 37, catania, il tè della domenica, un pomeriggio di socialità e cultura con té, tisane e dolci casalinghi, con:
"la bottega della poesia": letture di nino meli e gaetano privitera
"eppure soffia ancora…": fotografie di alberta dionisi, testi di daniela di dio
"gap sala da té": miele, conserve, liquori e... libri
è disponibile anche il libro di annamaria rivera "spelix", che sarà presentato al circolo sabato 16 aprile alle 19,30.

lunedì 4 aprile 2011

venerdì 8 aprile sportello consulenza legale








Da venerdì 8 aprile, presso la sede del circolo Città Futura, via Gargano 37, Catania, dalle ore 17 alle 19, sarà attivo lo sportello di assistenza e consulenza legale.
Le date successive saranno venerdì 13 maggio e venerdì 27 maggio.

In particolare, sarà possibile aderire all'azione legale verso la Sidra, per ottenere la restituzione del canone fognario e di depurazione indebitamente riscosso, come riconosciuto dalla sentenza n°335/2008 della Corte Costituzionale.

domenica 3 aprile 2011

i fili spinati della nostra mediocrità, di annamaria rivera















Di fronte all'esodo, del tutto prevedibile, di alcune migliaia di migranti e profughi non potrebbe essere più indegna la farsa che si recita nell'infelice paese in cui è ci dato vivere, ormai padanizzato da Nord a Sud, con poche eccezioni. E stridente è il contrasto fra la nobiltà della primavera araba e la miseria delle italiche risposte all'esito scontato e secondario di questa straordinaria svolta storica: nient'altro che caos, disumanità, allarmismo sociale, competizione fra egoismi istituzionali, campi di concentramento, filo spinato, minacce di rimpatri collettivi, ronde "spontanee" e caccia ai fuggitivi perfino nell'ospitale Puglia. La giovane talpa ha ben scavato: il mélange mostruoso fra nazismo leghista, cinismo individualista e proprietario, provincialismo gretto e inconsapevole si mostra oggi come la biografia più autentica della nazione. Siamo il paese che è incapace o rifiuta di costringere alle dimissioni il suo despota mediocre, compagno di merende e di bunga-bunga dei tiranni travolti dalle rivoluzioni: uno che, dopo l'apocalisse giapponese, ha l'ardire di chiamare "tsunami umano" l'arrivo dei profughi. E dunque, con coerenza, ne esprimiamo a livello istituzionale e sociale gli atteggiamenti, i tic, gli umori indecenti. All'opposto e non per caso, l'eroismo e la generosità collettivi che hanno guidato la sollevazione tunisina si sono riflessi nella solidarietà, nell'altruismo, nella serena naturalezza con cui le popolazioni poverissime dei villaggi di confine - e le stesse istituzioni tunisine - hanno accolto l'arrivo di quasi 150mila profughi dalla Libia: in un paese di appena 10 milioni e mezzo di abitanti, in una fase di difficilissima transizione politica, sociale, economica.Da noi - paese di più di 60 milioni di abitanti - sono bastati 20mila arrivi per innescare il ciclo perverso e cialtronesco del quale abbiamo detto, che va dall'insipienza e il caos alla loro strumentalizzazione allarmistica; dal disagio e rifiuto popolari al rimpallo di responsabilità fra istituzioni. E' d'obbligo aggiungere che solo in apparenza è meno disgustosa la Francia che a Ventimiglia ricaccia oltre il confine i tunisini: per riscattare l'onore perduto, si fa per dire, Sarkozy e soci, anch'essi ex compagni di merende di Gheddafi e grandi protettori di Ben Ali, all'accoglienza e alla solidarietà preferiscono i bombardamenti "umanitari".Eppure in tutto questo non v'è alcun vincolo oggettivo, piuttosto volontà perverse o inettitudini soggettive.Per parlare solo del livello istituzionale, onde garantire ai migranti il trattamento degno di un paese civile basterebbe realizzare un piano di ospitalità diffusa, organizzata per piccoli gruppi, e soprattutto emanare un decreto per la protezione temporanea, perfettamente prevista dalle norme attuali. Il che, fra l'altro, permetterebbe ai migranti di transitare nei paesi europei e di raggiungere la Francia o la Germania, cioè le loro mete reali, aggirando così il "blocco" di Ventimiglia. E' quel che chiede la miriade di associazioni per la difesa dei diritti dei migranti, a partire dall'Arci. In modo assai più ambiguo, la protezione temporanea è evocata anche dal Pd, che però non resiste alla tentazione di chiedere altresì un "accordo con la Tunisia per gestire lo stop agli arrivi e la programmazione dei rimpatri". Forse ignorano, i "democratici", che in tal modo tradiscono la volontà e lo spirito della primavera araba, esemplificati di recente dalla dichiarazione del Forum economico e sociale della Tunisia. Il Forum chiede al proprio governo esattamente l'opposto: rifiutare "la richiesta delle autorità italiane riguardo al rimpatrio di massa e obbligatorio degli immigrati" e "interrompere l'attuazione degli accordi sulle questioni migratorie, stipulati con l'ex regime dittatoriale".Ma i nostri son duri di comprendonio. Ancora non hanno capito che la libertà per la quale i giovani tunisini ed egiziani, forse anche i libici, hanno lottato e lottano è anche libertà di movimento. I giovani rivoltosi che hanno sperimentato virtualmente il diritto alla mobilità - con blog, facebook e altre reti sociali - che perciò già ora si sentono parte di una comunità globale senza frontiere, non accettano più (ammesso che l'abbiamo mai accettato) il confinamento coatto entro i recinti nazionali. Con le loro rivoluzioni essi hanno decretato di essere parte quanto meno di un'unica regione euromediterranea. Di sicuro le ragioni che li spingono a mettere a rischio la vita imbarcandosi nelle solite carrette del mare sono molteplici quanto le biografie di ciascuno. Per molti giovani proletari tunisini la transizione, con il crollo del settore del turismo e del suo vasto indotto informale, significa perdita di lavoro e reddito, impossibilità di mantenere la famiglia. Per altri di loro, essa rappresenta, con l'allentamento della sorveglianza poliziesca, l'occasione per realizzare finalmente il progetto migratorio che avevano nel cassetto. Per molti partire, andare a vedere che c'è sull'altra sponda, è semplicemente il corollario della libertà conquistata con la sollevazione.Pensare di costringere tali aspirazioni entro i fili spinati della nostra mediocrità pigra e incattivita, del nostro egoismo inetto a provinciale, è semplicemente dissennato poiché va nella direzione opposta a quella dei desideri collettivi altrui e del movimento storico. Già ora nei recinti di filo spinato si aprono squarci e vie di fuga. E a proposito: perché noi, i veri "volenterosi", non ci armiamo di cesoie, reali oltre che simboliche, per incoraggiare il corso della storia?

Annamaria Rivera (da Liberazione di oggi)