domenica 31 ottobre 2010

liberafesta: estrazione lotteria cinestudio

oggi durante le attività del gap è stato nuovamente estratto il biglietto vincente della lotteria di liberafesta:
il numero 21 si aggiudica l'abbonamento al cinestudio e può contattare il circolo città futura per ritirare l'ambito premio!

sabato 30 ottobre 2010

giovedì 4 novembre: festa del gap

un momento di confronto con i produttori ed i partecipanti al gruppo di acquisto popolare

giovedì 4, presso la sede di via conte di torino 29/i

alle ore 19 assemblea,

a seguire aperi-cena, con i prodotti alimentari e il vino del gap

(a sottoscrizione libera... sostenete generosamente il gruppo d'acquisto!)


giovedì 28 ottobre 2010

Sportello consulenza legale

Presso la sede del circolo città futura è attivo uno sportello di consulenza legale gratuita.
Un avvocato specialista ascolterà i vostri quesiti e vi aiuterà a trovare le migliori soluzioni ai vostri problemi, in materia di: famiglia; lavoro; disabili; diritti del contribuente; lotta alle discriminazioni.
I prossimi appuntamenti sono il primo e il terzo venerdì di ogni mese:
5 novembre, 19 novembre, 3 dicembre, 17 dicembre, dalle ore 17 alle 19.

sportello consulenza legale

martedì 26 ottobre 2010

catania: diritti negati e deportazioni dei migranti

catania, palanitta



Le associazioni catanesi per la tutela dei diritti dei migranti lanciano l'allarme su quanto sta avvenendo relativamente alla gestione da parte delle forze dell'ordine dello sbarco di 128 stranieri avvenuto ieri a Catania. "Rimangono ancora confuse - denunciano le associazioni, tra cui Arci, Acnur, Iom e Save the children - le modalita' di intervento del blocco a mare del peschereccio carico di migranti e relativo uso della forza. Stiamo assistendo a gravissime violazioni dei diritti di questi cittadini stranieri che vengono trattenuti in detenzione al momento presso un palasport della periferia di Catania", il Palanitta, dove da 24 ore e' in corso un presidio per sollecitare il rispetto dei diritti dei cittadini stranieri trattenuti all'interno della struttura. L'Arci ha richiesto l'accesso dei propri legali per informare i cittadini stranieri presenti, di cui non e' stata ancora accertata ufficialmente la nazionalita', sulla possibilita' di richiedere la protezione internazionale. L'accesso e' stato prima negato dalla prefettura di Catania. Successivamente, il pm Agata Consoli, incaricata delle indagini, ha firmato un nulla osta, ma la prefettura non ha ritenuto di consentire l'accesso e ha verbalmente motivato tale decisione sulla base di un presunto "ripensamento" sul provvedimento da parte della procura. Ad oggi, pero', affermano le associazioni, non e' stato esibito nessun atto formale che revochi la precedente autorizzazione.
  "Viene pregiudicato il diritto degli stranieri - dicono le associazioni - alla richiesta di protezione internazionale".
  Viene rilevato, inoltre, che i 46 minori presenti nella struttura, contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, abbiano pernottato insieme al gruppo degli adulti, in assenza di mediatori, assistenti sociali, educatori, e non siano stati tuttora trasferiti alle comunita' di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Dieci stranieri tra la giornata del 26 e del 27 sono stati ricoverati in strutture ospedaliere della citta' e subito dimessi "pur presentando condizioni di salute assai precarie". Rilevato tutto questo, spiegano le associazioni, "ci sembra evidente che il disegno del ministero dell'Interno sia quello di procedere aduna rapida espulsione di massa senza offrire le garanzie previste dalla normativa in materia di protezione umanitaria in violazione delle normative italiane e internazionali".
(AGI)

domenica 24 ottobre 2010

domenica 31 ottobre appuntamento con il GAP






















dalle ore 10,30 alle 13.00 nella sede del circolo città futura, via Conte di Torino, 29/i
troverai: PANE a €1 al Kg
frutta e verdura, vino,
formaggi, olio
conserve da agricoltura biologica
e tanto altro...
A PREZZI POPOLARI !!!

domenica 17 ottobre 2010

liberafesta: oggi estrazione lotteria

è stato estratto il biglietto vincitore della lotteria di libeafesta, che si aggiudica la tessera di abbonamento al cinestudio: è il numero 17.
il/la fortunato/a può contattare il circolo città futura per ricevere l'ambito premio!

una grande manifestazione... verso lo sciopero generale!














L'intervento del segretario della FIOM Landini a conclusione della manifestazione del 16 ottobre

Vedere questa bellissima piazza dà davvero tanta felicità, ma allo stesso tempo indica una speranza. È anche una piazza che indica una forza; soprattutto è una piazza che unisce questo paese e che parla al paese. Dice cioè che per uscire dalla gravissima crisi che stiamo vivendo c'è bisogno di rimettere al centro il lavoro, i diritti. E che per questa ragione è necessario contrastare la politica che il governo sta facendo ed è necessario contrastare la politica che Confindustria, in questo paese, insieme a Federmeccanica, sta facendo.
Perché il punto di fondo da cui ripartire sono le ragioni per cui si è determinata questa crisi. Noi siamo in presenza del fatto che per 20 anni ci hanno raccontato che era sufficiente «lasciare fare al mercato e tutto sarebbe andato a posto». E dopo 20 anni noi siamo di fronte al fatto che la finanza non ha alcuna regola, anzi la politica e gli stati sono al servizio della finanza. Siamo in presenza di un'evasione fiscale che non ha precedenti, tutta a danno dei lavoratori dipendenti. Siamo in presenza di una precarietà nel lavoro che non ha mai avuto una dimensione come quella che stiamo vivendo. Siamo di fronte al fatto che c'è stata una redistribuzione della ricchezza a danno di chi lavora che non ha precedenti.
Vedete, quando si lavora e si è poveri, siamo di fronte non solo a un'ingiustizia, ma al fatto evidente che una società così non è accettabile e che noi dobbiamo ribellarci per cambiarla. E dobbiamo dire con forza che, proprio per queste ragioni, uscire da questa crisi richiede dei cambiamenti.
In tanti ci descrivono semplicemente come quelli che sono capaci di dire solo «no». E' vero. Noi alla Fiat abbiamo detto «no», alla Federmeccanica abbiamo detto «no». Perché quando si vuole cancellare i diritti, quando si vuole cancellare il contratto, quando si vuole cancellare la dignità delle perone che lavorano, noi diremo sempre di «no». Non accetteremo mai che questa sia la strada per cambiare la situazione.
Ma vorrei ricordare a queste persone che noi, invece, avanziamo delle proposte per cambiare questa situazione. Noi vogliamo un altro modello di sviluppo. Vogliamo cioè ridiscutere cosa si produce; che ciò che si produce sia ambientalmente sostenibile; vogliamo che i beni comuni di questo paese siano difesi, che non siano privatizzati; vogliamo cancellare la precarietà, redistribuire la ricchezza e aumentare i salari; vogliamo estendere i diritti a chi non ce li ha. Ossia, ai giovani che oggi hanno di fronte nessun futuro; solo la prospettiva di essere precari per tutta la vita.
Noi non accettiamo questa cosa, la vogliamo cambiare. E vogliamo anche che la scuola sia un diritto pubblico, che sia possibile unire il lavoro, i diritti, il sapere, e vogliamo anche che sia estesa la democrazia.
Vedete, in questi giorni tanti hanno parlato. I ministri addirittura hanno fatto a gara a raccontare chissà cosa sarebbe successo oggi. Io credo si debbano vergognare per quel che hanno detto. Perché quando si arriva addirittura ad invocare il morto, come un ministro ha fatto, siamo di fronte a una irresponsabilità totale.
Ma questa piazza ... questa piazza ha la forza di dire che non solo questa è una manifestazione democratica e pacifica, ma vorremmo ricordare che se c'è la democrazia in questo paese è perché chi lavora l'ha conquistata e l'ha estesa. E se questi ministri possono dire anche le castronerie che ogni tanto dicono è perché siamo noi che garantiamo il diritto democratico a tutti di poter parlare e di poter dire il loro pensiero.
Se ci pensate un attimo... i processi di globalizzazione che in questi anni ci sono stati hanno proprio nella democrazia il loro limite, hanno paura della democrazia, hanno paura della trasparenza, hanno paura  cioè  che le persone possano sapere quello che avviene e possono decidere.
Noi siamo di fronte ad una crisi gravissima come non abbiamo mai vissuto; sta mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Nonostante ci raccontino che dovremmo stare tranquilli e che va tutto bene, noi sappiamo perfettamente che così non è. Anzi, se nei prossimi mesi non c'è un cambiamento radicale delle politiche industriali, rischiamo di essere di fronte a ulteriori chiusure, alla fine della casa integrazione, a migliaia di posti che vanno persi; alla disoccupazione.
Ma è questo il punto di novità. Si sta cominciando a capire che è proprio questo turbocapitalismo che divora tutto, senza curarsi del domani, che rischia di consumare il presente senza un'idea del futuro; e quindi abbiamo davvero la necessità di produrre un cambiamento.
Il governo e Confindustria stanno usando questa crisi perché vorrebbero cambiare gli assetti sociali e di potere. Del resto è un po' che lo stanno facendo. Già nel 2001, con il Libro Bianco dell'allora ministro Maroni, il centrodestra e la Confindustria avevano disegnato quello che volevano fare; e oggi stanno cercando di fare esattamente quello che avevano detto allora. L'attacco alla scuola pubblica, il blocco dei contratti, la cancellazione della contrattazione, la cancellazione della democrazia nei luoghi di lavoro, il superamento del diritto a contrattare, l'assenza totale di una politica industriale che fa arretrare questo paese, sono parte di uno stesso disegno.
Ma noi l'abbiamo capito; e proprio per questo vogliamo cambiare la situazione. Vogliamo mettere in campo un'azione che non si esaurisce oggi, ma che sia in grado di cambiare nelle fabbriche, nel territorio, questa situazione.
Ne hanno dette di tutti i colori: sui lavoratori, sulla Fiom, sulla Cgil. Addirittura Brunetta è arrivato ad accusarci di essere un sindacato che difende i fannulloni e i lavativi. Credo sia un falso in atto pubblico, perchè noi, Brunetta, non l'abbiamo mai difeso. Quindi è evidente a tutti che siamo di fronte a delle bugie...
Il caso Fiat... Noi siamo di fronte a una teoria che si vorrebbe far passare in questo paese: per poter investire in Italia bisognerebbe cancellare i diritti e gli orari, per far funzionare le fabbriche in Italia ci vorrebbe il diritto di poter licenziare quando si vuole
E invece noi dovremmo porci un altro problema: perché la Fiat è messa peggio di altre aziende che costruiscono auto? Perché tutti parlano del modello tedesco e in Germania gli stipendi sono il doppio di quegli italiani, lavorano meno e vendono più macchine?
È esemplificativo quello che è successo negli ultimi due incontri che abbiamo avuto con la Fiat. Uno è avvenuto a Torino. C'erano tutti: il governo, le forze istituzionali, tutte le forze sindacali. Marchionne, cui va riconosciuto il parlare con chiarezza, non ha detto solo alla Fiom e alla Cgil «ditemi sì o no». Ha usato quella platea per dire che il suo piano industriale lo ha deciso lui, che non lo discute con nessuno, che non vuole proprio concordarlo con nessuno e che, semplicemente, chiede a tutti  anche al governo e alle forze istituzionali  semplicemente di dire sì o no.
Naturalmente, in quella sede solo la Fiom e la Cgil gli hanno detto che non va bene e che così non può funzionare.
Io, sinceramente, sono allibito quando la più grande azienda italiana  che, come è noto, in questi anni ha avuto tanti finanziamenti pubblici che le hanno permesso di essere quella che è  si trova di fronte a un governo e istituzioni incapaci di dire altro che semplicemente «sì».
Vorrei ricordare qui che il primo a dire «no» alla Fiat non è stata la Fiom. Quando la Fiat è andata in Germania per comprare l'Opel e ha presentato i piani industriali... l'IG-Metall gli ha detto di «no», il governo tedesco gli ha detto di «no». Perché, se si assume il modello tedesco, allora bisogna fare una distinzione anche sulla politica industriale. Non è vero che le imprese non abbiano una responsabilità sociale; non è vero che è solo il suo interesse. Lo ribadiamo qui, da questa piazza. Noi, la Fiom, la Cgil, le lavoratrici e i lavoratori italiani, più ancora della Fiat di Marchionne, vogliamo che in Italia si continuino a produrre auto, camion e trattori. Perché mentre lui ha la possibilità di decidere di andare a produrre in giro per il mondo, noi questa alternativa non ce l'abbiamo.
E proprio per questa ragione vogliamo che si affrontino i problemi.
Se c'è un ritardo e si vende meno, è perché in questi anni si è investito poco nell'innovazione dei prodotti e dei progetti; è perché la competizione non la si fa tagliando i salari e i diritti. Ed è sbagliato, per il paese oltre che per i lavoratori, pensare che tu la competizione la vinci solo sui bassi salari. Se c'è un problema di qualità, non si può raccontare che in Italia «non si chiede l'intervento pubblico» e poi si va in Serbia perché ti fanno i ponti d'oro. Non si può raccontare che «in Italia non serve l'intervento pubblico» e poi si va negli Stati uniti perché Obama e i lavoratori mettono a disposizione i loro soldi.
Io la voglio dire ancora con più chiarezza: se non c'è un intervento pubblico nel nostro paese per orientare gli investimenti, la ricerca, una nuova qualità dello sviluppo, da questa crisi non si esce. Perché quelli che l'hanno determinata non possono venirci a raccontare che sanno loro come se ne esce.
E noi lo diciamo con grande responsabilità, perché è ora di smetterla. Noi non abbiamo semplicemente detto «no» a Pomigliano. Noi abbiamo avanzato delle controproposte. Abbiamo detto che eravamo pronti ad aumentare l'utilizzo degli impianti, perché il contratto che c'è permette di fare più turni. Abbiamo detto che eravamo pronti a discutere di come migliorare la produttività, di come articolare in modo diverso le pause, abbiamo addirittura fatto una proposta che darebbe alla Fiat un utilizzo degli impianti e una capacità produttiva superiore a quella che loro hanno pensato.
Stiamo ancora aspettando la risposta. La verità è che non gli interessa quante macchine si fanno; vogliono affermare l'idea che non c'è più, per le persone che lavorano in fabbrica, il diritto di poter contrattare la propria condizione di lavoro.
Lo dico con franchezza: dire qui che c'è in ballo la Fiom e la Cgil, o che voglion far fuori la Fiom e la Cgil, è solo una parte di verità.
Io penso che siamo di fronte ad un passaggio ancora più in là... E cioè il tentativo della Confindustria, della Fiat e di Federmeccanica, di cancellare il contratto con la derogabilità dei contratti nazionali.
L'obiettivo vero non è semplicemente fare fuori la Fiom e la Cgil, ma di più. E' cancellare il diritto delle persone che lavorano in fabbrica, se vogliono, di poter contrattare, di esser persone libere con la possibilità di far funzionare meglio la fabbrica. Vuol dire farci tornare indietro di cento anni.
E io credo che questo imbarbarimento non è solo inaccettabile, perché peggiora la condizione di chi lavora; ma è inaccettabile perché fa arretrare tutto il paese, fa arretrare il sistema industriale del nostro paese.
Addirittura, nell'ultimo incontro che abbiamo avuto alla Fiat a giugno, in tanti ci spiegavano che sì, Pomigliano era un brutto accordo, però si poteva firmare perché «lì c'è la camorra, perché c'è una situazione difficile». Vi ricordate, allora, in quanti ci hanno spiegato che sarebbe rimasta una cosa isolata, che non si sarebbe estesa? Non solo adesso siamo alla derogabilità del contratto, ma nell'ultimo incontro, il 5 ottobre la Fiat, ci hanno ricordato che se vogliamo sapere quale è il piano industriale (una delle stranezze di questa situazione è che non si sa quali, dove e quando saranno fatti i nuovo prodotti) prima dobbiamo firmare un accordo che permette loro di estendere Pomigliano in tutti gli altri stabilmenti. Anzi. Ci è stato detto che in alcuni casi, forse, potrebbe esserci la necessità di andare anche «oltre Pomigliano».
Ecco, io credo che quando si teorizza che, «se si vogliono i diritti, non si vogliono le fabbriche», bisognerebbe ricordare a queste persone che in realtà noi siamo già in presenza di «fabbriche che non hanno più diritti». E bisognerebbe ricordar loro che il rischio concreto, se passa questo disegno, è che l'art. 1 della nostra Costituzione («l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro») è che noi siamo già di fronte al fatto che la nostra sia una repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche e nel paese.
E allora noi diciamo: siamo un sindacato che vuol fare degli accordi, del resto è quello che facciamo sempre, è quello che facciamo ogni giorno in migliaia di fabbriche. Ma, se si vuole davvero far funzionare meglio le fabbriche, allora si riaprano le trattative e si mettano le lavoratrici e i lavoratori in condizione di poter votare, di poter decidere e di poter contrattare le proprie condizioni.
Voglio rilanciare con forza quelle che sono le ragioni della nostra piattaforma, della nostra manifestazione, che è stata capace di mettere assieme tante persone diverse. Vedete, quando chi studia, chi è precario, chi lavora nel pubblico impiego, chi è metalmeccanico, chi è pensionato... trova di nuovo la possibilità di avere un terreno comune di azione che rimette al centro lavoro, diritti, un'idea di società finalmente diversa, più giusta, dove la giustizia sociale, l'eguaglianza, la solidarietà tornano ad essere elementi che unificano... io credo che questo patrimonio, è responsabilità di ognuno di noi di non farlo disperdere. Perché questa è la condizione per poter cambiare questo paese.
Per rilanciare con forza l'idea che non dobbiamo aver paura delle parole: il nostro obiettivo, sì, è trasformare questa società ingiusta, che cancella la dignità di chi lavora. La vogliamo proprio cambiare, sì, e lo vogliamo fare a partire dalle fabbriche, dal lavoro, ridando una prospettiva ai giovani e dicendo soprattutto che «è possibile».
Vogliamo una società senza corruzione, senza ladrocinii, come quella che abbiamo invece di fronte.
E allora... Se parliamo di diritti lo diciamo con chiarezza: vogliamo estendere i diritti a tutti, vogliamo l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutti.
Diciamolo: in tanti anni ci hanno raccontato che per dare i diritti ai giovani bisognava toglierli a quelli che già ce li hanno. Facciamogli una bella risata in faccia, a chi dice queste cose; diciamogli con molta chiarezza che per noi il problema dell'estensione dei diritti, dello statuto dei lavoratori, degli ammortizzatori sociali fino anche ad arrivare a cose nuove  a pensare anche a forme di «reddito di cittadinanza», che affrontano in modo diverso il problema di una prospettiva per i giovani  è il terreno su cui noi vogliamo lavorare.
Vedete, tanti parlano, ma se le persone a volte si allontanano un po' dalla politica è perché sono stanchi di parole e bisogna essere coerenti, fare quello che si dice, provare a fare quello che si dice.
E allora io trovo giusto battersi per un fisco più giusto, trovo necessario che i lavoratori dipendenti e i pensionati paghino meno tasse perché sono gli unici che le pagano anche per quelli che evadono. Però ci vuole un po' di coerenza. Non si può venirci a dire che quando il governo ha fatto lo scudo fiscale non se ne è accorto e poi fa finta di manifestare per chedere la «riforma fiscale».
Ci vuole una coerenza. E mi permetto di dire che che questa teoria secondo cui «tutti devono pagare meno tasse», a me non convince tanto. Perchè non è mica vero.
Io penso che bisogna dire con chiarezza che i lavoratori dipendenti e i pensionati devono pagare meno tasse; gli altri ne debbono pagare di più perché hanno evaso il fisco in questi anni. Sono quelli che hanno i servizi pubblici che noi.
E vogliamo estendere i diritti anche ai tanti lavoratori immigrati. Vorrei ricordare che, al di là delle dispute nel centrodestra, noi stiamo ancora pagando la legge Bossi-Fini. Perché fanno finta di discutere tra loro. Ma poi, quando c'è da far pagare, quelli son sempre d'accordo a far pagare noi. Anche questo è un punto: l'estensione dei diritti di cittadinanza.
Diciamo anche: il contratto nazionale. Vedete, si sono incontrati e in dieci righe hanno scritto che non c'è più il contratto nazionale di lavoro. Perché si può derogare. Sapete, quando si dice che si può derogare a un contratto, sia se c'è la crisi sia per fare investimenti, vuol dire che il contratto nazionale non c'è più. E questo determina una competizione selvaggia tra le imprese e tra i lavoratori.
Dobbiamo dire con chiarezza che per noi l'unico contratto davvero è in vigore è quello del 2008, che è stato votato da tutti i lavoratori e che è stato firmato da tutti. Quello è l'unico contratto legittimo e noi lo difenderemo, fabbrica per fabbrica e nel paese, anche arrivando in tribunale, se necessario, per difendere i diritti e il contratto.
Ma penso anche che noi dobbiamo dire di più. Vi facco un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, quando entravo in fabbrica, dal centralinista al progettista, sotto lo stesso tetto, tutti avevano lo stesso contratto e gli stessi diritti. Oggi se tu vai in un luogo di lavoro scopri che non è più così.
Mentre chi comanda è sempre quello, noi siamo frantumati e divisi, Ci sono diversi contratti: le cooperative, l'appalto, il subappalto, il lavoratore precario. Noi abbiamo bisogno, alla luce anche di questa grande manifestazione, di dire con chiarezza che l'obiettivo di un sindacato degno di questo nome è riunificare i diritti in questo paese. E per fare questo, se c'è bisogno di pensare a qualcosa di nuovo, io credo ci sia bisogno non di meno contratti, non di questa storiella secondo cui ognuno si può contrattare nella sua fabbrica o nel suo territorio (se non c'è un contratto nazionale che fissa i diritti per tutti, la contrattazione è una contrattazione a perdere, fabbrica per fabbrica). C'è una novità da dire: bisognerebbe pensare a un contratto dell'industria, a uno dei servizi, un altro del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensare a come si riunificano i lavoratori.
Tanti ci hanno chiesto: «perché nelle parole d'ordine avete parlato di legalità?» Ne abbiamo parlato perché basta vedere quello che è successo all'Aquila; perché, mentre questi raccontano che vogliono fare il ponte sullo stretto di Messina, nel frattempo fanno chiudere tutte le fabbriche che ci sono in Sicilia. Cosa dovrebbe trasportare quel ponte se le fabbriche non ci sono più? Perché, anziché sviluppare le energie alternative, si inventano di fare il nucleare. Perché in questo paese l'unico elemento che ormai c'è dappertutto, l’elemento di unità, è l'estensione dell'illegalità, ormai diventata un sistema.
Noi lo vogliamo combattere con un nuovo modello e dobbiamo anche dire che in nome della legalità, per avere dei soldi da reinvestire, bisogna anche ritirare le truppe dall'Afhganistan. E un fatto di democrazia, è un fatto centrale.
Ci sono altri due elementi.
Noi vogliamo che il lavoro torni ad essere davvero interesse generale di questo paese e vogliamo che le persone possano realizzarsi nel lavoro che fanno.
Ma per fare questo abbiamo bisogno di diritti e anche che sia possibile contrattare in fabbrica la loro condizione.
E infine, vedo due elementi di fondo. La democrazia è attaccata ad ogni livello: quella dell'informazione, dei giornali, della magistratura. Ma anche nelle fabbriche. Vedete... Perché esistono gli «accordi separati»? Semplicemente per un fatto. Perché alle lavoratrici e ai lavoratori è impedito di poter votare e decidere sugli accordi che li riguardano. Per questa ragione, noi diciamo che serve una legge sulla democrazia, che dia questo diritto e sancisca che ogni accordo aziendale, nazionale, interconfederale, per essere valido, deve essere approvato dalla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Non può più essere che, se i sindacati son d'accordo tra loro, allora non c’è problema. Questo deve essere un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, perché questa è la condizione per poter ripristinare l'unità.
Vedete, l'unità sindacale è innanzitutto un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori; la democrazia è la condizione per poterla rilanciare. E noi, da qui, lo proponiamo con forza: questa è la prima cosa da fare, questo è il primo terreno, se si vuole recuperare un elemento unitario.
E infine  voglio davvero concludere su questo. Ci pensavo mentre ascoltavo anche i compagni di Pomigliano e di Melfi.
Se oggi possiamo dire che è successa una cosa straordinaria, che c'è una novità in questo paese, che il lavoro è tornato al centro della discussione sociale e politica - lo dico sommessamente - non è semplicemente perché la Fiom ha detto «no» o la Cgil ha detto «no».
No. E' successo qualcosa di più. Perché se non c'erano i lavoratori di Pomigliano che votavano «no» a quell'accordo, se non dicevano che i diritti non si scambiano con l'occupazione, se non c'erano i tre delegati di Melfi che, di fronte alla Fiat che gli dice «vi faccio lavorare, però non ti metto in fabbrica» (e loro gli hanno risposto che non si fanno pagare dalla Fiat, vogliono lavorare)... Se non c'era questo scatto di dignità non c'era questa manifestazione.
Questo è l'elemento di novità che ci dà una speranza, che ci dà la forza, che ci dice che è possibile cambiare. Ma è proprio per questa ragione - e lo dico sommessamente - perché c'è questa piazza, perché c'è questa dignità, che noi abbiamo il dovere di continuare questa battaglia.
E penso che sia assolutamente necessario che nel continuarla si arrivi alla proclamazione dello sciopero generale di tutti i lavoratori nel nostro paese. Perché la democrazia e un nuovo modello di sviluppo non si costruiscono se non c’è la capacità di cambiare. Questo elemento ci dà la forza. Grazie davvero a tutti. Viva la Fiom, viva la Cgil, viva i lavoratori!! Grazie a tutti.







Watch live streaming video from liberarete at livestream.com

lunedì 11 ottobre 2010

liberafesta: estrazione lotteria cinestudio

il circolo città futura ringrazia tutte e tutti per aver contribuito a rendere Liberafesta 2010 un piacevole momento di condivisione, confronto, socialità, passione politica, nonostante le intemperie!
l'estrazione della lotteria per l'ambito abbonamento al Cinestudio si terrà domenica 17 ottobre, presso la sede di via Conte di Torino 29/i, dopo le attività del GAP (ore 12,30 circa).

domenica 10 ottobre 2010

liberafesta: il programma di oggi, anche in caso di pioggia!


































domenica 10 ottobre

ore 19,30 - dibattito

fermare la controriforma, difendere l'università pubblica

intervengono:
Nunzio Famoso (preside facoltà di Lingue)
Marcella Renis (docente - Coordinamento Unico di Ateneo)
Chiara Rizzica (docente a contratto facoltà di Architettura)
Marco Scalisi (collettivo "gatti fisici")

a seguire concerto

Il canta Storia
(Pierluca Abramo, Francesco De Francisco, Gianni Famoso, Ciccio Giuffrida)
in LU PATRUNI E' SUVECCHIU
canti popolari, sociali e di protesta

sabato 9 ottobre 2010

liberafesta: il programma di oggi, anche in caso di pioggia!

sabato 9 ottobre

ore 19,30 - presentazione del libro di Alberto Burgio
Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in Europa

ne discutono con l'autore
Barbara Crivelli (docente liceo "Boggio Lera")
Maria Giovanna Italia (presidente Arci Catania)
Daniela Melfa (università di Catania)
coordina:
Dario Stazzone


ANCHE IN CASO DI PIOGGIA LA FESTA CONTINUA CON IL CONCERTO E LA CENA SOCIALE NEL SALONE: CUCINA TIPICA, TANTI DOLCI E BUON VINO A PREZZI POPOLARI

venerdì 8 ottobre 2010

giornata di mobilitazione studentesca no gelmini


















La giornata nazionale di mobilitazione degli studenti ha assunto oggi in Sicilia dimensioni e caratteristiche significative.
Dalle giovani generazioni viene un forte segnale di opposizione ai tagli e alla controriforma della Gelmini, con cui il governo sta devastando la scuola, l'università , la ricerca. L'iniziativa studentesca rafforza la lotta dei precari e di tutti i lavoratori del comparto della conoscenza e lancia un messaggio di unificazione di tutte le lotte sociali.
La manifestazione nazionale del 16 ottobre, cui la Fiom chiama tutte le realtà in movimento contro le politiche antipopolari di governo e confindustria, riceve dalla giornata di oggi un potente impulso.
Si prepara un autunno di lotte.

Luca Cangemi (segretario regionale di Rifondazione Comunista)

lunedì 4 ottobre 2010

scandaloso il sostegno del PD al governo lombardo

Dichiarazione di Luca Cangemi e Orazio Licandro (federazione della sinistra)

In Sicilia c’è una questione enorme, la questione morale, e il presidente della Regione ha un grave problema che dovrà affrontare nelle sedi giudiziarie, ma non si sostiene un governo con queste ombre.
E’ nettissima la condanna nei confronti del Pd e della sua partecipazione al quarto governo Lombardo, da parte di Orazio Licandro e Luca Cangemi, che questa mattina hanno tenuto una conferenza stampa per illustrare le idee della Federazione della Sinistra in merito alla nascita del nuovo esecutivo e ai gravi problemi dell’Isola, primo fra tutti la mancanza di lavoro.
“Noi siamo alternativi a Lombardo e a Cuffaro” hanno detto i due dirigenti della FdS, ricordando come l’attuale presidente della Regione (indagato per mafia) sia stato uno dei principali sostenitori del suo predecessore (condannato per mafia) e precisando come sia assurdo che il governatore voglia accreditarsi “come difensore dei siciliani” quando invece poi a Roma fa vivere un governo che ha prodotto le peggiori politiche antimeridionali e come sia, in conseguenza, “uno scandalo” la decisione del Pd di appoggiare un esecutivo che peraltro non è riformatore come vorrebbe far credere: perché, per esempio, la tanto decantata riforma sanitaria altro non è che il piano di rientro dalle spese elaborato già da Cuffaro su sollecitazione del governo Prodi, mentre gli sprechi continuano a fioccare – nella Sanità come negli altri settori – e già si sa di un buco di bilancio regionale di due miliardi di euro.
Licandro (della segreteria nazionale del Pdci) e Cangemi (segretario regionale di Rifondazione comunista) hanno quindi ricordato come restino irrisolti i problemi del lavoro in Sicilia, dove più gravi sono stati i licenziamenti e i tagli dalle fabbriche alle scuole, ma hanno sottolineato anche come siano sorti movimenti di lotta che attendono di essere rappresentati e hanno spiegato che la Federazione della Sinistra (che, a conclusione di un processo unitario già avviato da un anno fra Pdci, Prc, Socialismo 2000 e Lavoro e Solidarietà, si avvia a celebrare il suo primo congresso nazionale) – invertita la decennale tendenza alla frammentazione – si pone proprio come punto di riferimento di settori sociali che vogliono essere rappresentati da forze della sinistra. Per questo oggi la FdS sarà a Messina alla manifestazione No Ponte indetta a un anno dalla tragedia di Giampilieri – “metafora di un Paese depredato dalla sua classe dirigente” – e per questo la Fds sarà presente il prossimo 16 ottobre a Roma alla manifestazione convocata dalla Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil: perché si tratta di tutelare il contratto nazionale di lavoro e anche tutti i diritti e le garanzie che sembravano ormai acquisiti e sono invece stati cancellati facendo ritornare il Paese indietro di oltre un secolo.

10 ottobre 2010 il cantaStoria a Liberafesta

sabato 2 ottobre 2010

Liberafesta: sabato 9 ottobre presentazione del libro Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in Europa, di A. Burgio


































Il libro nasce dalla constatazione della evidente ripresa del razzismo in Europa. Il tabù del razzismo può dirsi ormai rimosso: si può ricominciare a dirsi razzisti, senza mascheramenti o pretesti. La domanda che si pone è dunque: perché ci ritroviamo in questa situazione, a soli settant’anni dai campi di sterminio nazisti? Perché, nonostante Auschwitz, non siamo guariti dal razzismo? La risposta deve coinvolgere la storia dell...a modernità, la sua genesi, i suoi caratteri costitutivi.

Tra razzismo e modernità sussiste un nesso strutturale,al punto che il razzismo deve essere considerato un ingrediente costitutivo della modernità europea. Tesi che viene documentata sul piano storico e argomentata sul piano teorico. Il libro analizza alcune tappe cruciali del processo di formazione delle ideologie razziste: il nesso con la cultura dei Lumi, l’intreccio con le ideologie nazionaliste, l’acme della violenza razzista nella distruzione degli ebrei in Europa. Da qui scaturisce un’analisi sul dispositivo ideologico che accomuna le diverse manifestazioni concrete del razzismo nel corso del tempo. L’invenzione dell’«altro» – nemico,infedele o deviante da escludere, perseguitare o sterminare – nasce dalla stigmatizzazione della diversità e conduce alla creazione della «razza maledetta» attraverso la naturalizzazione delle identità stereotipate.


Dall'Introduzione

Più il tempo passa, più Auschwitz siavvicina.
Grete Weil, Mia sorella Antigone

Il dato di fatto da cui questo libro muove è che in Europa il razzismo è tornato a occupare la scena ufficiale, dando corpo all’incubo di Primo Levi, sino a qualche anno fa apparso ai più immotivato.Com’è noto, Levi partiva dall’assunto che quanto è avvenuto al tempo del nazismo potrebbe succedere ancora per il fatto stesso di essere accaduto. Perciò, finché ne ebbe la forza, scrisse e parlò della propria esperienza nel Lager. Fino a qualche tempo fa il suo timore è parso eccessivo. Si comprendeva che potesse nutrirlo chi recava sulle spalle un terribile fardello. Ma lo si considerava, appunto,l’incubo di un superstite, non un timore razionale e fondato. Si tendeva piuttosto a rovesciare la tesi, replicando che proprio perché avevano avuto corso, gli orrori del passato non si sarebbero ripetuti. All’incubo di Levi si contrapponeva l’idea che la tragedia dei Lager avesse semmai immunizzato l’Europa, producendo una barriera di anticorpi sufficiente a prevenire il verificarsi di analoghe vicende.

Quanto è avvenuto negli ultimi vent’anni dimostra che Levi aveva ragione e i suoi critici torto. Dalla fine degli anni Ottanta gli episodi di violenza razzista si sono susseguiti a ritmo incalzante, sino a diventare cronaca quotidiana in tutti i Paesi europei. Si è trattato in parte di fenomeni inediti: immigrati arsi vivi nel sonno da branchi di teppisti, rivolte di quartiere contro gli immigrati accusati di gestire la prostituzione e il traffico di droga, lavoratori immigrati massacrati per avere osato esigere il compenso pattuito per il proprio lavoro. Ma non sono mancate citazioni puntuali del nostro passato peggiore: cimiteri profanati, vetrine infrante, svastichee croci celtiche, saluti romani e aquile imperiali.

Quando ci si domanda perché ciò sia accaduto e con tale sorprendente rapidità, si suole chiamare in causa i mutamenti che da vent’anni a questa parte – dalla caduta del Muro di Berlino – sconvolgono il panorama mondiale: la cosiddetta globalizzazione neoliberista, l’esplosione dei flussi migratori, le guerre, prima nel Golfo Persico, poi nei Balcani, quindi nuovamente in Medio Oriente. Indubbiamente queste risposte colgono più di una verità. In conseguenza della globalizzazione vengono travolti diritti e tutele sociali (in particolare nel mondo del lavoro), le società si polarizzano(crescono ineguaglianze e nuove povertà) e si modifica la percezione dei rapporti tra locale e globale (il mondo «ci arriva incasa» con brutale violenza e noi tutti siamo per contro scaraventati in mare aperto, senza ancoraggi e difese).

L’immigrazione, proveniente ora anche dall’Europa dell’est,trasforma in pochi anni la composizione sociale di Paesi chehanno alle spalle esperienze di emigrazione di massa ma sono impreparatialle sfide dell’accoglienza e dell’integrazione. I conflitti tra migranti e «nativi» esplodono anche per la nuova condizione del lavoro, precarizzato ed esposto alla concorrenza dei Paesi «invia di sviluppo». È un’occasione d’oro per gli «imprenditori politici» del razzismo, per la miriade di partiti neofascisti e di movimenti xenofobi che si ergono a custodi di identità minacciate da orde di invasori.

Le guerre balcaniche costringono l’Europa a fare i conti col fatto che anche al suo interno vivono popolazioni con tradizioni e fedi religiose diverse, non più disposte a convivere pacificamente. La prima Guerra del Golfo è un duro impatto col mondo arabo, restituito all’antica fisionomia del barbaro nemico. Sin dai primianni Novanta – quando al-Qaeda è ancora di là da venire – tornano le immagini del conflitto secolare tra Europa cristiana e Islam, la memoria delle Crociate e della cacciata dei Mori (avvenuta in non casuale sincronia con l’espulsione degli ebrei, altro corpo estraneo nella cattolicissima Spagna). Dieci anni dopo, l’attacco alle Torri di Manhattan compie l’opera. Lo «scontro tra civiltà» trasforma in stereotipi le rappresentazioni semplificate dell’«altro». Le conseguenze di questi fenomeni interagiscono tra loro. L’immigrazione di massa alimenta l’avversione nei confronti dello straniero che cerca scampo dalla guerra e dalla povertà. Ci si sente minacciati da chi parla altre lingue e ha diverse abitudini, e lo si odia perché accetta di lavorare per quattro soldi.

Le guerre rafforzano un immaginario popolato da selvaggi, gli stessi – forse – che ci invadono con le loro merci a basso prezzo. È del tutto ragionevole sostenere che questo cortocircuito provochi il big bang del razzismo e, da ultimo, le prime avvisaglie di un nuovo razzismo di massa, incoraggiato dalle leggi e dai politici che esortano a essere «cattivi con i clandestini», invocano rastrellamenti «casa per casa» e istituiscono l’equazione tra immigrati e criminali. Per parlare di noi, i recenti fatti di Rosarno in Calabria (lo scatenarsi della furia collettiva contro gli immigrati che osano ribellarsi all’umiliazione e alla violenza quotidiana) sono soltanto l’ultimo anello di una catena che annovera svariati episodi di «caccia al negro», incendi ai campi rom, bravate di ronde più o meno legali. In molte città italiane si legge sui cartelli che «non si affitta agli immigrati».

Come nella Torino degli anni Cinquanta. Ma allora si trattava di siciliani e pugliesi e non era quindi chiaro che fosse razzismo.Oggi si parla di senegalesi e tunisini, e si è ben consapevoli di quanto si dice e di quel che si fa. Il tabù del razzismo è infranto. Ci si può dire razzisti senza mascherarsi dietro goffe perifrasi. Non è un fatto di poco conto: se una cosa non è più indicibile e non ci si deve più nascondere nel farla, quella cosa ha cambiato natura, valore e significato. Dopodiché si verificherà in forme e dimensioni diverse. Ma se gli avvenimenti dell’ultimo ventennio spiegano l’esplosione del razzismo, non consentono invece di comprenderne la riemergenza. Per impiegare una metafora abusata, indicano il detonatore,ma non dicono nulla dell’esplosivo. Forse così si spiega l’errore dei critici di Levi, l’illusione che la parabola del razzismo in Europa – «dalle origini all’olocausto», come recita il titolo di un classico della storiografia – si fosse ormai esaurita.

Alla base di tale illusione agisce – più o meno consapevolmente– una lettura ottimistica della modernità, il convincimento che il razzismo di Stato e la sua catena di orrori siano l’eccezione nel quadro di una storia in cui norma sono il rispetto del diverso e l’accoglienza dello straniero. Per questo lo sguardo si fissa sugli avvenimenti più recenti. Rilevanti di certo, e indubbiamente influenti. Ma insufficienti a rendere conto di un «ritorno» del razzismo che è, in realtà, la ripresa di un vecchio discorso, il risveglio di una «bestia» assopitasi per breve tempo.

Se questo è vero (o per lo meno plausibile), allora per capire che cosa sta avvenendo nelle nostre società si impone il rovesciamento della prospettiva. Occorre adottare un’ottica di lungo periodo e puntare l’attenzione su un tema classico – il rapporto tra razzismo e modernità, a partire dal Settecento e in particolare negli ultimi due secoli – prendendo sul serio l’ipotesi che il razzismo non sia soltanto un effetto perverso della globalizzazione (e ancor meno un residuo arcaico destinato a estinguersi), bensì un ingrediente fondamentale della modernità europea: una sua tara congenita, paradossalmente una sua normale patologia.

In questa prospettiva il rapporto tra norma ed eccezione evidentemente si ribalta. Norma è il razzismo che, dopo una lunga incubazione, dilaga negli anni Trenta del Novecento e trionfa nel corso del secondo conflitto mondiale; eccezione, il primo trentennio successivo alla guerra, segnato dallo shock della scoperta dell’orrore inaudito generato dal razzismo fascista. In quest’arco di tempo l’Europa ha vissuto, per così dire, all’ombra di Auschwitz. Èstata preservata dalla «cenere d’uomo» prodotta dai forni crematori. La tragedia dello sterminio l’ha protetta, almeno in apparenza,dalle seduzioni della «razza», scomparsa, se non altro, dal discorsopubblico e dal sistema di riferimento dell’azione politica. Vi era però un veleno in quella protezione. Essa ha creato l’illusione di essere finalmente immuni dal rischio non soltanto di vicende analoghe, ma di qualsiasi ricaduta nella violenza razzista. E ha indotto a ritenere che il razzismo – malattia grave ma di breve durata – sia definitivamente scomparso dal nostro orizzonte.

Oggi, quando ormai quell’eredità della guerra (l’unica buona) ha evidentemente esaurito la propria efficacia, dobbiamo sapere abbandonare ogni illusione. Di fronte all’immane tragedia della persecuzione e dello sterminio di milioni di esseri umani, pianificato con burocratica freddezza da uno Stato ed eseguito in tutta Europa (con la zelante collaborazione di altri Paesi, tra cui l’Italia) da centinaiadi migliaia di militari e «uomini comuni» nella complice indifferenza dei più, non si può continuare con la favola di un razzismo episodico o periferico, macchia circoscritta sulla candida tela di una storia ispirata al rispetto delle diversità. Sostenere che il razzismo riemerge dalle viscere della modernità europea – affermarne la perversa normalità – non implica peròrassegnarsi alla sua presenza nefasta e operosa. Ragionare sul tempo lungo significa, al contrario, assumere una prospettiva realistica,non episodica né contingente e cogliere il pericolo in tutta la sua portata. Per attrezzarsi a combattere, all’altezza della sfida,una cruciale battaglia di civiltà.


L'autore:
Alberto Burgio insegna Storia della filosofia all’Università di Bologna. Tra i primi in Italia a occuparsi di razzismo, nel 1995 ha fondato il «Seminario permanente per la storia del razzismo inItalia». Su questo argomento ha pubblicato Studi sul razzismo italiano (Clueb 1996, in collaborazione con Luciano Casali), L’invenzione delle razze (manifestolibri 1998) e La guerra delle razze (manifestolibri 2000). Tra i diversi libri pubblicati presso le nostre edizioni ricordiamo, tra i più recenti, Per Gramsci (2007) e Senza democrazia. Un’analisi della crisi (2009).