lunedì 1 ottobre 2012
oltre il secolo breve, un ricordo di hobsbawm di luca cangemi
Oltre il Secolo breve, di Luca Cangemi (2008)
Eric Hobsbawm ha compiuto in questi giorni novanta anni . Il grande storico si è ormai lasciato alle spalle il Novecento -“il Secolo breve” come lo ha definito nel suo libro più fortunato- ed è in piena attività intellettuale ben dentro il nuovo secolo, come dimostrano in questi mesi non solo libri ed articoli ma persino presenze in video ed internet. Nato ad Alessandria d’Egitto nel giugno del 1917, da genitori ebrei che appartenevano a due nazioni in quel momento in guerra tra loro (inglese il padre, austriaca la madre), giovanissimo militante antinazista in Germania fino al 1933 , fugge poi in Inghilterra e riesce a entrare con una borsa di studio al King’s College, a Cambridge, dove trova un clima intellettuale fortemente influenzato dal marxismo. Subito dopo la guerra partecipa alla formazione del celebre Historians' Group legato al partito comunista britannico: un nucleo di storici (oltre Hobsbawm, Christopher Hill, E.P. Thompson, Maurice Dobb, solo per citare alcuni tra i più famosi) con interessi diversi ma legati da comuni scelte intellettuali e politiche. Molti di loro conquisteranno ruoli di primo piano nel panorama internazionale degli studi della seconda metà del secolo. Frutto di quella stagione piena di passioni e progetti è la rivista “Past & Present” che, all’inizio degli anni cinquanta, rapidamente si conquista una posizione di grande autorevolezza e svolge un ruolo indiscutibile nel rinnovamento della cultura in lingua inglese. Gli interessi di Hobsbawm sono sin dall’inizio vasti ed articolati: studi di storia del movimento operaio, una straordinaria storia sociale del Jazz (“The Jazz Scene”, pubblicata sotto lo pseudonimo di Francis Newton, in omaggio al trombettista Frankie Newton), analisi delle rivolte sociali (raccolte nel volume “I Ribelli”). La prospettiva principale è quella della di scrivere la storia "dal basso".L’incontro con l’opera di Gramsci, con il suo concetto di “subalterni", è decisivo, come ricorda lo stesso Hobsbawm in un’intervista recente. Esemplare è lo studio su Davide Lazzaretti, “il profeta del Monte Amiata”, una singolare figura a capo di una esperienza mistica e sociale, nella Toscana del secondo ‘800, che lo storico britannico indaga come forma di reazione all’oppressione di classe, riconnettendo cultura popolare ,atteggiamenti millenaristici, rapporti economico-sociali. In seguito viene l’impegno di ricostruzione di quello che Hobsbawm definisce il “ lungo Ottocento”, quell’arco di tempo compreso tra il 1789 e il 1914 , dalla rivoluzione francese all’inizio della prima guerra mondiale. Pubblica i tre volumi di sintesi “Le rivoluzioni borghesi (1789-1848)” , “Il trionfo della borghesia (1848-1875)” , “L'età degli imperi (1875-1914)”. Fortemente connessi ai lavori sul “lungo Ottocento” sono gli influenti studi intorno ai concetti di nazione e nazionalismo, (“L’invenzione della tradizione” scritto con Terence Ranger e “Nazioni e nazionalismi dal 1780”). Vi è il grande sforzo di comporre un quadro equilibrato su fenomeni di enorme complessità, di dar conto di dimensioni diverse, situando lo sviluppo storico “all’incrocio di politica, tecnologia e trasformazione sociale” e assumendo una prospettiva duale in cui accanto ai progetti ed alle iniziative dei gruppi dirigenti della società contano nell’analisi “speranze, esigenze, aspettative e interessi della gente comune”. Questa impresa così ardua si giova di quella straordinaria chiarezza nell’esposizione, unanimemente riconosciuta a Hobsbawm e che è una delle ragioni fondamentali del suo successo verso un pubblico vastissimo. Il suo libro di maggior notorietà “Il Secolo breve” (che delimita il Novecento tra l’inizio della prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’URSS nel1991) è da un lato la ripresa del discorso di analisi storica lì dove si era interrotto nella trilogia sull’Ottocento, dall’altro un intervento diretto al quadro culturale e politico che si delinea all’inizio degli anni ’90. Sono gli anni del successo di libri come quello di Francis Fukuyama “ La fine della storia e l'ultimo uomo”, in cui si celebra una storia universale che avrebbe un vero e proprio termine nel trionfo del liberalismo e, in particolare, della sua versione statunitense, contro tutte le sfide che ad esso il Novecento aveva proposto. Il “Secolo breve” reagisce vigorosamente a questo clima politico e culturale proprio a partire dalla sottolineatura di quelle sfide all’ordine dominante (“Il ventesimo secolo… è stato quello che ha visto finalmente emergere sulla scena della storia il “quarto stato” e le donne”) e riconsegnando al lettore il quadro di un mondo che si avvia al nuovo millennio attraversato da violentissime contraddizioni. Il successo del libro, tradotto in 37 lingue, è clamoroso. I fatti, del resto, non tardano a smentire le ideologie della “fine della storia”. Su questi fatti drammatici Hobsbawm concentra l’attenzione in questi ultimi anni, come dimostra il recentissimo libro “Imperialismi“, denso di osservazioni illuminanti sulle differenze tra la guerre del «secolo breve» e quelle attuali. Un lavoro infaticabile che continua,dunque, contro “la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l'esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti”, contro un “presente permanente” che nega la conoscenza del passato e la costruzione di un futuro diverso. Il mestiere dello storico, insomma, fatto con l’orgoglio che “la presenza e l'attività degli storici, il cui compito è di ricordare ciò che gli altri dimenticano, siano ancor più essenziali di quanto mai lo siano state nei secoli scorsi”.