mercoledì 2 novembre 2011

un referendum contro l'Europa delle banche













L’annuncio a sorpresa del premier greco Papandreou di voler sottoporre a referendum l’accordo europeo sulla ristrutturazione del debito ellenico e le conseguenti misure di austerità, che vengono imposte alla Grecia come condizione per accedere ai programmi di salvataggio delle istituzioni monetarie internazionali, irrompe sul vertice del G20 di Cannes, che si terrà domani, 3 novembre.
Il vertice segue l’accordo raggiunto il 26 ottobre dai capi di governo dell’Europa a 27 sulla gestione delle conseguenze del “fallimento pilotato” della Grecia sui coefficienti patrimoniali delle banche europee, che hanno i portafogli pieni di titoli del debito pubblico dei paesi periferici dell’area euro. L’aver previsto una ristrutturazione dei titoli ellenici, in una misura pari a circa il 50% del loro valore nominale, equivale tecnicamente ad un evento di default, e a nulla rileva il fatto che le banche e le grandi istituzioni finanziarie aderirebbero al piano su basi volontarie, dietro la promessa di capitali freschi, provenienti, per il tramite di una riforma del Fondo Monetario Internazionale, dai paesi emergenti, per colmare i paurosi buchi di bilancio che la crisi del debito europeo rischia di causare.
Si tratta pur sempre di Distressed  Exchange, come ha certificato Fitch, una delle famigerate agenzie di rating internazionali, e quindi di un evento di default che farebbe scattare obblighi di risarcimento miliardari per le istituzioni che hanno emesso gli altrettanto famigerati Credit Default Swap, il cui vasto e poco trasparente mercato è stato il teatro preferito degli attacchi speculativi al debito pubblico dell’eurozona.
Ma il duo Merkel/Sarkozy e i tecnocrati delle banche hanno fatto il conto senza l’oste. Se veramente il referendum si terrà, i greci avranno modo di esprimersi sulle reali intenzioni dei “piloti” del proprio default: avranno modo di giudicare su se stessi, riappropriandosi del proprio diritto all’insolvenza, dei drammatici costi sociali che comporterà, ma anche delle speranze di ricostruzione che potrebbero accompagnarla e seguirla. In ogni caso ciò non cancella le precedenti responsabilità di Papandreou, e le due più importanti forze di sinistra greche, il KKE e SYRIZA, che in questi anni hanno dato vita ad imponenti manifestazioni, premono comunque per elezioni anticipate, ma è evidente che la mossa del presidente del consiglio greco, se lo espone al rischio di uno scivolone parlamentare sin dal voto di fiducia di venerdì, ha immediatamente rovesciato il tavolo e dettato una nuova agenda ai lavori del G20 di Cannes.
Comunque vadano le cose, la proposta di referendum può rappresentare un’occasione storica per la sinistra politica, per entrare in connessione con la vasta alleanza sociale e con il movimento che si oppone ai ricatti della troika internazionale e che con il referendum ha l’opportunità di proporsi alla guida degli straordinari cambiamenti in atto. Se  la consultazione referendaria si dovesse tenere, la mobilitazione che si riuscirà a mettere in campo ci restituirà la cifra del rinnovato protagonismo delle forze sociali e politiche democratiche; secondo un recente sondaggio il 60% dei greci potrebbe votare no alle politiche di risanamento del governo Papandreou.
E in Italia? Il governo Berlusconi sembra ormai giunto all’epilogo. La serie di pre-consultazioni del presidente della Repubblica con le delegazioni dei partiti dell’opposizione parlamentare e la pronta disponibilità del PD, dell’IDV e del Terzo Polo ad un esecutivo di salvezza nazionale, con il compito di portare a compimento il massacro sociale annunciato da Berlusconi nella sua lettera all’Unione Europea,  sono elementi significativi della nuova fase che si potrebbe aprire.
A sinistra, segnaliamo una ripresa del movimento che il 15 Ottobre aveva  portato a Roma centinaia di migliaia di donne e di uomini, un movimento che intende contrapporre i principi della democrazia diretta e partecipata, agli accordi di vertice dell’establishment politico e finanziario che governa la globalizzazione.
Come è stato acutamente osservato: questo movimento, se da un lato ha piena consapevolezza del cambiamento di fase in atto, assumendo tra le proprie parole d’ordine il tema della cancellazione del debito, dall’altra parte non sembra aver maturato fino in fondo la piena comprensione degli effetti che provocherebbe una dichiarazione di insolvenza dell’Italia. Come ha scritto Emiliano Brancaccio in una sua recente intervista, la conseguenza immediata di un default è che uno stato o una comunità di stati per un lungo periodo dovrebbero fare a meno del ricorso ai prestiti internazionali; si tratta di una “linea che affiderebbe di nuovo un ruolo forte allo stato nazionale, o a una comunità di stati che puntino a una politica economica più autonoma rispetto alle leggi impersonali della cosiddetta globalizzazione”.
Per questo motivo è importante la proposta della FIOM, espressa oggi da Giorgio Cremaschi, e della Federazione della Sinistra: si proponga anche in Italia un referendum sul cosiddetto pacchetto di misure anti-crisi del governo Berlusconi, si dica no al governo della BCE, sia pure annacquato in salsa democratica, e si dia voce ad un intero popolo che reclama più democrazia e più partecipazione. Si aprirebbe un ampio dibattito e si stimolerebbero energie e competenze che oggi appaiono ingabbiate dal ricatto sociale del debito e delle presunte “virtù” richieste dall’austerità repubblicana. Potrebbe essere il riaffermarsi di una nuova speranza di cambiamento per un paese ormai stremato da un trentennio di politiche neoliberiste e un ventennio di fascismo estetico berlusconiano.
Intanto nei prossimi giorni teniamo alta la mobilitazione nelle piazze e nelle strade, un altro futuro è possibile. PEOPLE OF EUROPE RISE UP !

Alberto Rotondo