mercoledì 11 maggio 2011
la pacificazione della libia e la pace eterna dei rifugiati, di annamaria rivera
Mentre scrivo, si moltiplicano le voci che danno Gheddafi per fuggito, come sostengono gli insorti, oppure ucciso dai bombardamenti della coalizione. Chissà che la Nato non abbia accolto il grido di dolore del sindaco di Lampedusa: perdio, ha protestato De Rubeis, per farci riavere i turisti uccidete subito il Colonnello come avete fatto con bin Laden! Il sindaco ha un senso profondo della dialettica locale-globale: un qualche afflusso turistico nell’isola val bene l’omicidio del capo di stato di un paese sovrano… In attesa che la Nato pacifichi la Libia con un altro rito sacrificale cruento, se non è stato già consumato, constatiamo che per il momento l’unica pacificazione compiuta dalle truppe Nato è la pace eterna imposta a molti civili innocenti, fra i quali bambini. E’ il paradosso di ogni ingerenza “umanitaria” (ne abbiamo viste non poche finora): uccidere civili allo scopo proclamato di salvare i civili. Il carattere umanitario della missione è perfettamente esemplificato dai bombardamenti reiterati contro le sedi tripoline di organismi per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Siamo ben oltre il proverbiale “sparare sulla Croce Rossa”…
Ma non sono i soli danni collaterali della guerra. Secondo il bilancio reso pubblico pochi giorni fa da Valerie Amos, vice-segretario per gli Affari umanitari dell’Onu, dalla Libia sono fuggite 746.000 persone, 58.000 alloggiano tuttora in campi di fortuna nell’est libico, 50.000 rifugiati sono passati, in un solo mese, per il sud tunisino, 5.000 persone sono ancora bloccate alle frontiere con l’Egitto, la Tunisia e il Niger.
Sono cifre macroscopiche, se si considera che la Libia conta ufficialmente poco più di sei milioni di abitanti. Che mostrano come l’ingerenza “umanitaria” abbia precipitato la tragedia verso la catastrofe. Eppure, di fronte alla guerra civile il compito primario spettante alla cosiddetta comunità internazionale (formula vaga e ingannevole, spesso buona a occultare politiche imperiali) sarebbe stato garantire corridoi umanitari per salvare i civili, soprattutto quei civili doppiamente sventurati che sono gli immigrati e i rifugiati in Libia e fra questi i paria assoluti, cioè i nostri ex colonizzati del Corno d’Africa.
Sono loro che pagano il tributo più alto in vite umane. Grazie alla denuncia di Moses Zerai, il sacerdote eritreo dell’Agenzia Habeshia, grazie anche a un tempestivo articolo del “manifesto”, all’inchiesta del “Guardian”, alle testimonianze dei sopravvissuti, sappiamo del crimine compiuto da una portaerei della Nato. Che sia stata la francese “Charles De Gaulle”, come sostiene il “Guardian”, o l’italiana “Garibaldi”, come precisa la Nato, la portaerei, benché allertata, ha lasciato che una barca, partita da Tripoli il 25 marzo scorso, vagasse alla deriva per sedici giorni fino all’esito più tragico: dei 71 migranti diretti a Lampedusa -donne, bambini, rifugiati politici- 61 sono morti di fame e di sete.
E’ un caso tutt’altro che isolato. Per esempio, non sono affatto chiare le circostanze della strage del 6 aprile scorso, quando annegarono almeno 250 persone, fra le quali donne e bambini, ugualmente provenienti dalla Libia e dirette a Lampedusa. Avrebbero dovuto salvarle due motovedette e un elicottero italiani, avvertiti dalle autorità maltesi. Il mare agitato e la concitazione a bordo, ci hanno raccontato, avrebbero provocato il ribaltamento del barcone e l’ecatombe sotto gli occhi dei soccorritori.
A compensare tutto questo disastro, i media italiani ci hanno offerto la narrazione edificante dei 500 rifugiati che a Lampedusa, all’alba del 5 maggio scorso, sono stati salvati dalla commovente “catena umana alla quale hanno partecipato tutti, forze dell’ordine, volontari e cittadini”. Sulle prime anch’io mi sono commossa nel guardare le immagini di due omoni della Croce Rossa che reggono teneramente fra le braccia due piccini salvati dai marosi. Non vorrei sembrare cinica né deludere Basilio, un commentatore di questo blog che invitava a raccontare non solo l’indifferenza e il razzismo ma anche il buon cuore degli italiani. Di fatto, però, la catena umana ha lasciato in mare tre cadaveri, scoperti più tardi sotto il barcone incagliato fra gli scogli. Al di là della generosità dei cittadini che si sono prodigati per soccorrere i naufraghi, l’operazione di salvataggio si è rivelata approssimativa e scriteriata.
Comunque vada a finire la “pacificazione”, se fossimo davvero di buon cuore, dovremmo insorgere contro questa ecatombe infinita. Per cominciare, potremmo aderire alla campagna di “Cronache di ordinario razzismo”: http://www.cronachediordinariorazzismo.org/la-nostra-campagna/. Per chiedere l’evacuazione immediata dei rifugiati subsahariani dalla Libia, la fine dei respingimenti in mare e il rafforzamento dei sistemi di soccorso; la garanzia del diritto di chiedere asilo; un sistema di accoglienza decentrato, concordato con le regioni e i comuni, in strutture di piccole dimensioni; il rispetto dei diritti umani degli “ospiti”; la fine delle espulsioni e dei rimpatri di massa.
Lo so, è una goccia nel mare dell’indifferenza o del razzismo dilaganti in Europa, ma almeno è una goccia d’impegno civile, di speranza e di utopia.
Annamaria Rivera