domenica 22 aprile 2012

dalle elezioni francesi alla politica italiana: i muri pericolanti dell'Europa in crisi
















di Alberto Rotondo


La situazione della Repubblica italiana in questo squarcio di inizio millennio ricorda il muro di père Mulot, un famoso aneddoto del “manichino di vimini”, secondo capitolo della Storia Contemporanea di Anatole France: a cavallo tra ottocento e novecento, la Terza Repubblica francese sembrava agonizzante sotto i colpi degli scandali finanziari dei suoi politici e dei suoi uomini di affari, messi mirabilmente in evidenza dall’intelligenza critica di  Emile Zola nel suo j’accuse collettivo sull’affaire Dreyfuss, che aveva rivelato l’esistenza di una classe dirigente corrotta e immorale, mentre l’indignazione generale faceva tremare le istituzioni repubblicane.
Il muro di Anatole France era pericolante,  pieno di gobbe e crepe, da trent’anni l’architetto diocesano Quatrebarbe si soffermava davanti a casa Mulot e “col naso in aria, le mani dietro la schiena, a gambe larghe, diceva : - Non so proprio come regga! - mentre i monellucci che uscivano da scuola gli strillavano dietro, imitandone la voce arrochita:  - Non so proprio come regga !”. La conclusione dell’aneddoto è molto semplice, il muro regge perché nessuno lo tocca e père Mulot non chiama né muratori né architetti e, soprattutto, si guarda bene dal chiedere consiglio a Monsieur Quatrebarbe.
Il muro del povero Mulot è la Repubblica italiana, il signor Quatrebarbe potrebbero essere il governo dei tecnici e lo stuolo di economisti di regime accorsi con le loro “ricette” al capezzale della grande malata, mentre i monellucci potrebbero essere i vari tribuni alla Beppe Grillo, che pensano di risolvere tutto con urla e schiamazzi da trivio.
Tribuni che si fanno avanti anche in Francia, come sembra dai primi dati di questo primo turno elettorale per le presidenziali, segnata da un’avanzata del Front Nazional della famiglia Le Pen. Le operazioni di spoglio sono appena iniziate, ma se i dati dei primi exit poll saranno confermati dai risultati finali, se ne potranno trarre delle indicazioni sui pericoli che l’impatto della crisi provoca, non soltanto in Francia ma in tutta Europa.
Il candidato socialista Hollande supera di poco Sarkozy,  piazzandosi al primo posto con una percentuale di poco superiore al 28%, distaccando il  presidente uscente di soli 3 punti, dopo una campagna elettorale dei socialisti iniziata in sordina, promettendo ai francesi , contro il funambolico e immaginifico Sarkozy, una “presidenza normale”.
Unico spiraglio di speranza, il buon risultato, circa l’11%, delle compagne e dei compagni del Front de Gauche , con la  loro revolution citoyenne. Man mano che Jean Luc Melenchon e il Front de Gauche recuperavano nei sondaggi, si è assistito a un significativo spostamento a sinistra nella scelta dei temi e dei programmi da proporre agli elettori: dalla proposta di tassazione al 75% dei redditi sopra il milione di euro,  ad un contrasto meno incerto alle politiche di austerità volute dalla Merkel e dal capitale finanziario globalizzato.
Inoltre, il programma del  Front de Gauche si contraddistingue per l’opposizione alla proposta di costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio e alla ratifica del fiscal compact che, impegnando i governi a un rapido e progressivo rientro del proprio debito pubblico, rischia di trasformare i prossimi anni in un vero e proprio incubo per milioni di donne e di uomini europei, con un aumento vertiginoso della povertà assoluta e relativa, della disoccupazione e dei complessivi livelli di civiltà che soltanto una società con un buon livello di istruzione e con un’adeguata assistenza sanitaria può garantire.
Chi ha seguito la campagna elettorale di Melenchon  sa bene in quale contesto di difficoltà si sia svolta: nel silenzio generalizzato dei media centinaia di migliaia di persone hanno riempito le piazze delle maggiori città francesi: da Parigi, a Tolosa, Rouen, Lille fino allo straordinario risultato di Marsiglia. Centinaia di migliaia di persone hanno voluto testimoniare, contro le astrazioni della finanza internazionale e dei contabili di Bruxelles e Francoforte, che “l’umano viene prima di tutto“ e che non è utopistico pensare ad una società diversa, animata da spirito di solidarietà e di cooperazione tra gli uomini e non piegata alle feroci leggi della competizione e dell’egoismo capitalistico.
Ma l’ottimo risultato del Front de Gauche non basta per fermare l’inquietante avanzata della destra fascista e populista. Marine Le Pen e il suo Front National, infatti, ottengono un inquietante risultato, secondo gli exit poll il 20% , dimostrando  ancora una volta come in tempi di crisi la propaganda razzista e il vento dell’antipolitica possa sollecitare gli istinti più retrivi delle masse. Nulla di più semplice, per la canaglia fascista, che scaricare sul capro espiatorio del migrante, del sans papier e del diverso, le preoccupazioni di milioni di persone impoverite dalla crisi e dalle politiche di governi sempre più servi degli interessi del grande capitale finanziario globalizzato.
Questo vale per la Francia come per l’Italia: colpisce e preoccupa, infatti, come Beppe Grillo e il suo movimento si stiano preparando a raccogliere i voti leghisti in fuga, contrastando il progetto di legge di estensione della cittadinanza agli immigrati di seconda generazione e scatenando nei territori una indegna campagna razzista contro gli insediamenti rom.
Così come suscita inquietudine in Sicilia  l’iniziativa politica di gruppi come il movimento dei forconi che, agitando pericolose pulsioni identitarie, intercettano il desiderio di riposizionamento di classi politiche delegittimate, agitando le illusorie bandiere dell’autonomismo e dell’indipendentismo, minacciando la coesione territoriale  e civile e spostando il conflitto sociale su un terreno regressivo e non certo a favore degli interessi delle classi subalterne.
Di questi pericoli dobbiamo essere coscienti per contrastarli con tutte le nostre forze.
Confidiamo nel fatto che la lezione francese venga ben interiorizzata dalla confusa, divisa e inefficace sinistra italiana e che, tornando al muro di Mulot, si possa abbatterlo non ricorrendo agli artifizi di improbabili architetti diocesani o alle urla sguaiate e scomposte di altrettanto pericolosi e mendaci imbonitori, ma con la paziente, operosa e costruttiva militanza di quanti non hanno abbandonato la speranza di costruire una società e un mondo migliore.