domenica 11 marzo 2012

le architetture del desiderio o quelle dello spread: una scelta per il mondo di domani















di Alberto Rotondo

Catania nell’ultimo ventennio ha conosciuto la sostanziale devastazione della sua struttura urbanistica e sociale. In maniera impercettibile ai suoi cittadini è stata rubata l’anima. Il suo centro storico sta morendo, anche grazie alle politiche di favore verso la grande distribuzione commerciale e la speculazione edilizia dei super Mall, sorti come funghi anno dopo anno nelle periferie, degradate ormai a luogo di scarico delle pulsioni consumistiche, o, in alternativa, abbandonate al giogo feroce della criminalità organizzata, per colpevole e interessata assenza di politiche di inclusione sociale e di costruzione partecipata di agenzie di socializzazione alternative.
Negli ultimi anni ha funzionato benissimo a Catania il principio cardine del neoliberismo accademico, la trickle down economics, secondo cui bisogna garantire risorse monetarie ai ceti più abbienti per fare sì che qualche briciola possa scivolare (trickle down) ed essere raccolta dai più bisognosi, ottenendone così l’alleanza. E in effetti, negli ultimi anni di soldi a Catania ne sono piovuti tanti. La gestione dissennata dei fondi strutturali europei, fonte di approvvigionamento e di reclutamento principale del sistema di potere siciliano, nelle sue diverse varianti cuffariane, lombardiane, larussiane o firrarelliane, ha sfigurato il volto della città fino a renderla irriconoscibile ai suoi stessi abitanti. Le politiche berlusconiane di governo del territorio hanno fatto il resto: a colpi di varianti e di provvedimenti commissariali e senza nessun controllo democratico sulla legittimità sostanziale dei progetti, la nostra città è stata sventrata, occupata, sequestrata al godimento delle donne e degli uomini che la abitano.
Altri e ancora più pericolosi progetti sono attualmente in stallo e appaiono, almeno per il momento, di difficile attuazione, per via del vertiginoso aumento dei costi di finanziamento determinato dalla crisi dello spread. Pensiamo, per esempio, al Piano Urbanistico Attuativo – Variante Catania Sud secondo cui la Playa dovrebbe trasformarsi in una sorta di Copacabana con creazione di strutture ricettive destinate al turismo congressuale e padiglioni capaci di accogliere migliaia di persone, campi da golf e la costruzione di un mega acquario ancora più grande di quello di Genova. Tonnellate di cemento che invadono il litorale, lo sottraggono ai catanesi e lo mettono a disposizione del turismo di massa internazionale.
La crisi del debito sovrano e le rinegoziazioni dei fondi strutturali in sede europea, capitolo non secondario del fiscal compact imposto dal duopolio franco-tedesco come condizione per il salvataggio dei paesi meridionale dell’Unione, sembrerebbero aver inaridito i flussi di investimento previsti per i prossimi anni. Inoltre condizioni sempre più restrittive di accesso al credito hanno determinato negli ultimi mesi una paralisi del settore edilizio e della speculazione ad esso legata.
Tuttavia, si ha l’impressione che la giostra stia ripartendo. Il sistema finanziario europeo, per mesi terrorizzato dalla prospettiva di un fallimento disordinato della Grecia, ha trovato il modo di salvarsi, abbandonando la Grecia a un destino di miseria e sottosviluppo e riempiendo i forzieri con la liquidità generosamente somministrata dai banchieri di Francoforte. Non sarà sfuggita ai più attenti l’esternazione recente del ministro Passera a proposito del Ponte sullo Stretto, il prossimo dossier su cui il governo dovrà decidere. Il giro delle sette chiese finanziarie del commissario Monti sembra essere andato bene e la febbre da spread è sensibilmente diminuita.
Nelle mutate condizioni sono già di nuovo all’opera i professionisti del project financing, con il ceto di parassiti degli ordini professionali e delle pubbliche amministrazioni che ne assecondano i desiderata: mostruose architetture dello spread che tentano di spazzare via le microarchitetture del desiderio, con cui vorremmo edificare una città più vivibile.
È necessario aprire nella società civile catanese un grande dibattito pubblico sulle questioni complesse che investono le politiche di governo del territorio; particolarmente prezioso è il punto di vista offerto dalla Città Felice e dal patrimonio di conoscenze che ci viene restituito dalle architette della rete delle città vicine, che sono intervenute nella redazione di un libro collettivo che è insieme intreccio di relazioni e percorsi di riappropriazione dello spazio urbano, come spazio per la vita e non più come teatro della valorizzazione speculativa del capitale finanziario. L’auspicio è che queste esperienze si intensifichino, come risposta collettiva e plurale di resistenza e di costruzione di una proposta alternativa di governo della città.