lunedì 19 settembre 2011

la bella, la bestia e l'umano: riflessioni contro il razzismo, il sessismo e lo specismo, di Annamaria Rivera

In molte società, fra cui la nostra, la differenziazione dei sessi dà luogo alla costruzione dell’asimmetria e della gerarchia fra i generi: il genere femminile – la cui differenza è concepita come naturale non solo in senso morfologico e biologico, ma anche psicologico e comportamentale – viene istituito come parzialità e particolarità. Il genere maschile, al contrario, per lo più si identifica ed è identificato con l’umanità, la generalità, l’universalità. Non è ineluttabile che una società debba essere sessualmente connotata in senso gerarchico. Tanto è vero che ciò non accade in tutte le società […].
È innegabile che il sistema capitalistico abbia portato la reificazione alle conseguenze estreme della mercificazione dei viventi. E ciò appare con evidenza se si considera il trattamento riservato ai corpi femminili e ancor più ai corpi animali, questi ultimi ormai trattati, percepiti, pensati «come una materia la cui forma vivente è transitoria» [Burgat 1999, p. 48].
Gli uni e gli altri sono simbolicamente – nel caso degli animali, anche praticamente – frazionati in singole aree corporee, che divengono altrettante cose, prodotti di consumo separati dal soggetto cui appartengono, dalla sua coscienza, dal resto del suo corpo: se di un bovino si dice «è un bel lacerto», di una bella donna si dice «è una bella fica»; e a volte l’analogia è talmente esplicita che di una donna concupita si dice «è una bella manza» o perfino «è un bel pezzo di carne».Tutto ciò va ben oltre le pratiche concettuali e linguistiche. Si pensi alla crescente mercificazione del corpo femminile, talvolta sezionato in frammenti anatomici, che si produce tramite la pubblicità, il mezzo televisivo e altri media, in poche parole tramite lo spettacolo [...].
Riprendendo l’analogia con i processi di mercificazione che investono gli animali,in particolare quelli da reddito, si deve aggiungere che nel loro caso la mercificazione è totale, al punto che le industrie di sfruttamento dei non umani, «non parlano più soltanto di riproduzione bensì di produzione dell’animale: come se gli animali fossero solo materiale corporeo che è compito del lavoro umano formare, strumentalizzare e riprodurre» [Bujok 2008].
A tal proposito si può osservare che v’è una certa specularità concettuale e procedurale fra la de-animalizzazione degli animali, nel contesto della produzione industriale serializzata, massificata, automatizzata, e la deumanizzazione degli umani, compiuta in modo altrettanto seriale, massificato,automatizzato, in particolare dalla macchina dello sterminio nazista: se abshlachten [«macellare»] era il verbo usato dagli esecutori nazisti per nominare il massacro dei prigionieri nei lager, programmato e attuato secondo rigorosa logica industriale, oggi allevare e macellare animali si dice «produrre della carne» [Rivera 2000, p. 60]. L’animale è, in definitiva, il simbolo condensato dell’essere mercificabile e della vittima del potere: vittima inerme, oltre tutto, poiché da lui il potere non ha da temere alcuna resistenza, alcuna ribellione che «non possa essere piegata con ulteriori tecniche di potere» [Bujok 2008].
La tendenza a reificare i viventi, concepiti e trattati come puro corpo, privo di sensibilità, emozioni, sentimenti, o addirittura come corpo frazionato o ridotto a una singola parte, è all’opera, se pure in forme più subdole e mascherate, nello sfruttamento della forza-lavoro di certe categorie di migranti clandestinizzati/e, costretti/e a lavorare in condizioni servili o schiavili: braccia da lavoro in senso letterale, delle quali non si percepisce più l’appartenenza al corpo, al soggetto, alla sua coscienza, per non dire alla sua persona, in quanto tale titolare di diritti. Se non nel momento in cui interviene il razzismo a riconoscere quelle braccia come appendici di corpi alieni e perciò difformi o mostruosi. La «scoperta» che esse appartengono a corpi interi – ingombranti, eccedenti, proliferanti, se non minacciosi – scatena la violenza, il pogrom, la caccia al «nero». Può accadere, come è accaduto a Rosarno a gennaio del 2010, che a quel punto le braccia da lavoro divenute corpi-bersagli si rivoltino, affermando così tutta intera la propria coscienza e soggettività. Nelle condizioni presenti, tuttavia, neppure questo è sufficiente per essere riconosciuti come pienamente umani, così che per piegare la ribellione delle braccia da lavoro che si pretendono persone bastano «ulteriori tecniche di potere»: per esempio, come a Rosarno, la deportazione compassionevole, concettualmente assimilabile al trasporto e allo «stordimento» – detti compassionevoli o umanitari – degli animali da macello prima del loro abbattimento.

LA BELLA, LA BESTIA E L'UMANO - estratti