domenica 16 ottobre 2011
15 ottobre, alcune ibride riflessioni...
di Alberto Rotondo
Ho vissuto la giornata di ieri con una drammatica intensità. Frequento da un po’ di tempo Piazza san Giovanni e il quartiere di Piazza Vittorio. E’ un quartiere attraversato dalle storie degli abitanti che vi risiedono, storie che ho sentito, volti che ho imparato a riconoscere fra mille altri.
Quando ho visto le macchine andare a fuoco, ho pensato alla mia amica M. e alla sua abitudine di lasciare la sua sotto casa , che si trova giusto al centro del teatro degli scontri .
Ho pensato all’ “indianino” e al suo negozietto di generi alimentari di via Emanuele Filiberto, alla “tedesca” che da vent’anni vive “accampata” di fronte la basilica di santa Maria Maggiore, un’indignata ante litteram.
Ho pensato anche ai tanti compagni che si trovavano a Roma ed a me stesso, che sarei dovuto partire e non ho potuto, per sopraggiunti impegni personali.
Ho vissuto in maniera forte il senso della profanazione.
Profanazione dei corpi, feriti e oltraggiati dalla logica cieca della violenza, sacrificati sull’altare dello sterile protagonismo di ragazzi frustrati e “annoiati” , che hanno vissuto ieri il loro momento di gloria, e di quei pochi manifestanti che hanno preferito seguire il loro istinto gregario, solidarizzando con la violenza, piuttosto che entrare in connessione con la stragrande maggioranza del corteo, pacifico, non violento e autenticamente alternativo alla violenza del capitalismo finanziario contemporaneo.
Profanazione di luoghi come Piazza San Giovanni, Via Tasso, Piazza Vittorio.
Si tratta di luoghi su cui la storia violenta del secolo passato ha impresso i suoi indelebili segni.
A Palazzo Massimo e alle prigioni di via Tasso vennero deportati e torturati i martiri delle Fosse Ardeatine, il chiostro rinascimentale che li separa è stato tra i primi ad essere occupato dalla gente di Roma, nei giorni festosi della sua liberazione.
Luoghi che hanno saputo preservare la propria tragica recente memoria, per diventare simbolo e testimonianza di una società diversa. Chi ha fatto la spesa al mercato di piazza Vittorio o ha letto Spelix di Annamaria Rivera, sa di cosa sto parlando.
Verrà il tempo della denuncia della regia autoritaria, con cui le forze dell’ordine hanno gestito il “disordine pubblico” di ieri - la polizia ha deliberatamente deciso di portare gli scontri a piazza San Giovanni impedendo la conclusione di una manifestazione immensa e pacifica - ma mi sembra al momento prevalente l’esigenza di riprendere l’iniziativa politica su un terreno diverso, da quello che ha prodotto gli orridi germogli di ieri.
Con una consapevolezza. Da ieri sappiamo che è possibile in questo paese costruire un’opposizione sociale di massa alla globalizzazione neoliberista, la partecipazione alla manifestazione è stata straordinaria.
Vi è la coscienza diffusa che un grande cambiamento è necessario. E su questo punto le nostre idee tornano ad essere egemoni.
La violenza della crisi del “capitalismo in crisi” è in grado di sovvertire gli ordini sociali e politici costituiti.
Gli ultimi trent’anni, gli anni della globalizzazione neo-liberista, hanno visto all’opera un grande tentativo di restaurazione conservatrice: potenti agenti di socializzazione hanno permesso il radicarsi nel senso comune di principi e ideologie, che hanno segnato l’immaginario, e costruito una vasta area di consenso attorno alle istituzioni e al potere dei ceti dominanti.
Oggi sentiamo che un grande cambiamento è in corso: dalla lotta per i beni comuni alla rinascita civile e politica di molte città , fino ad arrivare alla grande mobilitazione di ieri, sembrerebbe confusamente che si stia formando un nuovo senso collettivo,capace di mettere in radicale discussione l’intero impianto ideologico neoliberista.
Ma per fare ciò dovremmo partire da una critica serrata ad ogni forma di lotta violenta. Lasciamo la violenza ai nostri “avversari di classe”e riprendiamo rapidamente la strada della costruzione dell’alternativa!