Le grandi mobilitazioni globali degli ultimi mesi hanno messo in campo una critica radicale del dominio neoliberista opponendo, alla dittatura dei mercati e alla violenza della crisi del “capitalismo in crisi”, i temi rivoluzionari della cancellazione del debito e della costruzione di nuove forme di democrazia.
L’occupazione delle piazze con i propri corpi e le proprie storie, di precarietà ed “indignazione”, ma anche di gioia della condivisione e desiderio di trasformazione sociale, è il germoglio da cui può irrompere un’enorme forza anticapitalista, capace di ricostruire strumenti critici con cui decostruire il pensiero unico e di mettere in campo pratiche politiche radicalmente alternative a quelle delle classi dominanti.
Non è possibile “smantellare la casa del padrone, utilizzando gli stessi attrezzi del padrone”, scriveva Audre Lorde, militante femminista afroamericana. Non è possibile smantellare, con sua stessa violenza, il dominio violento del capitalismo, che esprime la sua logica brutale nella riduzione a merce di ogni cosa e di ogni essere vivente umano e non umano, come accade a migliaia di donne e uomini migranti, deportati e privati di ogni dignità, e a milioni di animali sfruttati e condannati da un sistema perverso, che priva di risorse alimentari ed impoverisce sempre più i popoli del Sud del mondo per imbandire le tavole dei ricchi e fomentare il consumo compulsivo negli ipermercati e nei fast food.
Impedire di occupare il proprio spazio politico, come è accaduto il 15 ottobre a Roma, a centinaia di migliaia di corpi – tra cui bambini/e, disabili, anziani/e, giovanissimi/e – portatori sani dell’inestirpabile germe di una radicale istanza trasformatrice, ha il segno di quella stessa reificazione, della riduzione di ogni soggettività a merce, di valore persino inferiore a quello di un’auto bruciata.
Nelle violenze dei riots leggiamo il segno indelebile della colonizzazione dell’immaginario di un segmento generazionale da parte della pervasiva e strisciante ideologia capitalistica che, attraverso la socializzazione mediatica globale – dai reality ai videogames alla pubblicità come istigazione al consumo compulsivo – si radica nel senso comune producendo nuove forme di fascismo, a partire dalla costruzione dell’identità come rifiuto di ogni alterità.
I sampietrini di Roma – insieme alle mazze, le bombe, le divise nere e il resto dell’armamentario squadrista – sono l’esatto opposto dei sassi scagliati dai ragazzini palestinesi dell’Intifada contro i carri armati israeliani, per tentare disperatamente di impedire la demolizione delle proprie case e le deportazioni, e per difendere gli scioperi e le iniziative di disobbedienza civile.
Nell’immaginario colonizzato dei riots non c’è traccia della memoria dei movimenti di liberazione dei popoli, della Resistenza Partigiana e delle lotte popolari: le mobilitazioni dei braccianti, nel dopoguerra, ci hanno insegnato che al potere economico e mafioso fa più paura la coraggiosa pratica politica dell’occupazione pacifica delle terre per lavorarle, strappandole all’oligarchia latifondista, e che le manifestazioni sono la conquista di uno spazio politico da parte di donne, uomini, bambini e anche dei muli, compagni nella fatica dei campi.
L’esperienza del movimento delle donne ci ha insegnato a sperimentare pratiche politiche dirompenti attraverso la forza dei nostri corpi e delle nostre soggettività, basti ricordare le mobilitazioni a Comiso, negli anni ottanta, in cui donne di tutta Europa, forti di una riflessione radicale sul patriarcato e la sua violenza, bloccavano con azioni nonviolente l’impianto dei missili nucleari Nato.
Negli ultimi venti anni, il percorso di rifondazione comunista ha intrecciato queste pratiche, ha tessuto un filo che tiene insieme le lotte operaie e i movimenti delle donne e lgbt, le occupazioni studentesche e le istanze dei migranti. In questo percorso, da comuniste e comunisti, siamo, e vogliamo continuare ad essere, soggettività visibili che costruiscono movimenti, lotte e radicamento, che mettono in campo pratiche concrete di resistenza alla crisi e di trasformazione sociale.
Nella situazione attuale, le scelte violente favoriscono il sistema capitalistico. Ci opponiamo ad ogni tentativo di ridurre le enormi potenzialità trasformatrici del movimento ad una messa in scena squadrista; riteniamo la violenza nemica del movimento e funzionale agli interessi del sistema e alle sue logiche repressive. Una presa di posizione che condivida o giustifichi la violenza dei riots è incompatibile con la militanza, e quindi con l’assunzione di incarichi dirigenti, nel partito della rifondazione comunista.
Circolo Città Futura PRC/FdS