mercoledì 7 dicembre 2011

intervento di Luca Cangemi al congresso nazionale del PRC


















Oggi, come da molti giorni, in provincia di Messina molti compagni e molte compagne stanno spalando il fango dopo un evento catastrofico che nulla ha di naturale, ma è la cifra del disastro in cui le classi dirigenti hanno gettato il mezzogiorno del paese.
Noi siamo orgogliosi di quei compagni e di quelle compagne quando liberano dal fango le case, come siamo orgogliosi quando lavorano alla costruzione del Partito, come stanno facendo, realizzando congressi molto partecipati, e quando lavorano alla costruzione d’ipotesi politiche per le prossime elezioni amministrative, che saranno durissime in Sicilia, di fronte alla ristrutturazione in atto del potere politico-affaristico-mafioso. Intervento sociale, costruzione e radicamento del partito, costruzione di alleanze: sono questioni che spesso, in modo primitivo e sciocco sono state contrapposte ma che non possono essere contrapposte, devono stare insieme. Credo che uno degli elementi della relazione del compagno Ferrero che più dobbiamo sottolineare sia la costruzione di un filo comune tra le varie dimensioni del nostro agire, a maggior ragione di fronte alla situazione nuova, terribile ma anche ricca di potenzialità, che si è determinata con il governo Monti e con quello che esso rappresenta. Non ci servono, appunto, il primitivismo e la semplificazione, essi anzi sono ostacoli che dobbiamo superare, proprio per essere radicalmente e intelligentemente alternativi a questo governo. E’ un elemento decisivo di cultura politica che precipita direttamente nell’azione. Noi abbiamo bisogno di recuperare un tratto essenziale del movimento comunista e del marxismo: la cultura della realtà. Analisi dei rapporti di forza, articolazione tra tattica e strategia, intelligenza politica in ogni momento, senza abbassare la nostra capacità di proporre un orizzonte alternativo: se noi non assumiamo interamente queste esigenze, veniamo meno al nostro compito, che è un compito di grande responsabilità, pur poggiando su forze assai piccole.
Dentro questo ragionamento sta un pezzo del nostro lavoro che dobbiamo tematizzare in modo profondamente diverso da quanto abbiamo fatto finora: la questione della Federazione della Sinistra. E’ chiaro che c’è una difficoltà che dobbiamo analizzare, così com’è chiaro che dobbiamo fare un avanzamento e giocare quest’opportunità, oggi più difficile ma più necessaria rispetto al passato, con un altro spirito. Le stesse difficoltà di linea politica che pur si sono manifestate, possono essere affrontate se la FdS diventa altro da quello che è, se sostituiamo un ragionamento complessivo e un inizio di radicamento di questo soggetto a un consociativismo rissoso che non ci serve a nulla.
Per il partito e per la stessa federazione è necessaria un’operazione politica cui allude la sede del nostro congresso. Napoli non è solo la sede di un’importante esperienza amministrativa, Napoli è la capitale del Mezzogiorno. Il mezzogiorno deve diventare come nei momenti alti della storia dei comunisti in Italia, un elemento decisivo di una riflessione politica nazionale. Un elemento decisivo perché qui le contraddizioni sono più forti, perché qui può saltare il tentativo di ristrutturare gli equilibri tra le classi dominanti, perché qui siamo dentro un quadro mediterraneo che può essere l’epicentro di un arco di crisi che va dalla Libia all’Iran.E’ necessario, dunque, un grande investimento politico, culturale, teorico che possa ricollegarsi in modo intelligente e critico alla storia della sinistra meridionale. Storia ricca e travagliata, in cui si sono affrontate ipotesi diverse, in cui si sono confrontati spesso da un lato un’impostazione che collocava i problemi complessi del Sud in un quadro di classe e dall’altro un combinato di notabilato ed estremismo, che a volte riemerge anche oggi. Una storia che ha conseguito risultati politici significativi e ha lasciato anche materiali teorici importanti.
Voglio concludere, a questo proposito, ricordando una figura importante di quella storia: Pio La Torre. Molti conoscono la sua fine tragica, la sua morte vittima di quello che Enrico Berlinguer definì un atto di terrorismo politico-mafioso, riferibile, come altre vicende oscure di questo mezzogiorno a un contesto anche internazionale (erano gli anni della grande battaglia contro i missili a Comiso). Non tutti invece sanno degli anni giovanili trascorsi in carcere da Pio La Torre, prezzo pagato un’intera generazione di quadri politici e sindacali del mezzogiorno per la lotta per la terra. Quella generazione dovette affrontare la violenza delle classi dominanti, che il giorno prendeva le sembianze dei carabinieri e di notte quelle dei mafiosi. Riuscì a farlo con grande intelligenza e grande passione, con quel combinato disposto d’intelligenza politica e passione, che anche oggi deve essere la nostra cifra.

Luca Cangemi
Intervento all’VIII congresso del PRC (Napoli, 3 dicembre 2011)