mercoledì 29 giugno 2011

diari dell'orgoglio: intervento di città futura alla queer week






















intervento di Alberto Rotondo a "Diari dell'orgoglio"
28 giugno, Queer Week, Catania

Come sapete, quest’anno la settimana dell’orgoglio a Catania presenta delle caratteristiche peculiari: per la prima volta da molti anni non avremo il corteo per la via Etnea.
Non è mia intenzione polemizzare su questo punto: mi limito a registrare come, in un momento storico in cui vi è una ripresa forte dell’iniziativa del movimento  e in cui in generale la società è attraversata da forti fermenti partecipativi, la città di Catania non vedrà le proprie strade invase dal popolo gioiosamente orgoglioso del Pride.
Come ho già avuto occasione di precisare in un precedente intervento, non si tratta di puntare l’indice accusatorio contro nessuno, occorre piuttosto un’assunzione di responsabilità collettiva.
Come afferma il documento politico, è il momento di decostruire, di interrogarci in profondità sul senso della nostra iniziativa politica, condizione imprescindibile per riannodare le fila di relazioni logorate da incomprensioni personali e ideologiche, e per avviare una nuova stagione di partecipazione e di lotta.    
E’ mia profonda convinzione che vi sia un impedimento che vizia le nostre pratiche politiche fino a renderle inefficaci : mi riferisco agli ideologismi e agli intellettualismi che, lungi dall’elaborare una visione critica della società, finiscono per paralizzare le energie migliori di cui disponiamo e di minarne le loro potenzialità di trasformazione sociale.
Credo che viviamo dentro una grande contraddizione: da una parte ampi settori dell’opinione pubblica lgbtq hanno raggiunto un livello di maturazione tale da non potersi accontentare di una pura logica rivendicativa dei diritti che vergognosamente ci vengono negati, dall’altra il ritardo abnorme e razzista, con cui le istituzioni pubbliche rifiutano di confrontarsi con le nostre legittime aspettative, ci spinge ad agire iniziative che in altri Paesi apparirebbero anacronistiche.
Non ci basta scendere in piazza per chiedere l’approvazione di una legge contro l’omo-transfobia o per il riconoscimento delle unioni civili e della possibilità di accedere all’istituto del matrimonio , ma allo stesso tempo la presenza di una destra retriva e arcaicamente ancorata a concezioni della vita pre-moderne ci costringe a farlo.
La mia personale opinione è che a Catania il movimento lgbtq stia attraversando una crisi che si colloca dentro questa contraddizione : chi conosce la realtà catanese sa benissimo come in questi anni la città abbia accolto migliaia di donne e di uomini gay , lesbiche e trans che, grazie alla presenza di una comunità fortemente radicata nel territorio, sono rinati a nuova vita.
Esiste un tempo della mia vita a cui associo un colore: il verde, il mio colore preferito.
Verdi sono le foglie nella ridente primavera, alcune avranno la fortuna di conservarsi nella loro verdità anche nel triste e malinconico autunno e nel gelido inverno, altre trascoloreranno in un giallo pallido, tragico annuncio della loro caduta.
E verde mi apparve subito Catania quando vi arrivai undici anni fa.
Si trattò per me di un’epifania : non pensavo che sarei entrato in un mondo fiabesco, una città fantastica  abitati da elfi -non solo bruni per citare l’amico Dario - e splendide fatine ; le uniche minacce venivano da streghe di finocchi e qualche orco cattivo venuto a perturbare il nostro sogno magico.
Credo che questa sia un’esperienza comune a tante e tanti che, a partire dalla scoperta di non essere soli, hanno sperimentato la gioia della loro personale liberazione.
Una liberazione non solo individuale o esistenziale: dalla scoperta di me stesso e dei miei desideri è scaturito un forte richiamo all’impegno politico e sociale. Gli occhi nuovi con cui guardavo al mondo mi spingevano sempre più a cercare, nell’incontro con gli altri e nell’azione collettiva , una reale possibilità di trasformare le relazioni sociali e di produrre un cambiamento nella società.
Ma vi è un’altra e più profonda contraddizione che credo debba essere illuminata. Viviamo i tempi di una profonda crisi della rappresentatività politica. Gli ultimi anni ci hanno mostrato una ripresa forte della conflittualità sociale: mentre un’intera generazione di giovani e non più giovani si vede cancellata ogni possibilità di costruzione di un futuro libero e dignitoso e sempre più ne prende coscienza nella partecipazione e nelle lotte, le istituzioni rappresentative della repubblica ci appaiono come delegittimate e lontane dai bisogni e dalle esigenze che emergono dal corpo sociale.
Milito in un partito, il partito della Rifondazione Comunista, che ha attraversato in pieno questa crisi con l’esperienza negativa del governo Prodi, che tante speranze aveva suscitato per poi naufragare nella paralisi dei veti incrociati e nell’impossibilità di produrre un cambiamento. Il risultato è che oggi il conflitto sociale non è rappresentato in Parlamento.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. L’assenza dai luoghi istituzionali ci ha spinto a interrogarci in profondità sul senso della nostra azione politica. Politica non significa eleggere dei rappresentanti nelle istituzioni, ma produrre dei processi di trasformazione sociale attraverso l’impegno costante nella società.
Fuori dall’astrazione: politica non significa soltanto criticare il sistema capitalistico e le ingiustizie sociali che determina, ma promuovere un diverso modello di relazioni umane ed economiche. Per questo motivo abbiamo costituito un gruppo di acquisto popolare, nel tentativo di dimostrare che un’altra economia è possibile. Un’ economia attenta alla dignità delle persone, alla cura dell’ambiente e del territorio e a una diversa valorizzazione dei saperi tradizionali della nostra splendida regione.
Proprio per questo non abbiamo condiviso alcune pratiche politiche recenti e lo dico senza spirito polemico ma al fine di chiarire in maniera esplicita le nostre posizioni.
Qualche tempo fa alcune persone si sono ritrovate a manifestare davanti all’IKEA e al supermercato IPERFAMILA: mi riferisco al flash-mob di sostegno al colosso scandinavo del mobile, dopo le polemiche sul manifesto con cui ha promosso l’apertura a Catania, e a un flash-mob, tra il politically correct e il pubblicitario, organizzato da Arcigay per l’inaugurazione di un nuovo supermercato. L’impressione che se ne potrebbe trarre è che quest’anno a Catania i gay, le lesbiche e i trans hanno preferito disertare le piazze per affollare i centri commerciali.
La campagna pubblicitaria di IKEA è stata una campagna intelligente: gli esperti di marketing hanno semplicemente registrato come a Catania negli anni si sia formata una comunità lgbtq assai vasta e ben inserita nel tessuto sociale cittadino. Ma le strategie di marketing di una multinazionale (scimmiottate anche da un ipermercato locale), per cui non siamo corpi desideranti ma segmenti di consumo,sono altra cosa rispetto alle lotte di liberazione.
Ma vi è un’altra liberazione che dobbiamo ricercare: la liberazione dalla solitudine.
Viviamo tempi in cui lo straordinario sviluppo delle nuove tecnologie, utilizzate in modo sapiente dagli apprendisti stregoni del turbo capitalismo finanziario contemporaneo, hanno contribuito a creare un’illusione: molti pensano che la possibilità di connettersi, di entrare facilmente in relazione con gli altri, superando i tradizionali limiti spazio-temporali che fino a ieri l’altro situavano le nostre personali esistenze in un qui ed ora invalicabile, abbiano significato automaticamente un ampliamento delle libertà e delle possibilità dell’umano.
Ma spesso si tratta di una libertà fallace : i nostri corpi hanno bisogno, mi verrebbe da dire si nutrono, del contatto fisico.  I nostri sentimenti, i nostri desideri, la nostra rabbia non si possono esprimere attraverso un semplice post nella bacheca di Facebook, ma necessitano dell’incontro reale, epidermico con l’altro.
Non siamo individui isolati, siamo una comunità: bella, plurale, differente e orgogliosa.
In conclusione, politica non significa soltanto chiedere con forza a istituzioni lontane di riconoscere i più fondamentali diritti delle persone umane, ma costruire insieme e a partire dalla nostra visibilità orgogliosa un nuovo modo di vivere e una partecipazione attiva ai processi sociali.
E allora torniamo ad incontrarci, a vivere la nostra verde Catania, ad abitare le sue strade e le sue piazze,  e a condividere le nostre esistenze: solo così potremo salvarle.
E’ da qui che credo bisogna ripartire. E allora rimettiamoci orgogliosamente in marcia. Un altro futuro è possibile.