domenica 6 marzo 2011

addio ad alberto granado, compagno di che guevara

Il 'Che' non era ancora il 'Che', quando con Alberto Granado scorrazzava per il Sudamerica a bordo della 'Poderosa', la motocicletta sulla quale nel 1952 i due amici, entrambi studenti universitari, scoprirono l'utopia. Gioviale, simpatico, alter ego dissacrante del Che, di Granado resta il formidabile ritratto tracciato nei 'Diari della motocicletta'. Fu Granado ad annotare nei diari i dettagli di una straordinaria avventura che permise ai due amici di scoprire, anche, un continente interiore, segnato da una profonda e indistruttibile amicizia 

















da italiacuba.it 
un'intervista ad Alberto Granado
D- Leggendo il diario del tuo viaggio con il Che risulta evidente che quell'esperienza è stata fondamentale nella formazione della vostra coscienza: in più occasioni infatti accanto al vostro interesse culturale per la civiltà precolombiana, emerge l'impegno a fare in modo che le condizioni di vita delle popolazioni locali mutassero. Che Guevara ha poi fatto una scelta di lotta radicale, tu invece hai interrotto quel viaggio per rimanere nel lebbrosario venezuelano. Che cosa ti ha spinto poi ad andare a Cuba e come si è sviluppato la tua esperienza in tutti questi anni?
R- A distanza di cinquanta anni da quel viaggio , non posso fare a meno di dire che la mia vita ha girato intorno alla figura di Ernesto Che Guevara e alla rivoluzione cubana.
Una delle responsabilità che abbiamo noi che abbiamo conosciuto uomini come il Che e Fidel è quella di far comprendere come siano uomini in carne ed ossa e non miti al di sopra della realtà. Troppo spesso infatti amici in buona fede e nemici per interesse tendono ad elevare la figura di Che Guevara oltre i limiti umani, tanto che non pare possibile seguirne l'esempio. Voglio raccontarti un episodio che ritengo emblematico: quando andai a trovare il Che a Cuba la prima volta, era presidente della Banca Nazionale. Chiesi al segretario di annunciarmi ed egli mi risposte che il comandante Guevara non poteva essere disturbato perché stava studiando matematica finanziaria.
D- Avere un interlocutore che ha vissuto in prima persona la realtà cubana dagli anni immediatamente successivi alla rivoluzione fino a i nostri giorni mi spinge a chiederti come questa realtà si è sviluppata e quali sono secondo te i problemi che questa realtà si trova oggi a dover affrontare.
R- Quando decisi di vivere a Cuba, la rivoluzione aveva già assunto una connotazione socialista e questo realizzava un mio sogno coltivato da sempre. Ma fu il discorso che Fidel Castro tenne quell'anno sulla Serra Maestra per tracciare gli obiettivi della rivoluzione cubana, che mi indusse definitivamente a rimanere a Cuba per dare il mio contributo.
Subito dopo la rivoluzione, gli Usa, infatti, avevano convinto un gran numero di medici a lasciare l'isola, per cui mi parve importante contribuire a formare un gruppo di scienziati in campo medico, chimico e biochimico. Per fortuna posso dire che da una scuola di medicina che esisteva nel '60, ora siamo a 18 scuole . Da uno 0% di istituti di ricerca, oggi Cuba ha un prestigio internazionale nella ingegneria genetica e nella genetica molecolare.
D- Queste tue parole mi inducono a farti un'altra domanda che da questo discorso consegue: il prestigio internazionale di Cuba nel campo della medicina, è universalmente riconosciuto (da tutti i paesi dell'America Latina chi può va a Cuba per farsi curare); purtuttavia le conseguenze dell'embargo sono state molto gravi anche in questo settore. Per questo ti chiedo: quali sono attualmente i problemi della sanità a Cuba, e quale deve essere l'impegno prioritario dei movimenti di solidarietà?
R- In verità la fine dei rapporti con l'Unione Sovietica ha provocato gravi problemi all'economia cubana e quindi anche alla medicina; ma fortunatamente esiste una precisa politica della sanità a Cuba; nessun consultorio è stato chiuso, ed anzi in alcune regioni si è ulteriormente abbassato l'indice della mortalità infantile. Non avendo gran disponibilità di antibiotici, ad esempio, si è sviluppata una politica di prevenzione curando moltissimo l'igiene.
E' evidente che mano a mano che il blocco economico voluto dagli Usa si inasprisce (tutti conoscono la legge Torricelli) ogni azione di solidarietà diventa molto importante. Quello che è vitale per noi è non solo che ci si inviino degli aiuti, ma che ci sia permesso acquistare ciò di cui il paese ha bisogno. Il movimento di solidarietà deve quindi spingere perché il blocco venga tolto. Certo non dirò che non sia benvenuto qualsiasi aiuto economico, soprattutto per i bambini e per le scuole. Ad esempio ora siamo senza carta; abbiamo bisogno di molta carta.
Il popolo cubano comunque cresce nonostante le difficoltà ed è un popolo degno di essere aiutato. E' chiaro che dopo trenta anni bisogna rivedere alcuni punti sullo sviluppo; bisogna pensare che siamo partiti con un paese analfabeta ed abbiamo sviluppato grandi passi sia in campo economico che scientifico; l'aver dovuto interrompere bruscamente questo corso crea una certa disillusione. Alcuni non sanno reagire e se ne vanno, ma si tratta comunque di una percentuale molto piccola. La maggioranza della gioventù e del popolo cubano crede nella rivoluzione e la sostiene.
D- C'è a Cuba un problema generazionale?  Sono i giovani cioè quelli che sentono maggior disagio per la crisi economica?
R- Non potrebbe certo non esserci anche a Cuba come in tutti i paesi un problema del genere, ma nelle difficoltà i giovani sono anche in grado di crescere. Voglio raccontarti un aneddoto significativo. Quest'anno la zona di Guantanamo, generalmente poco piovosa, ha subito numerose inondazioni; c'era quindi la necessità di raccogliere la canna da zucchero prima che andasse perduta. La gioventù comunista si è fatta carico del problema ed ha chiesto trecento volontari.
Se ne presentarono cinquecento; ma nel momento di partire ci si accorse che c'erano solo duecento paia di stivali. Si tenne il collettivo e decisero che nessuno sarebbe partito fino a quando non si fossero trovati tutti gli stivali occorrenti. Alla fine prevalse l'opinione di partire anche scalzi come avevano fatto coloro che avevano combattuto contro gli spagnoli nel secolo scorso o i compagni di Fidel nel '59. Ma non è finita: i professori di Guantanamo cedettero le loro scarpe perché erano meno necessarie per andare ad insegnare piuttosto che per andare a tagliare la canna.
D- Ci sono ancora alcune domande che vorrei rivolgerti. La prima riguarda la situazione dell'America Latina: in quel famoso viaggio tu ed il Che avete chiaramente preso coscienza della realtà dei singoli paesi. Che cosa è cambiato ora?
R- Quando eravamo partiti noi volevamo conoscere l'America latina, non pensavamo che in quei paesi si vivessero problemi sociali e politici così gravi. Della stessa Argentina conoscevamo solo la realtà della città e della media borghesia. Nel nostro viaggio ci scontrammo con lo sfruttamento non solo degli uomini, ma anche dell'ambiente. Se confrontiamo quella realtà con quella di oggi, ci accorgiamo che la differenza sta nel fatto che oggi ci sono più ricchi, ma i poveri sono ancora più poveri: Per esempio l'Argentina che negli anni cinquanta aveva un livello scientifico paragonabile a quello europeo ed una scuola ben strutturata, oggi ha delegato alla scuola privata l'educazione dei ricchi, mentre la scuola pubblica è sempre più abbandonata a se stessa con strutture inesistenti ed insegnanti mal pagati.
La mia valutazione è che l'America Latina stia peggio ora di quando l'abbiamo visitata; noi abbiamo fiducia nei popoli e quindi siamo certi che lotteranno perché la situazione cambi.
D- Quali sono i rapporti di Cuba con gli altri paesi dell'America Latina?
R- Il rapporto con i popoli, e sottolineo i popoli, latino americani è molto stretto perché anche solo il fatto che Cuba abbia resistito trentacinque anni all'aggressione americana, è un esempio a cui guardano gli sfruttati di tutti i paesi.
D- La rivolta del Chiapas in Messico ha riproposto drammaticamente il problema delle minoranze autoctone emarginate. Come è stata vissuta a Cuba, così vicina al Messico, questa realtà?
R- Innanzittutto la rivolta zapatista è stata una chiara smentita per chi credeva che il liberalismo l'avrebbe fatta finita con le rivolte popolari.
D- Un'ultima domanda per avere risposta ad un interrogativo che quelli della mia generazione si pongono da trenta anni e a cui solo un amico del Che può rispondere. Sul perché egli abbia lasciato Cuba e il suo posto nel governo rivoluzionario, per andare a morire in Bolivia, si sono scritti fiumi di parole. Tu che hai vissuto con lui quegli ultimi giorni a Cuba, che cosa pensi di quella scelta?
R- Il Che aveva sempre espresso la convinzione che la rivoluzione avrebbe potuto trionfare solo quando tutti i paesi dell'America Latina si fossero liberati dall'imperialismo degli Usa. Nessuno avrebbe voluto che egli se ne andasse ma chi lo conosceva sapeva che il partire per appoggiare la rivoluzione di altri popoli, rientrava nella sua visione della vita.  E' totalmente falso che ci fossero divergenze con Castro.
L'ultima volta che ci siamo visti, seduti ad un tavolino, mi annunciò che sarebbe partito per gli Stati Uniti ed io gli dissi: "Lo sai Pelao che ci sono due cose a cui non posso rinunciare: il rum e i viaggi"
E lui mi rispose: "Tu sai che il bere non mi ha mai interessato, e neppure il viaggiare se non posso portare dietro la mia mitragliatrice". In questo modo mi aveva comunicato le sue reali intenzioni. In realtà il Che non ha fatto che seguire la strada che si era tracciato: egli non credeva in una forma di presa del potere diversa da quella armata; in questo non eravamo d'accordo, già dai giorni del nostro viaggio.