martedì 15 marzo 2011

fermiamo il nucleare














Dopo l'immane tragedia del Giappone, una lucida analisi di Giorgio Nebbia (da Liberazione di oggi)

Tutti vivi a Fukushima. Ricalco il titolo di un celebre libro di Dario Paccino, “Tutti vivi ad Harrisburg”, scritto dopo l’incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, vicino Harrisburg, appunto, in Pennsylvania. Anche allora, come oggi in Giappone, si ebbe un’interruzione del flusso di acqua che “deve” raffreddare continuamente il nocciolo di un reattore, quell’insieme di tubi in cui avviene la fissione dell’uranio (e del plutonio) con liberazione del calore. Se cessa il riscaldamento, anche se la reazione di fissione nucleare viene interrotta, gli elementi radioattivi all’interno dei tubi del “combustibile” continuano a liberare calore che può provocare l’idrolisi dell’acqua con formazione di idrogeno, quello che si è incendiato e ha provocato la (o le) esplosioni degli edifici delle centrali giapponesi. Non si può dire oggi quante persone siano state contaminate dalla radioattività, quante siano morte o moriranno per esposizione alle radiazioni. Di certo gli incidenti giapponesi hanno provocato l’interruzione della distribuzione dell’elettricità in vaste parti del paese che tanto aveva puntato, per soddisfare la fame elettrica delle sue fabbriche e città e metropolitane, su 55 centrali nucleari, a drammatica riprova della fragilità di questa tecnologia.
L’incidente ai reattori di Fukushima è il terzo importante nella storia dell’energia nucleare commerciale, lunga circa 14.000 anni-reattore (il numero dei reattori in funzione moltiplicato per gli anni di funzionamento di ciascuno): un incidente ogni circa 4.500 anni-reattore, un incidente in media ogni dieci anni quando sono in funzione, come oggi nel mondo, circa 450 reattori; una probabilità di incidenti molto maggiore di quella assicurata dai solerti venditori di centrali nucleari.
Inaccettabili pericoli, inquinamenti e costi umani e monetari riguardano tutto intero il ciclo delle attività nucleari, ciclo che parte dalle miniere di uranio, comprende i processi di arricchimento dell’uranio e la preparazione del combustibile nucleare (durante la quale si verificarono gli incidenti alla KerrMcGee negli Stati Uniti, del 1974, e a Tokaimura in Giappone del 1999). Vi sono poi i costi e i conflitti per la ricerca della localizzazione degli impianti; e poi i costi della costruzione e di funzionamento “normale” delle centrali nucleari e quelli, di soldi e politici, per i controlli di tipo militare. Non a caso il governo italiano ha dovuto invocare il segreto di stato sulle scelte e sul funzionamento delle infrastrutture energetiche, quello stato atomico autoritario di cui aveva parlato Robert Jungk in un libro del 1970.
E poi ancora vi sono i costi e i pericoli e gli incidenti del ciclo del ritrattamento del combustibile irraggiato per recuperare un po’ di plutonio da aggiungere all’uranio nelle centrali per trarne un po’ più di elettricità e di soldi; e poi i costi del ciclo di smaltimento delle centrali esaurite e della sistemazione del combustibile irraggiato e degli inevitabili rifiuti, la coda avvelenata delle centrali. Si tratta, anche solo in Italia, di migliaia di tonnellate di prodotti radioattivi, tutti, sia pure in diverso grado, pericolosi, che continuano ad accumularsi anche quando è svanito e sarà svanito il sogno dell’elettricità abbondante a basso prezzo. Tutte operazioni che richiedono una vigilanza per secoli e decenni per evitare perdite di radioattività nell’ambiente.
Per tutti questi motivi le centrali nucleari, anche quelle “perfettissime” di “terza generazione” che già tanti guai e ritardi stanno incontrando prima ancora di entrare in funzione in Finlandia e in Francia, quelle che il nostro governo fa intendere di volar comprare a quattro per volta, non sono sicure nè convenienti in termini di soldi. Sono insomma inaccettabili.
Se tutti i soldi che sono stati spesi anche in Italia in passato, e quelli che rischiamo di dover spendere per i programmi nucleari governativi, fossero investiti non dico per le fonti di energia rinnovabili, ma anche soltanto per la razionalizzazione dell’intero sistema economico e produttivo italiano, per scelte lungimiranti su quello che è utile produrre e consumare, con minori e diversi consumi di energia, saremmo un paese con più posti di lavoro e veramente moderno. Non resta perciò che fermare l’avventura nucleare governativa col referendum e col voto.