mercoledì 9 novembre 2011

camila vallejo: per lottare bisogna essere allegri












Da giugno è il simbolo del nuovo Cile. Il suo volto, incredibilmente fotogenico, è ormai il volto dei migliaia di giovani che da mesi protestano quasi tutte le settimane per le strade di Santiago, chiedendo una educazione gratuita per tutti.
La notorietà di Camila Vallejo ha superato i confini nazionali, diventando il protagonista di quel movimento che è stato definito degli indignados.
Ha 23 anni, si sta laureando in geografia, milita nel Partito comunista cileno ed è la portavoce della federazione degli universitari.
Parla al Fatto per la seconda volta, la sua è un’analisi di quanto accade in Cile (la prima intervista è uscita il 31 agosto scorso): “La nostra battaglia per l’istruzione è diventata una lotta per ottenere un Paese migliore, non siamo soli”.
La vostra protesta si è presto trasformata in una lotta più ampia per il cambiamento dell’intera società cilena, come è stato possibile?
L’attuale sistema educativo cileno considera l’educazione non un diritto ma un bene di consumo. Le famiglia devono investire molti soldi per far laureare i propri figli (da circa 30 mila fino a 60 mila dollari per le carriere più care). Pertanto l’accesso all’educazione è condizionato alla disponibilità economica.
Il Cile è stato il Paese in cui, con la dittatura di Pinochet, il neoliberalismo si è sviluppato più che in altri posti: che significa contrastare il neoliberalismo oggi?
Noi usciamo da un lungo periodo in cui il neoliberalismo ha dominato tutti i settori della società, trasformando quelli che sono beni e diritti sociali in ambiti del mercato e occasioni per il lucro, garantendo solo accumulazione di capitale da parte di pochi e non giustizia sociale. Questo è successo soprattutto per la sanità e per l’educazione. Oggi noi proponiamo l’inversione di questa tendenza. Recuperare e salvaguardare questi diritti, sottraendoli al dominio assoluto del mercato.
Il vostro movimento da studentesco è diventato in poco tempo la “testa” di un movimento sociale più ampio, come   ti spieghi questo successo?
Durante la dittatura, molte generazioni precedenti alla nostra hanno potuto solo sognarlo un cambiamento sociale profondo. Il terrore e la paura non permettevano nessuna azione collettiva. Adesso trovano nel nostro movimento un’occasione per manifestare serenamente. Credo che questo sia il motivo principale che ha trasformato una battaglia particolare come la nostra, per una università pubblica e gratuita, in una battaglia più ampia per una società giusta. E il movimento ha così raggiunto un livello di trasversalità sociale che, devo ammettere, sorprende anche noi.
In Italia una delle ultime manifestazioni è stata rovinata da numerosi atti di violenza da parte di frange estremiste, voi come fate fronte a questo genere di problemi?
Dal punto di vista pratico, abbiamo un servizio d’ordine. Ci sono due aspetti: i violenti servono a legittimare le azioni repressive da parte del governo e la criminalizzazione dei movimenti. Il secondo è che la violenza espressa da questi gruppi è in parte riconducibile a una violenza strutturale del sistema, lo dico non per giustificarla ma per comprenderla. I lumpen, i violenti, gli anarchici che distruggono sono il frutto di una società che non investe in educazione.
Sei ormai un’icona della nuova sinistra non solo cilena e la tua immagine è stata anche molto criticata della destra...
Una delle più classiche strategie per annichilire un movimento è ridurlo a un personaggio e criticarlo. Così stanno facendo i media cileni, che sono controllati dai poteri economici vicini al governo. Con le dovute differenze, è come quando si è parlato di castrismo, di chavismo, per screditare i movimenti cubani e venezuelani. Dicono che il Partito comunista mi strumentalizza per strumentalizzare il movimento. È più facile attaccare una persona che centinaia di migliaia.
Ed è più facile se sei donna...
Certamente. Mi sono resa conto solo con questa esperienza delle diseguaglianze reali a cui va incontro una donna che assume un incarico pubblico. Non sono mai stata una femminista. Anche perché spesso il femminismo è solo il polo opposto al maschilismo. Proprio perché sono donna vengono sempre messe in dubbio le reali capacità e vengono fatte insinuazioni del tipo: è arrivata lì perché è carina, oppure perché è un arrampicatrice e una opportunista, oppure perché sta insieme a quello a quell’altro. La solita codardia fascista.
Cosa significa per te essere comunista dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento dei sistemi socialisti del Novecento?
Non siamo animali rari. Siamo persone normali. Non siamo stalinisti. Vuol dire fare politica cercando di realizzare maggiore sovranità popolare e proporre una politica fondata su una base sociale. E partire dalla difesa dei diritti umani, come stiamo facendo qui in Cile.
Chi sono i tuoi punti di riferimento politici?
Lenin, Gramsci Ma anche personaggi femminili come la cantante Violeta Parra o figure di donne comuniste che hanno combattuto duramente la dittatura di Pinochet. Sto pensando, per esempio, a Gladys Marin.
Quale sentimento ti ha portato a fare tutto questo? Rabbia, indignazione, o altro?
Indignazione, quando scopri i continui abusi e le ingiustizie. Però, ad essere sincera, il sentimento di cui ho più bisogno tutti i giorni, perché il movimento faccia un’azione collettiva efficace, è l’allegria. Il potere sta ben strutturato. È un lavoro ingrato, è una lotta difficile. Ci vuole una allegria che si nutre della gente ad animare il movimento.
Quindi gli indignados devono essere allegri?
Sì. Certo. Il cuore allegro e la mente fredda. Sembrerà una cosa ridicola, ma lottare insieme stabilisce una relazione di fraternità e si lotta meglio se si è allegri.

 
di Manuel Anselmi - Il Fatto Quotidiano 8 novembre 2011