sabato 5 novembre 2011
chi era Guy Fawkes e che c'entra con la crisi?
Un tale Guy Fawkes, militare membro di un gruppo di cospiratori inglesi cattolici, il 5 novembre del 1605 tentò di far esplodere, con barili pieni di polvere da sparo, il parlamento britannico. La cospirazione fallì e Fawkes fu impiccato. Da allora, il 5 novembre è divenuto, per il Regno Unito, una sorta di Halloween, in cui i ragazzini portano in giro dei pupazzi di Fawkes o ne indossano la maschera, raccogliendo spiccioli per i petardi.
Cosa possono avere a che fare la figura di un integralista cattolico, che fondava le proprie azioni sulla scomunica papale al Regno Unito, e l’altrettanto ridicola usanza dei pupazzi e dei petardi, nata per esorcizzare ogni minaccia all’impero britannico, con le mobilitazioni globali di quattrocento anni dopo?
Forse un uso delle immagini distorto e privo di ogni memoria storica, che attraverso vie mediatiche globali ha riportato in scena il volto di Fawkes. Sei anni fa, un film blockbuster (oltre 90 milioni di dollari, incassati dagli stessi produttori della saga di Matrix), lanciava il controverso personaggio di “V per Vendetta”, ispirandosi al graphic novel di Adam Moore ma stravolgendone ambientazione e toni, tanto da spingere l’autore del fumetto a dissociarsi, anche a causa della scena finale in cui i cittadini indossano le maschere di Fawkes.
Un film zeppo di significati esoterici e di violenza psicologica, fino alla barbarie della tortura, da parte del protagonista V, della propria compagna, rapita, nascosta in una “galleria delle ombre” e seviziata, con l’obiettivo dichiarato di fortificarla ed estirparle la paura della morte!
Probabilmente è il caso di risparmiare la sequenza di assassinii e brutalità attraverso cui il terribile protagonista, che ovviamente indossa una maschera di Fawkes, giunge alla solitaria conclusione della sua storia, che non prevede – e mai potrebbe prevedere – una partecipazione collettiva alle gesta del “superuomo” che combatte da solo, e che non può che concludersi con la trionfale morte dell’eroe mascherato e con la parata della “massa”, altrettanto solitaria e priva di ideali e contenuti, che si lascia dominare da un potere misterioso e pervasivo, prima quello del totalitarismo, poi quello dell’omologazione delle maschere di Fawkes che coprono ogni volto nella scena conclusiva del film.
La vendita, solo nell’ultimo anno, di centinaia di migliaia di maschere di Fawkes, prodotte in Cina e Messico per pochi spiccioli, sta arricchendo la Warner, multinazionale titolare dei diritti: un paradosso, inconciliabile con la volontà di mobilitarsi contro il sistema capitalistico e il suo dominio globale!
Ma perché Fawkes/V – o un qualsiasi personaggio da kolossal hollywoodiano – conquista l’immaginario di una generazione? Perché l’individualista supereroe della cultura dominante anglosassone, e non uno/una tra tanti, piccoli e grandi, spesso involontari ma sempre esemplari protagonisti delle lotte di liberazione degli ultimi decenni, da Chico Mendes, campesino brasiliano, a Iqbal Masih, bambino operaio pakistano? (a cui tante significative realtà organizzate di compagne e compagni dedicano il proprio impegno politico e sociale).
Perché, al posto del fantomatico volto sfigurato dell’assassino V che si nasconde dietro la maschera, non c’è il volto – atrocemente sfigurato dalle fiamme, ma limpido nella sua disperazione – di Mohamed Bouazizi, senza cui la rivoluzione tunisina di pochi mesi fa non avrebbe avuto le stesse caratteristiche e la stessa dirompenza?
Finché non avremo il coraggio di dirci fino a che punto l’immaginario collettivo, persino di chi si sente “rivoluzionario”, sia stato colonizzato da un pensiero unico strisciante e pervasivo – forse, paradossalmente, più di quello messo in scena dai produttori miliardari del film su V – non potremo liberarcene.
Finché non avremo il coraggio di riconoscere cosa sia la forza – la forza straordinaria eppure semplice di Iqbal, di Chico, di Mohamed – non riusciremo a distinguerla dalla violenza; e senza estirpare la violenza, specista, sessista, razzista, classista, non è possibile nemmeno mettere in discussione il sistema capitalista, che si alimenta di violenza, generando continuamente nuova violenza e nuove forme di oppressione.
Finché non comprenderemo che “le parole sono pietre”, cogliendo il senso profondo di ciò che scriveva Carlo Levi alla madre di Turiddu Carnevale, bracciante ucciso dalla mafia, non potremo, innanzitutto con la forza delle parole, scardinare e combattere il sistema mafioso. Le mobilitazioni dei braccianti e le occupazioni delle terre nel dopoguerra ci hanno mostrato come le lotte siano di tutti, bambini, donne e uomini, e come questo faccia più paura al potere economico e mafioso.
Finché non riprenderemo coscienza della forza dei nostri corpi e del nostro partire da sé, non riusciremo a sperimentare e mettere in campo pratiche politiche dirompenti, come ci ha insegnato la straordinaria esperienza del movimento delle donne, ed in particolare la mobilitazione contro le basi Nato che, negli anni ottanta, riuniva a Comiso donne di tutta Europa, forti di una riflessione radicale sul patriarcato e la sua violenza, impegnate a bloccare l’impianto dei missili nucleari con azioni nonviolente, contrapponendo alla “delega della vita” (militarismo, sfruttamento, violenza sessuale, forza distruttiva) la “responsabilità della vita” (autodeterminazione, disarmo, forza creativa).
Ripartiamo dalla nostra forza creativa, gettiamo le maschere e inventiamoci nuove pratiche di trasformazione sociale!
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